Giurisprudenza – CORTE DICASSAZIONE – Ordinanza 04 marzo 2020, n. 6092

Contributi previdenziali, Riscossione, Rapporti interni tra
il concessionario alla riscossione e l’ente creditore, Diritto del
concessionario di essere manlevato dalle spese processuali del giudizio di
opposizione, Nozione di “spese esecutive”, Spese del giudizio di opposizione
– Inclusione

 

Rileva che

 

EQUITALIA SUD S.p.a. (avente causa dalla S. S.p.a.,
poi trasformatasi in Equitalia Lecce S.p.a. e infine incorporata per fusione
nella società odierna ricorrente) con atto notificato il 4 ottobre 2006
conveniva in giudizio l’INAIL (ente impositore) al fine di sentirlo dichiarare
obbligato al pagamento in suo favore della somma di euro 29.147,67 a titolo di
rimborso spese processuali, per aver dovuto corrispondere onorari e competenze
professionali ai legali che l’avevano assistita in diversi processi di
opposizione a cartelle esattoriali; giudizi in esito ai quali era stata
accertata l’irregolarità degli atti emessi dall’Istituto per motivi attinenti
al merito e non per vizi inerenti all’attività di riscossione. Il Tribunale di
Lecce rigettava la domanda con sentenza del 18 gennaio 2010, confermata poi
dalla locale Corte d’Appello con la pronuncia n. 501 del 6 / 28 giugno 2013
mediante rigetto del gravame interposto da EQUITALIA Lecce.

Avverso quest’ultima decisione, Equitalia Sud S.p.A.
ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 10 gennaio 2014, allegando
cinque motivi, cui ha resistito l’INAIL – Istituto Nazionale per
l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro, con controricorso in data 18 –
19 febbraio 2014, in seguito illustrato da memoria depositata in vista
dell’adunanza fissata per il 29 maggio 2019;

in relazione a detta adunanza, inoltre, è stata
depositata anche memoria difensiva di costituzione per l’AGENZIA delle ENTRATE
e RISCOSSIONE (“alla quale sono state trasmesse, a decorrere dal 1° luglio
2017 con D.C.P.M. del 5 giugno 2017,
pubblicato in G.U. n. 150 del 29 giugno 2017, tutte le funzioni di EQUITALIA
Servizi di Riscossione S.p.a., nella quale si era fusa per incorporazione
EQUITALIA Sud S.p.a., giusta l’atto per notar. M.D.L. di Roma del 17 giugno
2016 rep. 41564 – racc. 234000”), con gli avv.ti A. e A.P., domicilio
eletto in Roma presso lo studio dell’avv. F.F., in virtù di “mandato in
calce” allo stesso atto, con relativa autentica della firma del mandante (in
persona dell’avv. A.D.G., quale procuratore speciale di AGENZIA delle
ENTRATE-RISCOSSIONE – giusta procura conferita dal presidente p.t. della stessa
AGENZIA in data 3.12.2018 a mezzo notar M. D.L.), autenticata dagli stessi
difensori, con la quale sono state reiterate le difese e le richieste di cui al
precedente ricorso per cassazione nell’interesse di QUITALIA SUD S.p.a.;

 

Considerato che

 

in via preliminare, va disattesa l’eccezione di
inammissibilità del ricorso per cassazione, sollevata dall’Istituto
controricorrente per asserito difetto del requisito di specialità della procura
in calce allo stesso ricorso, laddove proprio la collocazione dell’atto,
riferibile evidentemente al ricorso medesimo, nonché il suo chiaro contenuto
(delega agli avv.ti A. P. e F.F. a rappresentare e difendere EQUITALIA SUD
S.p.a., già EQUITALIA ETR S.p.a. nel giudizio davanti alla Suprema Corte di
Cassazione contro l’I.N.A.I.L.) soddisfano ampiamente la specificità occorrente
in base alle regole dettate in materia dal codice di rito (v. peraltro Cass.
sez. un. civ. n. 108 del 10/04/2000: nel caso in cui la procura non espliciti
in modo chiaro la volontà di proporre ricorso in cassazione, mentre
l’apposizione del mandato a margine del ricorso già redatto esclude di per sé
ogni dubbio sulla volontà della parte di proporlo, quale che sia il tenore dei
termini usati nella redazione dell’atto, la mancanza di una prova siffatta e la
conseguente incertezza in ordine alla effettiva portata della volontà della
parte, non può tradursi in una pronuncia di inammissibilità del ricorso per
mancanza di procura speciale, ma va superata attribuendo alla parte la volontà
che consenta all’atto di procura di produrre i suoi effetti, secondo il
principio di conservazione dell’atto ex art. 1367
cod. civ., di cui è espressione, a proposito degli atti del processo, l’art. 159 cod. proc. civ.. In senso conforme, tra
le varie, Cass. lav. n. 5763 del 20/04/2002, Cass. I civ. n. 4868 del 7/3/2006
e n. 14970 del 2/7/2007.

V. parimenti Cass. I civ. n. 5722 del 19/04/2002,
secondo cui quando la procura al difensore è apposta in calce o a margine del
ricorso per cassazione, il requisito della specialità resta assorbito dal
contesto documentale unitario, derivando direttamente dalla relazione fisica
tra la delega e il ricorso, nonostante la genericità del testo della prima.

Conformi Cass. n. 137 del 9/01/2003, n. 7637 del
16/05/2003, n. 15738 del 13/08/2004, n. 5953 del
18/03/2005, n. 14611 del 12/07/2005, n. 17768 del 5/9/2005);

pertanto, nel caso di procura apposta in calce o a
margine del ricorso per cassazione, il requisito della specialità resta
assorbito dal contesto documentale unitario, derivando direttamente dalla
relazione fisica tra la delega, ancorché genericamente formulata, e il ricorso,
nonostante la genericità del testo della prima;

deve rilevarsi, altresì, l’ammissibilità della
suddetta comparsa d’intervento dell’AGENZIA delle ENTRATE – RISCOSSIONE, che è
subentrata come per legge alla EQUITALIA SUD S.p.a., di modo che appare
applicabile la formulazione dell’art. 83, comma
III, c.p.c., previgente all’entrata in vigore dell’art. 45 della I. n. 69 del 2009,
la quale in effetti già contemplava tra gli atti cui la procura speciale è
riferibile anche la comparsa d’intervento, la cui nozione va quindi intesa in
senso lato al fine di consentire l’esercizio della difesa in giudizio dei
propri diritti, costituzionalmente tutelato, sicché in tale chiave di lettura
non può negarsi al successore il diritto di far valere le sue ragioni,
attraverso anche memorie illustrative, pure nel giudizio di legittimità, una
volta venuto meno il proprio dante causa, non potendo intendersi la normativa
processuale in materia in senso strettamente formalistico mediante una sua
lettura eccessivamente restrittiva (cfr. d’altro canto anche Cass. V civ. n. 28741 del 09/11/2018, secondo cui
l’estinzione “ope legis” delle società del gruppo Equitalia ai sensi
dell’art. 1 del d.l. n. 193 del
2016, conv. in I. 225 del 2016, non
determina l’interruzione del processo, trattandosi di una forma di successione
nel diritto controverso, né la necessità di costituzione in giudizio
dell’Agenzia delle Entrate Riscossione: ne deriva che il nuovo ente, ove si
limiti a subentrare negli effetti del rapporto processuale pendente al momento
della sua istituzione, senza formale costituzione in giudizio, può validamente
avvalersi dell’attività difensiva espletata dall’avvocato del libero foro già
designato da Equitalia secondo la disciplina previgente.

Né, tuttavia, è possibile sottacere la norma di
interpretazione autentica di cui all’art. 4 – novies del d.l. 30 aprile
2019, n. 34, convertito con modificazioni dalla sopravvenuta legge 28 giugno 2019, n. 58, che così
testualmente quale recita: «Il comma
8 dell’articolo 1 del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, convertito,
con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2016,
n. 225, si interpreta nel senso che la disposizione dell’articolo 43, quarto comma, del
testo unico di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, si applica
esclusivamente nei casi in cui l’Agenzia delle entrate-Riscossione, per la
propria rappresentanza e difesa in giudizio, intende non avvalersi dell’Avvocatura
dello Stato nei giudizi a quest’ultima riservati su base convenzionale; la
medesima disposizione non si applica nei casi di indisponibilità della stessa
Avvocatura dello Stato ad assumere il patrocinio». Detta norma di
interpretazione autentica non giustifica più l’applicazione dell’istituto del
patrocinio c.d. autorizzato da parte dell’Avvocatura erariale nella sua
impostazione tradizionale, fatta propria dalle pronunce della sezione
tributaria di questa Corte, ma non sostenibile già in precedenza, alla stregua
del tenore testuale della norma istitutiva dell’Agenzia e di una sua
interpretazione sistematica, secondo quanto al riguardo chiarito dalle Sezioni
Unite di questa S.C. con la sentenza n. 30008/22 ottobre – 19 novembre 2019,
intervenuta nelle more della pubblicazione di questa pronuncia, di cui
ovviamente non è possibile non tener conto, avendo la stessa enunciato i
seguenti principi di diritto, ai sensi dell’art.
363, comma terzo, cod. proc. civ.: «impregiudicata la generale facoltà di
avvalersi anche di propri dipendenti delegati davanti al tribunale ed al
giudice di pace, per la rappresentanza e la difesa in giudizio l’Agenzia delle
Entrate – Riscossione si avvale: – dell’Avvocatura dello Stato nei casi
previsti come ad essa riservati dalla convenzione con questa intervenuta (fatte
salve le ipotesi di conflitto e, ai sensi dell’art. 43, comma 4, r.d. 30
ottobre 1933, n. 1933, di apposita motivata delibera da adottare in casi
speciali e da sottoporre all’organo di vigilanza), oppure ove vengano in
rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici, ovvero, in
alternativa e senza bisogno di formalità, né della delibera prevista dal
richiamato art. 43, comma 4, r.d. cit., – di avvocati del libero foro – nel
rispetto degli articoli 4 e 17 del decreto legislativo 18 aprile
2016, n. 50 e dei criteri di cui agli atti di carattere generale adottati ai
sensi del comma 5 del medesimo
art. 1 d.l. 193 del 2016 – in tutti gli altri casi ed in quelli in cui,
pure riservati convenzionalmente all’Avvocatura erariale, questa non sia
disponibile ad assumere il patrocinio», «quando la scelta tra il patrocinio
dell’Avvocatura erariale e quello di un avvocato del libero foro discende dalla
riconduzione della fattispecie alle ipotesi previste dalla Convenzione tra
l’Agenzia e l’Avvocatura o di indisponibilità di questa ad assumere il
patrocinio, la costituzione dell’Agenzia a mezzo dell’una o dell’altro postula
necessariamente ed implicitamente la sussistenza del relativo presupposto di
legge, senza bisogno di allegazione e di prova al riguardo, nemmeno nel
giudizio di legittimità» : tanto premesso, con il primo motivo, la ricorrente
deduce la violazione o falsa applicazione dell’art.
2909 cod. civ., in relazione all’art. 360,
comma primo, n. 3, cod. proc. civ., contestando la sussistenza del
giudicato esterno, ostativo alle pretese azionate dalla società concessionaria
del servizio di riscossione, per contro rilevato dalla Corte territoriale,
secondo cui detto giudicato dipendeva dalla mancata impugnazione, da parte
dell’interessata, delle sentenze pronunciate nei vari giudizi (nei quali la
medesima concessionaria si era costituita), definiti con accoglimento delle
opposizioni avverso le cartelle esattoriali per vizi di merito concernenti le
richieste contribuzioni, estranei quindi all’operato della concessionaria, ma
con la compensazione delle relative spese processuali; il motivo appare fondato
alla stregua di quanto in un caso del tutto analogo a quello della fattispecie
qui in esame è stata cassata, con rinvio, altra consimile pronuncia della Corte
leccese (v. Cass. III civ. – sentenza n. 12612 del 22 marzo – 19 maggio 2007),
laddove è stato affermato il seguente condivisibile principio di diritto: in
tema di esecuzione c.d. esattoriale, quando l’opposizione proposta dal debitore
è accolta in relazione a vizi del procedimento o di merito ascrivibili
esclusivamente all’ente creditore, il diritto del concessionario del servizio
di riscossione di essere manlevato dall’ente medesimo dal pagamento dei compensi
professionali dei propri difensori può essere esercitato nell’ambito del
medesimo giudizio ovvero in separata sede; nel primo caso, qualora il giudice
non accolga la domanda di manleva o non provveda sulla stessa, il
concessionario dovrà coltivare gli ordinari rimedi impugnatori, nell’altra
ipotesi, invece, la disposta compensazione delle spese processuali fra
l’opponente e oli opposti non determina alcun giudicato nei rapporti interni
fra il concessionario e l’ente creditore: la Corte d’Appello ha rilevato
d’ufficio l’intervenuta formazione del giudicato sulle statuizioni concernenti
le spese processuali contenute nelle sentenze in cui l’ente impositore era
risultato soccombente per questioni di merito attinenti alle richieste
contribuzioni. Ha, infatti, ritenuto che la pretesa fatta valere dal
concessionario dei servizi di riscossione derivi «direttamente dalla
regolamentazione delle spese processuali disposta nelle sentenze rese da vari
giudici nei giudizi di opposizione» e che pertanto, in ultima analisi,
Equitalia Sud S.p.a. avrebbe dovuto impugnare quelle decisioni, piuttosto che
introdurre per il medesimo titolo un nuovo ed autonomo giudizio. Ha aggiunto
che la compensazione delle spese processuali «tra opponenti ed opposti» si
estende anche ai rapporti fra questi ultimi (ossia fra l’ente impositore e
l’agente di riscossione). Invero, le sentenze pronunciate su ogni singola
opposizione fanno stato soltanto nei rapporti fra opponente e resistenti e non
concernono affatto i rapporti “interni” di regresso e manleva fra
questi ultimi. Equitalia Sud S.p.A. agisce per recuperare dall’INAIL le spese
sostenute per la propria difesa nei giudizi de quibus, laddove si era
costituita, non delle spese di lite rimborsate agli opponenti.

Quindi non sussiste alcun giudicato – neppure
implicito – sul diritto dell’agente di riscossione di recuperare dall’ente
impositore le spese legali sostenute per costituirsi in un giudizio, la cui
instaurazione è stata determinata da errori dello stesso ente e non per vizi
inerenti all’attività di riscossione. Questa Corte, in una precedente
occasione, ha affermato che la disposta compensazione delle spese fra le parti
dei giudizi di opposizione ad ordinanza – ingiunzione riguarda tutte le parti
opponenti ed opposti; con la conseguenza che la ricorrente avrebbe dovuto
censurare un tale provvedimento con gli ordinari rimedi impugnatori (Sez. 3,
Sentenza 25/02/2016, n. 3697, non massimata). Ed inoltre ha ritenuto che
l’agente di riscossione avrebbe potuto far valere in sede di impugnazione della
sentenza l’eventuale omessa pronuncia sul capo delle spese relative ai rapporti
fra ente impositore e concessionario della riscossione. Tale pronuncia,
tuttavia, va raccordata a un altro recente arresto di questa Corte, secondo
cui, poiché l’agente di riscossione ha un vero e proprio onere di chiamare in
causa l’ente “creditore interessato” (art. 39 d.lgs. 13 aprile 1999, n.
112), onde evitare di subire le conseguenze negative della lite, il medesimo
agente ha la facoltà, altresì, di chiedere di essere manlevato dal chiamato,
quando la contestazione ritenuta fondata non riguardi atti commessi dal
medesimo agente, ma vizi di procedimento o di merito ascrivibili esclusivamente
all’altro (Sez. 6-3, Ordinanza 07/02/2017, n. 3154, non massimata). Ne deriva
che gli anzidetti precedenti involgono questioni che vanno coordinate fra di
loro: a norma dell’art. 39
d.lgs. 13 aprile 1999, n. 112, il concessionario del servizio di
riscossione dei tributi, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano
esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare
in causa l’ente creditore interessato; in mancanza, risponde delle conseguenze della
lite. L’art. 17, comma 2, lett.
b, del d.lgs. n. 112 del 1999 indica, fra gli “oneri di
riscossione”, le spese esecutive; dette spese in parte sono poste a carico
del debitore e in parte vengono rimborsate dell’ente creditore (art. 17, comma 3), ma restano
interamente a carico di quest’ultimo in caso di definitiva inesigibilità (comma
4). Tali disposizioni ribadiscono la regola posta già dall’art. 61, comma 4, d.P.R. 28
gennaio 1988, n. 43, secondo cui al concessionario spettava il rimborso
delle spese delle procedure esecutive. Nel concetto di “spese esecutive”
rientrano tanto le spese legali per l’azione esecutiva in senso stretto (con
particolare riferimento all’ipotesi in cui il 6 concessionario, anziché operare
come agente di riscossione, procede al recupero dei crediti secondo le
ordinarie procedure civilistiche, a norma dell’art. 21 del d.lgs. n. 112 del 1999),
quanto quelle occorrenti per resistere in giudizio alle opposizioni proposte
dal debitore o da terzi. Dunque, il concessionario ha diritto ad essere
manlevato dall’ente creditore dalle spese sostenute per la remunerazione dei
propri legali. Il concessionario ha la facoltà, ma non l’onere, di esercitare
tale diritto anche nello stesso giudizio di opposizione, in cui comunque deve
chiamare in causa l’ente creditore interessato, perché altrimenti risponde
delle conseguenze della lite (Sez. 6-3, Ordinanza 07/02/2017, n. 3154, cit.).

Qualora la domanda di manleva sia formulata
nell’ambito del giudizio di opposizione e il giudice non l’accolga o non
provveda sulla stessa, il concessionario quindi dovrà coltivare gli ordinari
rimedi impugnatori (Sez. 3, Sentenza 25/02/2016, n. 3697, cit.). Tuttavia, se
il concessionario non esercita la domanda di manleva in sede di opposizione
all’esecuzione, egli non perde l’azione e potrà esercitarla in separata sede.
Dunque, la Corte distrettuale ha errato affermando che «le spese processuali
vennero compensate tra tutte le parti, sicché risulta arbitrario sostenere che
tale statuizione non abbia riguardato il rapporto tra gli “opposti”».
Il concetto di “parte del giudizio”, infatti, ha natura relazionale:
l’agente di riscossione e l’ente impositore sono entrambi controparti
dell’opponente, ma non sono controparti reciproche, a meno che l’uno non
proponga domanda di manleva nei confronti dell’altro. La compensazione delle
spese legali, pertanto, non si estende ai rapporti interni fra i due
“opposti”, giacché gli stessi non sono posti fra loro in una
posizione di vittorioso e soccombente o di soccombenti reciproci. Né varrebbe
osservare – come sembra invece sottintendere la Corte d’Appello – che il
giudicato copre il dedotto e il deducibile, perché il principio riguarda le
eccezioni e le difese che si sarebbero potute dedurre in relazione al thema
decidendum e non può essere esteso ad eventuali ulteriori pretese fra le parti
di cui non si dibatte affatto nel giudico poiché estranee al petitum e alla
causa petendi;

pertanto, alla stregua delle anzidette
considerazioni, va anche nel caso di specie qui in esame ribadito il principio
di diritto, secondo cui in tema di esecuzione c.d. esattoriale, quando
l’opposizione proposta dal debitore è accolta in relazione a vizi del
procedimento o di merito ascrivibili esclusivamente all’ente creditore, il
diritto del concessionario del servizio di riscossione di essere manlevato dall’ente
medesimo dal pagamento dei compensi professionali dei propri difensori può
essere esercitato nell’ambito del medesimo giudizio ovvero in separata sede.
Nel primo caso, qualora il giudice non accolga la domanda di manleva o non
provveda sulla stessa, il concessionario dovrà coltivare gli ordinari rimedi
impugnatori; nell’altra ipotesi, invece, la disposta compensazione delle spese
processuali fra l’opponente e gli opposti non determina alcun giudicato nei
rapporti interni fra il concessionario e l’ente creditore;

in conclusione, il primo motivo deve essere accolto,
unitamente al terzo – con il quale parte ricorrente ha censurato l’affermazione
della Corte distrettuale, secondo cui nella vicenda esaminata era irrilevante
la normativa richiamata dall’allora appellante in relazione al d.m. 21 novembre 2000, in relazione alla
disciplina di cui all’art. 17
del decreto legislativo n. 13 aprile 1999, n. 112 (riordino del servizio
nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337, in vigore dal
primo luglio 1999, più volte in seguito modificato) in tema “remunerazione
del servizio” (<<i. L’attività dei concessionari viene remunerata
con un aggio sulle somme iscritte a ruolo riscosse; l’aggio è pari ad una
percentuale di tali somme da determinarsi, per ogni biennio, con decreto del
Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e
della programmazione economica, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale entro il
30 settembre dell’anno precedente il biennio di riferimento, sulla base dei
seguenti criteri: 2. L’aggio, al netto dell’eventuale ribasso, è aumentato, per
i singoli concessionari, in misura pari ad una percentuale delle maggiori
riscossioni conseguite rispetto alla media dell’ultimo biennio rilevabile per
lo stesso ambito o, in caso esso sia variato, per ambito corrispondente. Tale
percentuale è determinata, anche in modo differenziato per settori, sulla base
di fasce di incremento degli importi riscossi nel decreto previsto dal comma 1.
3. L’aggio di cui al comma 1 è a carico del debitore in misura non superiore al
4,65 per cento della somma iscritta a ruolo; la restante parte dell’aggio è a
carico dell’ente creditore. L’aggio a carico del debitore è dovuto soltanto in
caso di mancato pagamento entro la scadenza della cartella di pagamento e la
sua misura è determinata con il decreto previsto dal comma 1.

4. Per i ruoli emessi da uffici statali le modalità
di erogazione dell’aggio previsto dal comma 1 vengono stabilite con decreto del
Ministero delle finanze, di concerto con il Ministero del tesoro, del bilancio
e della programmazione economica. Per gli altri ruoli l’aggio viene trattenuto
dal concessionario all’atto del versamento all’ente impositore delle somme
riscosse….

6. Al concessionario spetta il rimborso delle spese
relative alle procedure esecutive, sulla base di una tabella approvata con
decreto del Ministero delle finanze, con il quale sono altresì stabilite le
modalità di erogazione del rimborso stesso. Tale rimborso è a carico: a)
dell’ente creditore, se il ruolo viene annullato per effetto di provvedimenti
di sgravio o se il concessionario ha trasmesso la comunicazione di
inesigibilità di cui all’articolo 19, comma 1; b) del debitore, negli altri
casi. 7. In caso di delega di riscossione, i compensi, corrisposti dall’ente
creditore al delegante, sono ripartiti in via convenzionale fra il delegante ed
il delegato in proporzione ai costi da ciascuno sostenuti>>.

Visto, inoltre, che il giudizio di merito risulta
introdotto con citazione notificata il 4 ottobre 2006, possono nella specie
rilevare, in particolare, le seguenti integrazioni:

1. DECRETO LEGISLATIVO
17 agosto 1999, n. 326 che con l’art. 3, comma 1, lettera a)
introduceva il comma 5-bis <<Perla riscossione spontanea a mezzo ruolo
delle entrate non erariali l’aggio del concessionario è stabilito, con il
decreto di cui al comma 1, tenuto conto dei costi di svolgimento del relativo
servizio e, in ogni caso, in misura inferiore a quella prevista per le altre
forme di riscossione mediante ruolo>>;

2. con decorrenza 9-6-2001 il DECRETO LEGISLATIVO 27 aprile 2001, n. 193 con l’art. 3, comma 1, lettera b)
introduceva i commi 7-bis e 7-ter all’art. 17 <<7-bis. In caso di
emanazione di un provvedimento dell’ente creditore che riconosce, in tutto o in
parte, non dovute le somme iscritte a ruolo, a! concessionario spetta un
compenso per l’attività di esecuzione di tale provvedimento: la misura e le
modalità di erogazione de! compenso sono stabilite con il decreto previsto dal
comma 6. Sulle somme riscosse e riconosciute indebite non spetta l’aggio di cui
ai commi 1 e 2.

7-ter. Le spese di notifica della cartella di
pagamento sono a carico del debitore nella misura di lire seimila; tale importo
può essere aggiornato con decreto del Ministero delle finanze>>.

Il testo – in vigore fin dal primo luglio 1999 –
dell’art. 39, rubricato “Chiamata in causa dell’ente creditore” è
rimasto, invece, inalterato nella seguente formulazione: <<il
concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano
esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare
in causa l’ente creditore interessato; in mancanza, risponde delle conseguenze
della lite>>); pertanto, come pure ritenuto dalla succitata pronuncia di
questa Corte n. 12612 del 22/03 – 19/05/2017, in base alla disciplina dettata
in materia dal d.l.no n. 112/99, cui il d.m. 21 novembre 2000 dell’allora MINISTERO delle
FINANZE (Fissazione della misura del rimborso delle spese relative alle
procedure esecutive spettante ai concessionari del servizio nazionale della
riscossione mediante ruolo, e relative modalità di erogazione ai sensi dell’art. 17, comma 6, del decreto
legislativo 13 aprile 1999, n. 112, in G. U. Serie Generale n. 30 del
06-02-2001) evidentemente si ricollega, non appare corretta una lettura
restrittiva della nozione di “spese esecutive”, sicché vi rientrano
non soltanto le spese per l’azione esecutiva in senso stretto (con particolare
riferimento all’ipotesi in cui il concessionario, anziché operare come agente
di riscossione, procede al recupero dei crediti secondo le ordinarie procedure
civilistiche, a norma dell’art.
21 del d.lgs. n. 112 del 1999), ma anche quelle necessarie per resistere in
giudizio alle opposizioni proposte dal debitore o da terzi, di guisa che il
concessionario ha diritto ad essere manlevato dall’ente creditore dalle spese
sostenute per la remunerazione dei propri legali, diritto esercitabile non
esclusivamente nello stesso giudizio di opposizione, in cui comunque deve
chiamare in causa l’ente creditore interessato, ma anche separatamente, sicché
nella sola prima ipotesi, ossia qualora la domanda di manleva sia formulata
nell’ambito del giudizio di opposizione, è possibile la formazione del
giudicato preclusivo laddove la parte interessata ometta di impugnare la
decisione giudiziale che rigetti la domanda ovvero non vi provveda; per contro,
le altre censure mosse da parte ricorrente (2° motivo ex art. 360 n. 5 circa la costituzione dell’agente
della riscossione nei giudizi di opposizione de quibus – 4° ex art. 360 n. 3 c.p.c. in ordine alla subordinata
pretesa risarcitoria ex art. 2043 c.c. – 5°
circa la dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. in ordine alla possibilità per il
giudicante di qualificare giuridicamente la domanda in modo corretto,
indipendentemente dai riferimenti sul punto della parte interessata, però sulla
scorta delle medesime circostanze fattuali dedotte in giudizi, ai fini
dell’invocato rimborso pure ex art. 1720 c.c.)
devono ritenersi assorbite, sicché le relative connesse questioni andranno
all’occorrenza esaminate nel conseguente giudizio di rinvio, in cui la Corte
territoriale, in diversa composizione, tenuto conto dei principi di diritti
sopra enunciati e valutate le acquisite processuali, espletata l’istruttoria
del caso, dovrà pronunciarsi nelle merito sulla fondatezza o meno delle pretese
azionate da parte attrice, provvedendo quindi all’esito sulle spese, ivi
comprese quelle relative a questo giudizio di legittimità;

infine, atteso l’esito positivo dell’impugnazione
qui proposta non ricorrono i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 2002.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso;
dichiara assorbiti gli altri motivi (2°, 4° e 5°); cassa la sentenza impugnata
in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Appello di Lecce, in
diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n.
115/2002, dà atto della NON sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato.

Giurisprudenza – CORTE DICASSAZIONE – Ordinanza 04 marzo 2020, n. 6092
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