Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 aprile 2020, n. 12440

Infortunio sul lavoro, Legale rappresentante responsabile di
omicidio colposo, Omessa cooperazione con la ditta subappaltatrice nella
individuazione e valutazione dei rischi e nell’attuazione delle misure di
prevenzione e di protezione, Complessità della struttura societaria,
Estraneità alla gestione del rischio connesso al coordinamento, Delega degli
obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di
lavoro, Atto di delega deve riguardare un ambito ben definito e non l’intera
gestione aziendale

 

Ritenuto in fatto

 

1. La Corte di Appello di Venezia con sentenza
pronunciata in data 25 Ottobre 2018 confermava la decisione del Tribunale di
Rovigo che aveva riconosciuto B.B., legale rappresentante della ditta E.B.
s.p.a. responsabile di omicidio colposo con inosservanza della disciplina in
materia di infortuni sul lavoro ai danni del lavoratore A.M. e lo aveva
condannato alla pena di anni uno mesi quattro di reclusione, pena condonata ai
sensi dell’art.1 L. n.241/06.

2. A B.B. veniva contestata l’inosservanza dell’art.7 del D.Lgs. 19.9.1994 n.626
perché nella sua qualità di titolare della impresa appaltatrice dei lavori
ometteva di promuovere la cooperazione con la ditta subappaltatrice EDILIZA B.,
omettendo di collaborare con essa nella individuazione e valutazione dei rischi
e nell’attuazione delle misure di prevenzione e di protezione, omettendo di
verificare che la ditta subappaltatrice, nella esecuzione dei lavori di
“oliatura del cassero”, installasse ed utilizzasse adeguate opere
provvisionali, quali trabattelli e cavalletti, idonee a prevenire la caduta
dall’alta ed eseguire tali lavori in sicurezza.

3. Il giudice distrettuale in primo luogo escludeva
di dovere procedere alla integrazione dell’istruttoria dibattimentale al fine
di approfondire, su sollecitazione della difesa del ricorrente che all’uopo
aveva sviluppato una indagine difensiva mediante l’assunzione di informazioni,
il tema della consapevolezza da parte dell’imputato della presenza nel cantiere
di operai della B. che si occupavano dei lavori di carpenteria, dal momento che
era stata la stessa società E.B. s.p.a. a concedere le opere in subappalto a
società (CFM) che le aveva subappaltate alla B. che vi lavorava da circa
quindici mesi, nella consapevolezza del CSE (V.) e delle stesse maestranze
della E.B. (P.), laddove lo stesso imputato risultava avere frequentato il
cantiere almeno con cadenza mensile.

3.1 Sotto diverso profilo escludeva che il B., in
ragione della complessità della struttura societaria, articolata in distinte
unità operative e in diversificate posizioni di garanzia, con numerosissimi
cantieri aperti, potesse ritenersi estraneo alla gestione del rischio connesso
al coordinamento dell’attuazione delle misure di sicurezza nel cantiere in
esame. A tale proposito evidenziava come nonostante l’esistenza in cantiere di
alcune figure di preposto e di direttore dei lavori, faceva difetto una
specifica delega di funzioni con delimitazione dell’ambito di responsabilità e
indicazione dei poteri di spesa, di talchè all’assunzione di fatto di tali
vesti di garanzia non corrispondeva una investitura ufficiale tale da fare
escludere la responsabilità dell’amministratore ricorrente, non avendo questi
definito ruoli e competenze in materia di sicurezza dei suoi dipendenti pure
presenti sul cantiere.

3.2 Quanto al merito della responsabilità evidenziava
come il B. avesse omesso di verificare la idoneità tecnico organizzativa della
B. e di coordinare l’attività della sua impresa che di fatto gestiva il
cantiere, con quella che operava in cantiere per la esecuzione di specifiche
opere di carpenteria ed era chiamata a utilizzare impalcature e tavole fornite
dall’appaltatrice, senza che questa avesse dismesso una ingerenza nelle
suddette lavorazioni.

3.3 Escludeva infine che l’assoluzione in un
separato giudizio del CSE V. potesse ridondare favorevolmente sulla posizione
dell’imputato ricorrente, sia in ragione del diverso rito prescelto e della
diversità del materiale probatorio acquisito, sia per il fatto che l’ambito di
garanzia del coordinatore atteneva al rischio interferenziale.

4. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso
per cassazione la difesa dell’imputato prospettando due motivi di doglianza.

Con un primo motivo ha dedotto violazione di legge
in relazione agli art. 40, 42 e 43 cod.pen.,
in primo luogo per essere stata riconosciuta in capo all’imputato la posizione
di garanzia in relazione all’infortunio occorso al dipendente ignorando che,
anche in considerazione delle dimensioni aziendali, la verifica del rispetto
della disciplina antinfortunistica era rimessa ad una serie di figure
intermedie. Sotto diverso profilo rappresentava come fosse mancata un’adeguata
verifica della ricorrenza di relazione causale tra le omissioni contestate
all’imputato e l’evento dannoso laddove il B. aveva individuato e posto nel
cantiere almeno tre figure tutoriali che avevano assunto di fatto la gestione
del cantiere e vigilavano sulla esecuzione dei lavori e sul rispetto della
disciplina antinfortunistica. Rilevava inoltre che profili interruttivi della
causalità andavano altresì individuati nel comportamento abnorme della persona
offesa, che si era posto a lavorare sopra il cassero omettendo di utilizzare
tavole e cavalletti per eseguire gli interventi di disarmo, di talchè nessun
comportamento alternativo poteva ritenersi esigibile in capo al prevenuto.

4.1 Evidenziava ancora che l’assoluzione del V.,
direttore dei lavori e coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e
anche in fase di esecuzione, si poneva in insanabile contrasto con la pronuncia
di responsabilità in capo al B. in ragione della medesimezza del rimprovero
mosso per difetti di controllo in sede esecutiva.

Difettava altresì la prevedibilità in concreto
dell’evento atteso che nessuno aveva informato il ricorrente dell’intervenuto
sub appalto delle opere di carpenteria alla ditta B..

4.2 Con una separata articolazione si denuncia
violazione di legge per mancata assunzione da parte del giudice di appello di
prova decisiva, consistita nella testimonianza M., responsabile amministrativa
della E.B. e moglie dell’imputato, in ordine alla non conoscenza da parte
dell’imputato del fatto che la ditta subappaltatrice (CFM) di cui l’imputato
aveva il massimo affidamento, si era avvalsa di altra impresa, non
specializzata, per la esecuzione delle opere di carpenteria e quindi in punto
di non prevedibilità e prevenibilità dell’evento dannoso.

 

Considerato in diritto

 

1. Assolutamente infondato è il secondo motivo di
ricorso con il quale il ricorrente chiede l’annullamento della pronuncia
impugnata per mancata assunzione di prova decisiva. Invero afferma il S.C. che
l’art. 603, commi primo e terzo cod. proc. pen.,
che stabilisce la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in grado di
appello quando il giudice è impossibilitato a decidere allo stato degli atti e
ritiene assolutamente necessaria la prova richiesta, interpretato alla luce
dell’art. 111 Cost., consente al giudice – nel
caso in cui la situazione processuale presenti effettivamente un significato
incerto – di ammettere la prova richiesta che venga ritenuta decisiva ed
indispensabile, ossia che possa apportare un contributo considerevole ed utile
al processo, risolvendo i dubbi o prospettando una soluzione differente
(sez.III, 7.4.2004 n. 21687 Modi ed altro, Rv.228920; Sez. U,17/12/2015
n.12602, Ricci, Rv. 266820). Deve pertanto ritenersi la rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale net giudizio di appello una evenienza eccezionale,
subordinata ad una valutazione giudiziale di assoluta necessità conseguente
all’insufficienza degli elementi istruttori già acquisiti, che impone
l’assunzione di ulteriori mezzi istruttori pur se le parti non abbiano
provveduto a presentare la relativa istanza nel termine stabilito dall’art. 468 cod. proc. pen. (sez.II, 2.9.2013 n. 41808). In definitiva
non solo il giudice di appello non era tenuto ad addivenire alla richiesta di
rinnovazione della istruttoria dibattimentale sul presupposto della allegazione
di una possibile fonte di nuova conoscenza, rispetto al patrimonio probatorio
già presente agli atti e cristallizzato nella scelta del rito opzionato, ma al
contempo il giudice di appello ha adeguatamente rappresentato la mancanza del
profilo di decisività al nuovo mezzo di prova assumendone la intrinseca
debolezza a fronte delle ulteriori acquisizioni (deposizione di una dipendente
della E.B. s.p.a., moglie dell’imputato) e l’inidoneità a ribaltare
l’accertamento di un fatto, già ampiamente rappresentato anche sulla base di
fonti documentali (contratto di sub appalto, teste P.). Da tali emergenze il
giudice distrettuale traeva l’inferenza che era acquisita agli atti del
giudizio la circostanza che la società subappaltatrice CFM aveva la facoltà di
subappaltare i lavori affidati, che il P. (preposto della E.B. s.p.a.) era a
conoscenza del subappalto dei lavori di carpenteria alla società B.F., che la
B.F. operava nel cantiere da oltre un anno al momento del verificarsi
dell’infortunio e che il ricorrente B. era solito presentarsi in cantiere
almeno una volta al mese, così da potersi ritenere accertato che lo stesso
avesse appreso personalmente, o attraverso il preposto P., che non era la ditta
CFM ad occuparsi delle opere bensì di impresa in sub appalto.

2. Infondato è il primo motivo di ricorso. Nessun
dubbio sussiste sul fatto che B. B. abbia rivestito al momento del fatto la
qualifica formale di legale rappresentante, responsabile della gestione della
società E.B. s.p.a. e pertanto costituiva la massima espressione della
rappresentanza e della operatività dell’azienda e su di esso correva l’obbligo
primario di procedere alla valutazione dei rischi e di assicurare la sicurezza
e l’adozione di misure di prevenzione sul luogo di lavoro
(Sez.IV,1.2.2017,0ttavi, Rv. 269133; 29.1.2019, Ferrari, Rv.276335), e
conseguentemente di predisporre il conseguente documento di valutazione.

Quanto ai profili formali dell’assunzione della
qualifica di datore di lavoro in materia di infortuni sul lavoro gli obblighi
di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro,
possono essere trasferiti con conseguente subentro del delegato nella posizione
di garanzia che fa capo al delegante, a condizione che il relativo atto di
delega ex art. 16 del D.Lgs. n.
81 del 2008 riguardi un ambito ben definito e non l’intera gestione
aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto
qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi
poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa (Sez. U, n. 38343 del
24/04/2014 – dep. 18/09/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 26110801;
SEZ.iv, 16.12.2015, Raccuglia, Rv.265947).

3. Appare evidente che manca nella specie qualsiasi
elemento da cui inferire la presenza dei requisiti essenziali per consentire un
trasferimento di una o più funzioni dal soggetto delegante, facendo totalmente
difetto una delega formale volta a definire l’ambito circoscritto, o ben
definito, delle competenze trasferite, risolvendosi in una mera allegazione
difensiva il generico riferimento alla presenza sul cantiere di soggetti
preposti alla vigilanza, alla direzione dei lavori e alla sicurezza; se da un
lato tale allegazione difensiva può valere alla individuazione di ulteriori
figure tutoriali, dall’altra non risulta idonea all’esonero di responsabilità
in capo al soggetto che è gravato della gestione dell’impresa e unisce in sé i
poteri di indirizzo, di spesa e di amministrazione. Semmai risulta accertato
l’esercizio da parte di terzi della gestione esecutiva dell’attività aziendale
ma, contrariamente a quanto rappresentato nel primo motivo di ricorso, non è
affatto vero che il concreto atteggiarsi delle lavorazioni sfuggiva ai poteri
di indirizzo e di coordinamento comunque riconosciuti all’amministratore
ricorrente.

3.1 Invero il giudice di legittimità, pur
distinguendo la posizione del preposto di fatto sul luogo di lavoro dalla
delega di funzioni, ha ampiamente affermato che, pur in presenza di un
esercizio di fatto di una posizione di garanzia all’interno del luogo di
lavoro, sia essa determinata da un atto di ingerenza piuttosto che da una
distribuzione di incarichi non formalizzati, giammai si realizza una ipotesi di
esonero di responsabilità del titolare effettivo della posizione di garanzia,
ma semmai si costituisce una figura alternativa di garanzia, che potrebbe
essere chiamata a rispondere sulla base del principio di effettività richiamato
dall’art.299 D.Lgs. n. 81/2008
(sez.IV, 28.2.2014 Consol rv. 259224, 18.12.2012 Marigioli rv 226339, 9.2.2012
Pezzo rv. 253850).

4. Quanto alle censure sviluppate sui profili
soggettivi della colpa non appare invero corretto l’approccio della parte
ricorrente al complesso problema della gestione del rischio connesso
all’ambiente di lavoro, con particolare riferimento agli obblighi di
cooperazione e coordinamento tra la ditta appaltatrice e quella subappaltatrice
chiamata ad eseguire specifiche lavorazioni utilizzando peraltro strumenti di
lavoro, impalcature assi, tavole e cavalletti posti a disposizione della
impresa affidataria la quale di fatto aveva il controllo del cantiere anche con
riferimento alle opere concesse in sub appalto, avendo essa conservato poteri
di ingerenza e di gestione del luogo di lavoro. Invero con riferimento alla
posizione del subappaltatore il S.C. ha affermato che in tema di prevenzione
degli infortuni sul lavoro il sub committente è sollevato dai relativi obblighi
solo ove i lavori siano subappaltati per intero, cosicchè non possa più esservi
alcuna ingerenza da parte dello stesso nei confronti del subappaltatore
(sez.IV, 5.6.2008, Riva e altro, Rv. 240314; sez.IV 20.11.2009, Fumagalli e
altri, Rv.246302).

6. Orbene pur mancando all’epoca dei fatti un
obbligo specifico di formare un documento unico che garantisse la condivisione
normativa tra committente e appaltatore delle misure volte a prevenire e a
fronteggiare il rischio derivante dalla coesistenza o dall’alternarsi
all’interno di una azienda di lavorazioni in grado di “interferire”,
certamente esisteva una specifica disciplina (art.7 D.L.vo 1994/626 peraltro
oggetto di contestazione all’imputato) che onerava il committente di promuovere
la cooperazione e il coordinamento in un ambito nevralgico e fonte di rischi.

6.1 Prevede l’art.7 I comma del testo citato
(vigente alla data  dell’infortunio) che
il datore di lavoro in caso di affidamento dei lavori all’interno della
azienda, ovvero della unità produttiva a imprese appaltatrici o a lavoratori
autonomi …b) fornisce agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui
rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare e
sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria
attività.

Trattasi invero di regola generale diretta a porre
l’appaltatore o il lavoratore autonomo, le cui professionalità vengono
introdotte nell’azienda ovvero nello stabilimento, a conoscenza di tutti i
rischi connessi alle lavorazioni in tali ambienti, regola questa che certamente
non può essere derogata dal contratto di appalto con la previsione di una
inversione degli obblighi prevenzionistici in capo all’appaltatore, ovvero
attraverso il mero travaso di informazioni, che si assume la ditta appaltatrice
sia tenuta a partecipare alle proprie maestranze.

6.2 Che gli obblighi in capo al committente le opere
non si esauriscono negli accordi contrattuali assunti con l’appaltatore lo si
desume poi dal testo del secondo comma (art.7 comma II D.L.vo 626/94)
il quale impone ai datori di lavoro di cooperare all’attuazione delle misure di
prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività
lavorativa oggetto dell’appalto nonché di coordinare gli interventi di
protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi
reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i
lavori delle diverse imprese coinvolte nella esecuzione dell’opera complessiva.
Tale disposizione rende evidente come l’attività di consultazione, di  cooperazione e di coordinamento tra datori di
lavoro debba proseguire anche in corso di esecuzione del contratto di durata
(appalto o somministrazione) e, sebbene non accompagnata da un documento
ufficiale, deve valere a enucleare i rischi e ad elaborare strategie comuni per
la loro prevenzione. Soprattutto è l’azienda committente (nella specie E.B.
s.p.a.) a dovere promuovere la cooperazione e il coordinamento di cui al
secondo comma con esclusione dei rischi specifici dell’opera della ditta
appaltatrice (art.7 co.III
D.L.vo 626/94) e, conseguentemente ad elaborare un DUVRI che tenga conto di
tali criticità.

7. Il giudice distrettuale pertanto, del tutto
coerentemente con i dati testimoniali acquisiti e con gli elementi oggettivi
sopra evidenziati di cui si era avvalso per ricostruire la dinamica del
sinistro, ha segnalato le gravissime lacune nella promozione del coordinamento
e della cooperazione con l’impresa sub appaltatrice in cui era incorsa la E.B.
in persona del suo titolare omettendo di verificare la idoneità tecnico
organizzativa della B. la quale ebbe a dileguarsi dal cantiere subito dopo i
fatti relativi all’infortunio, non ha provveduto a coordinare l’attività della
sua impresa con quella che operava nel cantiere da essa diretto, non ha individuato
le figure addette a curare la sicurezza dei lavoratori omettendo qualsiasi
delega in proposito, ha lasciato che i lavoratori della B. operassero senza
adeguate misure di protezione causando così con questi suoi comportamenti
colposi la morte del lavoratore.

7.1 Neppure può essere accolta la censura che assume
la inesigibilità di un comportamento alternativo in presenza di un lavoratore
che abbia trascurato volontariamente di utilizzare i sistemi antinfortunistici
indicati dal coordinatore per la sicurezza in sede di progettazione e di
esecuzione (tavole e cavalletti a cuneo) atteso che è stato evidenziato dal
S.C. che la colpa del lavoratore, eventualmente concorrente con la violazione
della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti ad osservarne
le disposizioni, non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché
l’esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l’evento-morte o –
lesioni del lavoratore che ne sia conseguito può essere esclusa unicamente nei
casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che
proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento (la Suprema Corte ha
precisato che è abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la
sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di
controllo da parte dei soggetti preposti all’applicazione della misure di
prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, e che tale non è il comportamento
del lavoratore che abbia compiuto un’operazione comunque rientrante, oltre che
nelle sue attribuzioni, nel segmento di 
lavoro attribuitogli (vedi sez.IV,
28.4.2011 n. 23292; 5.3.2015 n.16397).

8. Parimenti destituita di fondamento è la censura
che preconizza una possibile incoerenza di giudicati tra la pronuncia di
condanna del B., suscettibile di passare in giudicato in ipotesi di rigetto
dell’odierno ricorso, con la pronuncia assolutoria, peraltro non definitiva, di
V.G. imputato nel medesimo procedimento ma separatamente sottoposto a giudizio.
Invero sotto un primo profilo non è affatto vero, come sostenuto dalla parte
ricorrente, che le due posizioni siano sovrapponibili, laddove al V., in
qualità di Coordinatore per la Sicurezza in fase di Progettazione ed Esecuzione
è stato contestato un difetto di coordinamento tra imprese impregnate nelle
opere di realizzazione del manufatto e un difetto nella verifica del rispetto
del PSC da parte delle maestranze della impresa B. in relazione al rischio
interferenziale, laddove i doveri di cooperazione, coordinamento ed
informazione tra imprese committente ed appaltatrice di cui era onerato il B.
attengono al diverso piano della collaborazione tra imprese che operano nello
stesso cantiere e agli obblighi di informazione e di condivisione correnti in
capo alla ditta affidataria delle opere, con particolare riferimento
all’obbligo di rappresentare i rischi, ad essa noti, derivanti dalle
lavorazioni oggetto di appalto.

8.1 Del tutto errata è poi l’argomentazione che
evoca un possibile contrasto tra giudicati, tenuto conto della diversità dei
riti prescelti e della diversità dei materiali probatori utilizzati per
pervenire alle decisioni che si assume contrastanti. La giurisprudenza di
legittimità affronta tali contrasti nell’ambito del giudizio di revisione e
afferma che il giudizio di revisione è ammissibile solo quando il contrasto di
giudicati si risolva non già nella contrastante valutazione giuridica della
responsabilità dei coimputati del reato in relazione al medesimo fatto (sez.VI,
15.11.2016, Di Martino e altro, Rv.269232), ma nella diversità oggettiva degli
elementi costitutivi del reato (sez.VI, 3.4.2014, Strappa, Rv.259804; sez.I,
14.10.2016, Mortola, Rv.269757; sez.V, 13.1.2015, PG in proc.Contu, Rv.262731),
ipotesi certamente non ricorrente nella specie.

9. Il ricorso deve pertanto essere rigettato ed il
ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 aprile 2020, n. 12440
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