Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 marzo 2020, n. 6760

Fondo buonuscita lavoratori Poste Italiane, Mancata
inclusione dell’assegno nella determinazione del trattamento di quiescenza,
Difetto di giurisdizione in favore della Corte dei conti, Eccezione di
prescrizione validamente proposta quando la parte ne abbia allegato il fatto
costitutivo

 

Rilevato che

 

1. F.D. adiva il giudice del lavoro chiedendo la
condanna della Gestione commissariale – Fondo buonuscita lavoratori P.I. alla
riliquidazione della indennità di buonuscita per inclusione nella relativa base
di calcolo dell’assegno ad personam attribuito ai sensi dell’art. 38 d. P.R. n. 1032 del 1973
in esito alla trasformazione dell’Amministrazione statale in ente pubblico
autonomo;

1.1. esponeva a tal fine di avere agito dinanzi alla
Corte dei conti lamentando la mancata inclusione dell’assegno nella
determinazione del trattamento di quiescenza, di avere intentato analogo
giudizio per il ricalcolo dell’indennità di buonuscita dinanzi al giudice del
lavoro il quale con sentenza del 17.2.1999 aveva dichiarato il proprio difetto
di giurisdizione in favore della Corte dei conti; analogamente, il giudice
contabile, adito successivamente, aveva dichiarato il proprio difetto di
giurisdizione con sentenza del 14.5.2002 n. 1131/2002; ottenuta dal giudice
contabile sentenza favorevole in ordine al ricalcolo del trattamento di
quiescenza (sentenza del 17.6.2004), aveva riproposto, in data 4.10.2004, nei confronti
dell’IPOST, domanda di riliquidazione della indennità di buonuscita. Il
tribunale G.L., con sentenza del 14.3.2008, aveva dichiarato il difetto di
legittimazione passiva dell’IPOST individuando la giusta parte avente titolo a
contraddire nella Gestione commissariale del Fondo di buonuscita per i
lavoratori di P.I. s.p.a., subentrata all’IPOST ai sensi dell’art. 57, comma 6, lett. a), legge
n. 449 del 1997; prestata acquiescenza a tale statuizione aveva agito nei
confronti della Gestione commissariale;

2. la domanda era stata respinta dal giudice di
primo grado in accoglimento della eccezione di prescrizione della parte
convenuta;

3. la Corte di appello di Palermo, in riforma della
sentenza di primo grado, ha condannato la Gestione commissariale del Fondo di
buonuscita per i lavoratori di P.I. s.p.a. al pagamento in favore del D.
dell’importo di € 85.989,35, oltre accessori, a titolo di differenze sulla
indennità di buonuscita per effetto dell’inclusione nella relativa base di
calcolo dell’assegno ad personam ex art.
38 d. P.R. n. 1032 del 1973;

3.1. la Corte di merito ha ritenuto l’errore del
giudice di prime cure per avere posto a base dell’accoglimento della eccezione
di prescrizione fatti non allegati dalle parti; la Gestione commissariale
aveva, infatti, eccepito il perfezionamento della prescrizione quinquennale sul
presupposto che gli atti interruttivi posti in essere nei confronti di IPOST
non avessero prodotto effetti nei propri confronti; il giudice di prime cure,
invece, aveva fondato il rigetto della originaria domanda sulla diversa ragione
estintiva rappresentata dal decorso del termine di prescrizione quinquennale
tra la sentenza del Pretore nel giudizio instaurato contro IPOST e la
successiva missiva del 4/8 ottobre 2004 inviata dal D. Nel merito osservava il
giudice d’appello che il D. aveva dato ampia prova di atti interruttivi avendo
allegato la sentenza della Corte dei conti del 14.5.2002 che aveva declinato la
propria giurisdizione nella controversia contro l’IPOST- sentenza passata in giudicato
il 14.5.2003 – per cui alla data di inoltro della missiva del 21.4.2008,
diretta alla Gestione commissariale, il termine – quinquennale – di
prescrizione non era ancora decorso;

4. per la cassazione della decisione ha proposto
ricorso la Gestione commissariale del Fondo di Buonuscita Lavoratori P.I. sulla
base di quattro motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo
controricorso;

4.1. entrambe le parti hanno depositato memoria ai
sensi dell’art. 380 – bis. 1. cod. proc. civ.
;

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo parte ricorrente, deducendo
violazione e falsa applicazione degli artt. 115,
414 e 421 cod. proc.
civ., censura la sentenza impugnata per avere la Corte di merito posto a
base della propria decisione elementi documentali che dal ricorso di primo
grado non risultavano prodotti: né, a fronte della eccezione sollevata dalla
Gestione commissariale, la produzione documentale di controparte era stata
integrata;

2. con il secondo motivo, deducendo violazione e
falsa applicazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. Civ.; 2938
e 2697 c.c.; censura la sentenza impugnata per
avere la Corte di merito ritenuto che la eccezione di prescrizione non fosse
stata dal Tribunale valutata nella sua effettiva portata; assume che il giudice
di prime cure aveva correttamente valutato come decorso il termine di
prescrizione stabilendo il relativo dies a quo con riferimento alla data del
9.5.1996 di cui all’istanza depositata in prime cure;

3. con il terzo motivo, deducendo violazione e falsa
applicazione dell’art. 53, legge
n. 449 del 1997, in relazione all’art. 111 cod.
proc. civ. e agli artt. 2943 cod. civ. e
sgg., censura la sentenza impugnata per avere ritenuto irrilevante rispetto al
dictum della Corte dei conti la vicenda del subentro verificatosi tra l’IPOST e
la Gestione commissariale. Denunzia a riguardo apparenza di motivazione ed
insiste nella violazione delle norme di diritto contestando, in sintesi, che si
fosse verificata successione dall’IPOST alla Gestione commissariale. In questa
prospettiva assume che non si poteva estendere alla seconda l’efficacia di un
atto interruttivo indirizzato al primo; in ogni caso, la successione ad IPOST
della Gestione Commissariale si era perfezionata in data 1.1.2000 con la
conseguenza che la introduzione da parte del D. del giudizio nei confronti
della detta Gestione, nell’anno 2008, era avvenuta quando già era maturato il
termine – quinquennale – di prescrizione;

4. con il quarto motivo, deducendo violazione e
falsa applicazione dell’art. 38
d.P.R. n. 1092 del 1973, censura la sentenza impugnata per avere condannata
essa ricorrente alla riliquidazione dell’indennità di buonuscita in assenza dei
relativi presupposti rappresentati da un passaggio di carriera del dipendente e
dalla concessione di un incremento stipendiale superiore a quello spettante per
la qualifica acquisita; afferma che l’assegno ad personam attribuito al D. in
seguito al passaggio alle dipendenze dell’Ente P., non era riconducibile ad
alcuna delle tassative voci di cui all’art. 38, d. P.R. cit., al fine
della rideterminazione dell’indennità di buonuscita;

5. il primo motivo di ricorso è inammissibile in
quanto non sorretto, in violazione del disposto dell’art.
366, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., della esposizione del fatto
processuale in termini idonei a consentire la verifica sulla base del solo
esame del ricorso per cassazione della fondatezza delle censure articolate,
come prescritto (Cass. n. 10072 del 2018, Cass. n. 16103 del 2016). Parte
ricorrente, infatti, non solo omette di trascrivere l’elenco dei documenti
allegati da controparte al ricorso di primo grado ma neppure chiarisce in
relazione allo svolgersi della vicenda processuale in primo e secondo grado gli
elementi dai quali risulterebbe la mancata produzione nell’ambito dell’intero giudizio
di merito dei documenti ai quali ha fatto riferimento la sentenza di secondo
grado. Sotto altro profilo è da osservare che poiché la sentenza della Corte
dei conti n. 1132/2002 e la lettera in data 21.4.2008 diretta alla Gestione
commissariale nella economia della motivazione del giudice di secondo grado
sono evocati a dimostrazione della esistenza di atti interruttivi della
prescrizione, e poiché parte ricorrente non deduce di avere contestato
nell’ambito del giudizio di merito la rispondenza a verità delle allegazioni a
riguardo formulate dal ricorrente, ben poteva la esistenza dei suddetti atti
interruttivi della prescrizione, essere ritenuta dal giudice di appello sulla
base del solo principio di non contestazione e, quindi, a prescindere dalla produzione
documentale destinata ad attestarli;

6. il secondo motivo di ricorso è inammissibile per
violazione dell’art. 366 comma 1 n. 3 cod. proc.
civ. in quanto manca la esposizione della vicenda processuale e la
trascrizione degli atti rilevanti idonei a consentire la verifica di fondatezza
della censura articolata con riferimento ai termini con i quali si era
sviluppata nel giudizio di merito la questione della prescrizione;

6.1. La giurisprudenza di questa Corte in tema di
oneri di allegazione a carico della parte eccipiente la prescrizione ha
chiarito che l’eccezione di prescrizione è validamente proposta quando la parte
ne abbia allegato il fatto costitutivo, ossia l’inerzia del titolare
manifestando la volontà di volerne profittare, senza che rilevi l’erronea
individuazione del termine applicabile, ovvero del momento iniziale o finale di
esso, trattandosi di questione di diritto sulla quale il giudice non è
vincolato dalle allegazioni di parte (ex plurimis: Cass. n. 15631 del 2016);
neppure è necessaria la tipizzazione secondo una delle varie ipotesi previste
dalla legge non richiedendosi all’eccipiente anche di specificare a quale tra
le prescrizioni, diverse per durata, intenda riferirsi, spettando al giudice
stabilire se, in relazione alla domanda che può conoscere nel merito e al
diritto applicabile nel caso concreto, la prescrizione sia maturata (Cass. n.
15790 del 2016, Cass. n. 14576 del 2007). Resta fermo, tuttavia, che
l’eccezione di prescrizione deve sempre fondarsi su fatti allegati dalla parte
ed il debitore che la solleva ha l’onere di allegare e provare il fatto che,
permettendo l’esercizio del diritto, determina l’inizio della decorrenza del
termine, ai sensi dell’art. 2935 c.c., restando
escluso che il giudice possa accogliere l’eccezione sulla base di un fatto
diverso (ex plurimis: Cass. n. 15991 del 2018, Cass. n. 16326 del 2009);

6.2 La sentenza impugnata ha affermato l’errore del
giudice di primo grado per avere questi ritenuto maturato il termine di
prescrizione per decorso di oltre un quinquennio tra l’ultimo atto interruttivo
della prescrizione individuato nella domanda giudiziale definita dal Pretore di
Palermo con sentenza n. 437/1999, depositata il 2.9.1999, e la istanza di
riliquidazione dell’8.10.2004 inviata all’IPOST, sul rilievo che tali fatti non
avevano costituito oggetto di allegazione da parte dell’eccipiente. Tale
affermazione non è validamente contrastata dal motivo in esame la cui
illustrazione, essenzialmente affidata alla deduzione di non pertinenza della
giurisprudenza di legittimità richiamata dal giudice di appello ed alla
considerazione che nella fattispecie in esame veniva in rilievo una questio
iuris, non chiarisce, con riferimento alla originaria allegazioni e deduzione
della parte eccipiente ed allo sviluppo del contraddittorio sul punto nelle
fasi di merito, le ragioni della asserita configurabilità di una mera questione
di qualificazione in relazione alla pronunzia sulla prescrizione;

7. il terzo motivo di ricorso è infondato. La
sentenza impugnata ha ritenuto non decorso il termine di prescrizione in quanto
tra il momento del passaggio in giudicato – il 14.5.2003- della sentenza della
Corte dei conti che aveva declinato la giurisdizione nella controversia contro
l’IPOST e la data della missiva del 21.4.2008 diretta alla Gestione
commissariale era decorso un termine inferiore a cinque anni; la statuizione
costituisce applicazione degli artt. 2943 e 2945 cod. civ. in tema di interruzione del decorso
del termine prescrizionale fino al passaggio in giudicato della statuizione.

7.1. In ordine al nucleo centrale del motivo con il
quale si assume, in sintesi, l’errore del giudice di appello per avere
adombrato un fenomeno successorio della Gestione Commissariale a IPOST, ex art. 53, co. 6, lett. a) I. 449/97,
in difetto di soppressione della gestione separata dell’Istituto
Postelegrafonici, venendo in rilievo – si assume- un mero trasferimento ad
altro soggetto (il primo appunto) delle funzioni liquidatone dell’indennità di
buonuscita, pertanto non invocabile a fini di estensione di efficacia di un
atto interrutivo nei confronti del secondo al primo, lo stesso risulta privo di
pregio alla stregua della ricostruzione operata in condivisibili pronunzie di
questa Corte. In tali precedenti è stato, infatti, evidenziato come dal
disposto della L. 27 dicembre
1997, n. 449, art. 53, comma 6, lett. a), si evinceva che la Gestione
commissariale fosse titolare dei rapporti giuridici (già) facenti capo alla
Gestione separata istituita in seno all’Istituto Postelegrafonici ai sensi del
D.P.R. 8 aprile 1953, n. 542, art. 15, e divenuta competente “a
regime”, con decorrenza agosto 1994, in sostituzione dell’INPDAP, per la
erogazione della indennità di buonuscita spettante a tutto il personale
dipendente dell’Ente P.I., ai sensi del D.L. n. 487 del 1993, art.6,
comma 7, convertito nella L. n. 71 del 1994,
(recante la trasformazione in ente pubblico economico dell’Amministrazione
delle Poste e Telecomunicazioni, puntualizzandosi che <<È noto, infatti,
che la soppressione “ope legis” di un soggetto pubblico non determina
sempre e automaticamente il venir meno della sua personalità che, invece, si
prolunga anche per il periodo successivo alla entrata in vigore della
disposizione soppressiva tutte le volte in cui, per i rapporti (o per alcuni
dei rapporti) che al medesimo facevano capo, si apra una fase liquidatoria, la
cui gestione venga affidata – come nella specie – ad un organo appositamente
istituito in qualità di liquidatore dei rapporti pregressi (vedi Cass. 23
settembre 2004 n. 19133, 7 maggio 2003 n. 6940,
9 aprile 2001 n. 5279, 12 aprile 1986 n. 25905).>> ( Cass. 6410 del
2009);

8. il quarto motivo è inammissibile in quanto pur
denunziando violazione e falsa applicazione di norma di diritto non è
incentrato sul significato e sulla portata applicativa della norma della quale
è denunziata violazione ma in concreto inteso a contestare l’accertamento di
fatto del giudice di appello in ordine alla sussistenza dei presupposti che
giustificavano la inclusione dell’emolumento in questione tra quelli da
considerare nella liquidazione dell’indennità di buonuscita, questione non
espressamente affrontata dalla Corte di merito. Secondo l’insegnamento di questa
Corte, qualora una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti
di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il
ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine
di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha
l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al
giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso
per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia
fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la
veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione
stessa (Cass. n. 1435 del 2013, n. 20518 del
2008, Cass. n. 22540 del 2006), oneri questi non osservati dalla parte
ricorrente;

9. che in base alle considerazioni che precedono il
ricorso deve essere respinto;

10. che le spese seguono la soccombenza e sono
liquidate come da dispositivo;

11. che sussistono i presupposti processuali per il
versamento da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del
comma 1 bis dello stesso art. 13
(Cass. Sez. Un. 23535 del 2019);

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla
rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.000,00 per compensi
professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del
15% e accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1
bis dello stesso art. 13, se
dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 marzo 2020, n. 6760
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