Giurisprudenza – TRIBUNALE DI BERGAMO – Sentenza 18 febbraio 2020, n. 99

Calcolo della 13° mensilità, Superminimo individuale
riconosciuto all’atto dell’assunzione e costantemente erogato, Nozione di
retribuzione globale di fatto, Principio generale ed inderogabile di
onnicomprensività della retribuzione ai fini dei cosiddetti istituti indiretti

 

Fatto e diritto

 

Con ricorso al Tribunale di Bergamo, quale Giudice
del Lavoro, il sig. (…), dipendente a tempo pieno della resistente con
inquadramento al livello C del CCNL Dipendenti Non
Medici delle Case di Cura Private e mansioni di “tecnico di radiologia”, ha
convenuto in giudizio (…) al fine di sentir accertare e dichiarare la nullità
e/o annullabilità e/o illegittimità e/o inefficacia dell’art. 66 CCNL Dipendenti Non Medici
delle Case di Cura Private nella parte in cui esclude dal calcolo della 13°
mensilità il superminimo individuale riconosciuto al ricorrente in sede di assunzione
e costantemente erogato durante tutto il rapporto per cui è giudizio nonché
l’E.A.D.R., previsto dall’art. 52
CCNL applicato e, per l’effetto, condannare l’(…) al pagamento della
somma di € 3.727,50, oltre rivalutazione monetaria, calcolata ai sensi dell’art. 150 disp.att. c.p.c., e gli interessi legali
sul totale rivalutato.

In ogni caso, con vittoria delle spese di lite da
distrarre in favore dei procuratori antistatari.

Si costituiva ritualmente in giudizio l’(…).

(…), eccependo l’infondatezza in fatto e in
diritto delle domande di cui al ricorso e chiedendo il rigetto delle avversarie
pretese, con vittoria delle spese di lite.

All’udienza del 6.11.2019, esperito inutilmente il
tentativo di conciliazione e ritenuta la causa matura per la decisione senza
necessità di istruzione probatoria, il Giudice rinviava per discussione.

All’udienza del 17.2.2020, il Giudice invitava le
parti alla discussione all’esito della quale decideva come da dispositivo
pubblicamente letto, riservando il deposito della motivazione a 5 giorni, ai
sensi dell’art. 429 c.p.c. così come modificato
dalla legge 133/2008.

 

Motivi della decisione

 

Il ricorso deve essere accolto per le ragioni di
seguito precisate.

È pacifico tra le parti che:

– il ricorrente per tutta la durata del rapporto di
lavoro ha percepito sia un superminimo individuale che è rimasto fisso per
tutto il rapporto (€ 284,05) sia l’elemento aggiuntivo della retribuzione
previsto ex art. 54 C.C.N.L
applicato (€ 12,91);

– il superminimo e l’E.A.D.R. non sono stati tenuti
in considerazione ai fini del calcolo della 13° mensilità, secondo quanto
disposto dall’art. 66 del
C.C.N.L. applicato: “la 13° mensilità (…) composta da gabellare annuo di
cui all’articolo 50 come da
posizione economica diviso 12 e retribuzione individuale di anzianità”.

Il ricorrente afferma che l’art. 66 citato prevede un
trattamento deteriore rispetto all’art.
17 dell’Accordo Interconfederale per l’industria del 27.10.1946, reso
efficace erga omnes del DPR n. 1070/1960, che
prevedeva come base di calcolo della 13° mensilità la “retribuzione globale di
fatto”.

Ai fini della definizione della controversia, è
necessario (i) accertare se la base di calcolo della tredicesima mensilità
prevista dall’art. 66 CCNL
applicato è meno favorevole al dipendente di quella prevista dall’art. 17 dell’Accordo Interconfederale,
poi (ii) considerare gli istituti da confrontare per accertare se il
trattamento riservato al ricorrente dal CCNL della convenuta è complessivamente
peggiorativo rispetto a quello dell’accordo
Interconfederale e, infine, (iii) valutare l’eccezione di prescrizione del
diritto avanzata e (iv) le contestazioni sui conteggi.

Si tratta ora di valutare se nella nozione di
“retribuzione globale di fatto” predetta rientrano, secondo la dominante
giurisprudenza, il superminimo e l’E.A.D.R., per verificare se la disciplina
prevista dall’art. 66 CCNL
applicato risulta veramente peggiorativa rispetto a quella del citato art. 17.

Sul punto, la suprema Corte ha ricondotto alla
nozione di “retribuzione globale di fatto” ogni emolumento di natura
continuativa. In particolare, “Le maggiorazioni retributive e le indennità
erogate in corrispettivo di prestazioni di lavoro notturno, non occasionali, ma
continuative ed organizzate secondo regolari turni periodici, costituiscono
parte integrante della ordinaria retribuzione globale di fatto giornaliera e,
come tali, concorrono alla composizione della base di computo non solo
dell’indennità di anzianità o del trattamento di fine rapporto – ai sensi (…)
di quegli istituti retributivi per la cui liquidazione (…) la contrattazione
collettiva (come, con riguardo alla gratifica natalizia, l’art. 17 dell’Accordo interconfederale
27 ottobre 1946, per i dipendenti da imprese industriali private, reso
efficace “erga omnes” con d.P.R. n. 1070 del 1960
ed efficace anche oltre la sua scadenza, fino alla sostituzione, o alla deroga
in melius, con altro contratto collettivo) facciano riferimento a siffatta
nozione di retribuzione globale di fatto” (Cass.
25.9.04, n. 19303).

Alla luce di quanto statuito dalla giurisprudenza
dominante, le modalità di calcolo della tredicesima individuate dal CCNL dipendenti non medici della case di cura
private risulta di minor favore per il lavoratore di quanto era previsto dall’Accordo Interconfederale.

1. Le modalità di calcolo della tredicesima
mensilità.

Alla luce dei consolidati principi dettati dalla
dominante giurisprudenza:

A) il principio di onnicomprensività della
retribuzione non ha carattere generale.

Infatti, secondo la giurisprudenza dominante, “nel
nostro ordinamento non esiste un principio generale ed inderogabile di
onnicomprensività della retribuzione dovuta ai fini dei cosiddetti istituti
indiretti, sicché, per il riconoscimento del diritto dei lavoratori subordinati
al computo nella base di calcolo della retribuzione per il periodo feriale
della maggiorazione per lavoro notturno, non è sufficiente la constatazione
della normalità, e cioè della sistematicità e non occasionante di detta
prestazione, svolta secondo turni periodici, e della erogazione della relativa
indennità, occorrendo anche che la contrattazione collettiva faccia
riferimento, al fine considerato, alla retribuzione normale, o, come altrimenti
indicata, ordinaria o di fatto o globale di fatto (Cass. 4 settembre 2003, n.
12990; Cass. 4 settembre 2003, n. 12921; Cass.
24 febbraio 2003, n. 2791; (Cass. 7 aprile 2003, n.
5408; Cass. 19 agosto 2004, n. 16261; Cass. 16
dicembre 2004, n. 23422; Cass. 11 aprile 2001, n. 5441; Cass. 14 ottobre 2004, n. 20364; Cass. 6 ottobre
2005, n. 19422; Cass. 23 febbraio 2007, n. 4270).
“(Cass. lav. 15.1.13, n. 813).

B) il criterio di computo della tredicesima
mensilità dettato dall’accordo interconfederale per
l’industria 27.10.46, esteso erga omnes con D.P.R.
28.7.60, n. 1070 – e in particolare il riferimento alla “retribuzione
globale di fatto” – è derogabile, ai sensi della L. 14.7.59, n. 741, art. 7,
u.c., da successivi contratti collettivi di diritto comune che assicurino un
trattamento di migliore favore relativamente allo specifico istituto.

La Suprema Corte ha statuito che “il giudice non può
limitarsi a considerare la previsione del citato accordo
interconfederale, ma è tenuto a verificare se la successiva contrattazione
collettiva di categoria applicabile preveda un trattamento dell’istituto che,
considerato complessivamente, sia più vantaggioso, tenendo presente che il
criterio della onnicomprensività della retribuzione, valido soltanto per
determinati istituti di origine legale, non opera neppure come criterio
sussidiario, sicché un particolare emolumento è computabile a detti fini solo
in quanto ciò sia espressamente previsto dalla disciplina contrattuale (Cass. 7
novembre 2003, n. 16772)” (Cass. lav. n. 813/2013).

Pertanto la comparazione tra la disciplina
collettiva applicata al ricorrente in relazione alla tredicesima mensilità non
può essere limitata al secco confronto tra le basi di calcolo, da una parte,
paga base e aumento per anzianità e, dall’altra, la retribuzione globale di
fatto.

C) La comparazione deve essere compiuta istituto per
istituto: bisogna valutare, nell’ambito complessivo delle mensilità aggiuntive,
se la base di computo più sfavorevole del CCNL
in parola è compensata da altri elementi relativi alle mensilità aggiuntive più
favorevoli rispetto a quelli che erano previsti nell’Accordo
Interconfederale.

La convenuta asserisce che il confronto tra la
disciplina del CCNL predetto e quella dell’Accordo Interconfederale debba essere effettuata
non avendo riferimento esclusivo alla base di calcolo della tredicesima, ma
complessivamente con il resto della disciplina collettiva e, in particolare,
rileva che il CCNL applicato dalla convenuta
riconosce ai dipendenti un trattamento migliore dell’Accordo
Interconfederale sotto i seguenti profili: numero di giorni di malattia e
infortunio retribuiti al 100% con integrazione del datore di lavoro, più giorni
di malattia e infortunio retribuiti al 100% con integrazione del datore di
lavoro, più giorni di ferie e più permessi, maggiorazione per lavoro
straordinario e notturno, concessione di emolumenti ulteriori (“altre
competenze” e “una tantum”). Queste previsioni di maggior favore giustificano,
secondo la convenuta, una disciplina del computo della tredicesima mensilità
deteriore rispetto a quella onnicomprensiva dettata dall’accordo interconfederale.

In realtà, la comparazione dei trattamenti deve
essere confermata effettuata istituto per istituto, muovendo dalla premessa che
la tredicesima e la quattordicesima mensilità devono essere considerate come
appartenenti al medesimo istituto delle mensilità aggiuntive, in quanto
emolumenti analoghi nella struttura e nella funzione, infatti sono mensilità
attribuite in unica soluzione nel corso dell’anno di regola in corrispondenza
di ricorrenze festive e che le stesse sono dirette ad incrementare la
retribuzione complessiva annuale.

Infatti, secondo la giurisprudenza dominante (Cass.
18.8.04, n. 16191, Cass. lav. n. 813/2013), il confronto tra il CCNL e l’Accordo Interconfederale deve essere effettuato
istituto per istituto: “con riferimento alla disciplina della cosiddetta
estensione erga omnes, in applicazione L. 14 luglio
1959 n. 741, di trattamenti economici e normativi previsti dalla
contrattazione collettiva di diritto comune, e alla precisazione dell’art. 7, terzo comma, della
medesima legge, secondo cui alle norme che stabiliscono detti trattamenti
minimi si può derogare, sia con accordi o contrattivi collettivi che con
contratti individuali, soltanto a favore dei lavoratori, la comparazione dei
trattamenti deve essere effettuata istituto per istituto” (Cass. lav. n.
16191/2004).

La medesima giurisprudenza specifica che la
tredicesima mensilità deve essere considerata appartenente al medesimo istituto
delle “mensilità aggiuntive” e pertanto considerata unitariamente con la
quattordicesima mensilità “in quanti emolumenti analoghi nella struttura e
nella funzione” (Cass. n. 16191/2004, conf. Cass. 1.9.2003, n. 12760).

Sul punto la Suprema Corte chiarisce: “In
riferimento alla prevalente giurisprudenza, secondo cui, per verificare
l’esistenza di un trattamento più favorevole, il confronto deve essere eseguito
istituto per istituto, si ritiene condivisibile l’orientamento secondo cui, per
la mensilità aggiuntive, tale confronto deve essere compiuto considerando le
stesse unitariamente. Al riguardo è stato osservato che non può sostenersi che
la 13^ e la 14^ mensilità siano istituti diversi e incomparabili tra loro,
rappresentando esse voci retributive rientranti nell’ambito delle c.d.
mensilità aggiuntive, e che quindi non è dubitabile che il riconoscimento
successivo di una 14^ mensilità da parte del contratto collettivo debba
considerarsi migliorativo rispetto alla previsione della sola 13^ mensilità
(Cass. 2 novembre 2000 n. 14344). Si è rilevato anche, analogamente, che
l’unitarietà dell’istituto mensilità aggiuntive è desumibile dal fatto che si
tratta di mensilità attribuite ciascuna in un’unica soluzione nel corso
dell’anno e di regola in corrispondenza di importanti ricorrenze festive, e che
le stesse sono dirette ad incrementare la retribuzione complessiva annuale:
esse si configurano quindi come emolumenti tra loro analoghi e similari nella
causa e nelle finalità (Cass. 20 agosto 2003 n. 12263 e Cass. 8 luglio 2002 n.
9871; cfr. anche Cass. 3 novembre 2000 n. 14407 e 17 ottobre 2001 n. 12683,
nonché Cass. 3 novembre 2000 n 14392 e 13 giugno 2002 n. 8501). Poiché dalla
stessa sentenza impugnata risulta confermato che nella specie era riconosciuta
anche una quattordicesima mensilità, il giudice a quo ha violato il principio
di diritto appena esposto, in quanto, in relazione ai criteri di calcolo della
13^ dettata dall’accordo interconfederale del 1946,
non ha verificato se non costituisse trattamento di miglior favore il trattamento
complessivo costituito dalla 13^ e dalla 14^ corrisposte al lavoratore”. (Cass.
n. 16191/2004).

Più recentemente, la Cassazione ha ribadito che “In
tema di retribuzione dovuta al prestatore di lavoro ai fini dei cc.dd. istituti
indiretti (mensilità aggiuntive, ferie, malattia e infortunio), non esiste un
principio generale ed inderogabile di omnicomprensività e, pertanto, nella
qualificazione degli istituti indiretti il compenso per lavoro notturno e
straordinario di turno può essere esclusivamente qualora ciò sia previsto da
specifiche norme di legge o di contratto collettivo; tale disciplina
collettiva, stabilendo un trattamento di maggior favore, può derogare, ai sensi
dell’art. 7, ultimo comma, l.
14 luglio 1959 n. 741, anche al criterio di computo della tredicesima
mensilità dettato – richiamando la “retribuzione globale di fatto” – dall’accordo interconfederale per l’industria 27 ottobre
1946, esteso erga omnes con d.P.R. 28 luglio
1960 n. 1070, escludendo la commutabilità dei compensi aggiuntivi nella
tredicesima e prevedendo l’attribuzione di benefici diversi a favore del
lavoratore. (In applicazione di tale principio la (…) ha confermato la
sentenza impugnata che aveva escluso il diritto del lavoratore al computo nella
tredicesima mensilità del compenso per lavoro notturno prestato secondo turni
ricorrenti e con cadenza programmata, in considerazione della idoneità derogatoria
all’accordo confederale della previsione –
contenuta nei contratti collettivi applicabili al rapporto – relativo alla
corresponsione di una quattordicesima mensilità, essendo questa appartenente
allo stesso istituto contrattuale delle mensilità aggiuntive)”. (Cass. lav. n. 813/2013).

Il CCNL dipendenti non medici delle case di cura
private non prevede il riconoscimento della quattordicesima mensilità. Le altre
clausole del CCNL applicato dalla resistente
che dettano una disciplina più favorevole al dipendente rispetto a quella
prevista dal citato accordo sono da ricondursi
ad istituti completamente diversi per struttura e funzione, pertanto non sono
rilevanti ai fini della comparazione di disciplina richiesta a questo
Tribunale.

In conclusione, il CCNL
applicato dalla convenuta utilizza pacificamente una base di calcolo della
tredicesima mensilità deteriore rispetto a quello previsto dall’Accordo Interconfederale, il confronto tra la
disciplina dell’istituto delle mensilità aggiuntive prevista dal CCNL applicato al rapporto dedotto in giudizio e
l’Accordo Interconfederale evidenzia che il CCNL dipendenti non medici delle case di cura private
– a fronte del computo nella base di calcolo della tredicesima mensilità solo
del minimo gabellare e della retribuzione annuale di anzianità – non compensa
tale trattamento sfavorevole al dipendente con alcun altro riconoscimento
all’interno dello specifico istituto delle mensilità aggiuntive, pertanto l’art. 66 del CCNL applicato
prevede un’illegittima disciplina peggiorativa rispetto a quella prevista dall’Accordo Interconfederale.

Pertanto, in applicazione dell’art. 7 L. 14.7.1959, n. 741,
la base di calcolo della tredicesima prevista dall’art. 17 dell’Accordo Interconfederale,
si sostituisce di diritto a quella prevista dall’art. 66 CCNL applicato.

2. La prescrizione

Come noto, prima delle riforme della disciplina di
tutela dei licenziamenti, la giurisprudenza distingueva il dies a quo di
decorrenza della prescrizione a seconda del regime di tutela reale o
obbligatoria applicabile alla datrice di lavoro.

In seguito all’entrata in vigore della riforma L. n. 92/2012, il regime di tutela reale contro
il licenziamento illegittimo è diventato residuale.

La marginalizzazione della tutela reintegratoria e
la possibilità che, comunque, da una tutela reintegratoria di tipo debole
reintegratoria di tipo debole il lavoratore non venga ristorato del complesso
dei pregiudizi economici conseguenti all’illegittimo provvedimento espulsivo,
comporta l’interruzione della prescrizione dei crediti retributivi dall’entrata
in vigore della legge Foriero (18/7/12) anche per i lavoratori che, considerate
le dimensioni della datrice di lavoro, risultano tutelati dall’art. 18 St. Lav.

Sul punto Tribunale di Milano (sent. 3460/2015) ha statuito “Si deve prendere
atto dall’entrata in vigore dal 18/7/12 della L.
n. 92 del 2012 che ha modificato la tutela reale di cui all’articolo 18 S.L.,
prescrivendo, al comma cinque di tale norma, delle ipotesi nelle quali, anche a
fronte di un licenziamento illegittimo, la tutela resta solo di tipo
indennitario, senza possibilità di reintegrazione, in modo analogo che nella
tutela obbligatoria (seppur con importi risarcitori maggiori).

Sicché si deve ritenere che da tale data i
lavoratori, pur dipendenti da azienda sottoposta all’articolo 18 S.L, potessero
incorrere – per la durata della relazione lavorativa – nel timore del recesso
nel far valere le proprie ragioni, a fonte della diminuita resistenza della
propria stabilità (cfr. C. Cost. n. 63 del 1966
che ha dichiarato la illegittimità costituzionale, in tal modo, dell’articolo 2948, n. 3, c.c.). In tale ottica, del
resto, costituisce già orientamento giurisprudenziale quello per cui “la
decorrenza o meno della prescrizione in corso di rapporto va verificata con
riguardo al concreto atteggiarsi del medesimo in relazione alla effettiva
esistenza di una situazione psicologica di “metus” del lavoratore e non già alla
stregua della diversa normativa garantisca che avrebbe dovuto astrattamente
regolare il rapporto, ove questo fosse stato pacificamente riconosciuto dalle
parti fin dall’inizio come avente le modalità che il giudice, con un giudizio
necessariamente “ex post”, riconosce, applicando, quindi, la relativa
disciplina legale” (cfr, ad es., Cass. lav., sent. 26.10.2017). Sul punto
anche, Corte d’Appello di Milano, 30 aprile 2019 condivide l’orientamento per
il quale nel rapporto di lavoro soggetto all’applicazione dell’art. 18 Stat. Lav., come
modificato dalla riforma Foriero, non decorre la prescrizione in costanza di
rapporto, in quanto l’attuale formulazione dell’art. 18 Stat. Lav. – che
prevede la reintegrazione solo per alcune ipotesi di illegittimità del
licenziamento mentre per altre fattispecie prevede unicamente una tutela
indennitaria – determina quella la situazione di “metus” che esclude il decorso
del termine di prescrizione in costanza di rapporto di lavoro. La Corte
aderisce, dunque, a quell’orientamento che valorizza l’effettiva condizione di
soggezione in cui si trova il prestatore di lavoro in costanza di rapporto. In
via di principio, la prescrizione quinquennale non opera per i crediti maturati
per i 5 anni a ritroso calcolati dal luglio 2012, quindi, come regola generale,
non sono prescritti i crediti retributivi dal luglio 2007.

La convenuta che l’effetto sospensivo della
prescrizione almeno non può valere nel periodo successivo alla risoluzione del
rapporto (31.12.17), pertanto il termine prescrizionale quinquennale deve
ritenersi decorso per il periodo 1.1.18 a 4.7.19 (data di notifica del ricorso)
e così per 18 mesi, quindi la data di entrata in vigore della L. 92/2012 costituisce dies a quo per il computo
a ritroso della residua durata del periodo di prescrizione di 42 mesi, pertanto
il diritto azionato è prescritto per il periodo antecedente al 18.1.2009.

Il ricorrente ha inviato una comunicazione (doc. 4
del ricorso) idonea a interrompere il decorso della prescrizione in data
15.4.19.

Come noto, al venir meno della causa di sospensione,
il termine di prescrizione ricomincia a decorrere dal momento in cui si era
fermato, pertanto dal momento della risoluzione del rapporto la prescrizione è
iniziata a decorrere, fino a quando non è stata interrotta dalla comunicazione
inviata alla convenuta il 15.4.19.

Tra la conclusione del rapporto di lavoro del
ricorrente in data 31.12.17 e la missiva del 15.4.19 sono decorsi 18 mesi
durante i quali si è maturata la prescrizione per i crediti maturati nei 15
mesi e mezzo decorrenti dal 18 luglio 2007, quindi fino al 23.11.08.

Essendo la tredicesima stata sempre corrisposta dal
datore di lavoro nel mese di dicembre, risultano prescritte le differenze
retributive relative alla tredicesima mensilità del dicembre 2007, pertanto il
ricorrente risulta creditore della datrice di lavoro per la somma di € 2.969,61
(€ 296,96 x 10) a titolo di incidenza del superminimo e dell’E.A.D.R. sul
computo della tredicesima mensilità.

3. I conteggi

L’incidenza sul TFR del corretto calcolo della
tredicesima mensilità per gli anni 2008 alla conclusione del rapporto è pari a
€ 219,97 (€ 2.969,61161/13,5).

Le spese seguono la soccombenza e, pertanto, la
convenuta deve essere condannata al pagamento delle stesse liquidate come in
dispositivo, con distrazione a favore del procuratore antistatario.

 

P.Q.M.

 

Definitivamente pronunciando;

– accoglie parzialmente il ricorso e, per l’effetto,
condanna (…) di (…) a pagare al sig. (…) la somma di € 2.969,61 a titolo
di incidenza del superminimo e dell’EADR sulla tredicesima mensilità, oltre
interessi e rivalutazione della singola debenza al saldo, e la somma di €
219,97 a titolo di incidenza sul TFR del nuovo calcolo della tredicesima, con
decorrenza dalla conclusione del rapporto.

– condanna alla rifusione delle spese liquidate in
complessivi € 1.500 per compenso, oltre al rimborso forfetario delle spese
generali nella misura del 15% e agli accessori fiscali e previdenziali dovuti
per legge, da distrarsi in favore del procuratore antistatario.

Riserva a 5 giorni il deposito della motivazione.

Giurisprudenza – TRIBUNALE DI BERGAMO – Sentenza 18 febbraio 2020, n. 99
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