Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 aprile 2020, n. 8163 (riutilizzare) già in banca dati

Mancato pagamento di retribuzioni, Cedente ramo d’azienda,
Conciliazione della controversia, Carenza di interesse ad agire dei lavoratori

 

Rilevato che

 

con sentenza in data 30 dicembre 2016, la Corte
d’appello di Venezia revocava i decreti ingiuntivi ottenuti dal Tribunale di
Venezia da L.B., P.C., L.C., O.C. e R.F., così rigettandone le richieste di
somme in ragione del mancato pagamento di retribuzioni maturate dal 1 giugno al
30 settembre 2014, dalla datrice T.I. s.p.a., cedente il ramo d’azienda cui
essi erano addetti a C.L. s.p.a. (con contratto del 27 febbraio 2003 ed effetto
dal 1 marzo 2003);

le pretese erano fondate sulla sentenza dello stesso
Tribunale n. 576/2006 (in giudicato per effetto della sentenza n. 17683/2014
della Corte di Cassazione, di rigetto del ricorso avverso la sentenza della
Corte d’appello di conferma), che aveva accertato l’illegittimità della
cessione;

in accoglimento dell’appello della società cedente,
essa riformava pertanto la sentenza di primo grado, che ne aveva invece
rigettato le opposizioni ai distinti decreti;

avverso tale sentenza i lavoratori, con atto
notificato il 30 giugno 2017, ricorrevano per cassazione con sette motivi,
illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380bis 1
c.p.c., cui T.I. s.p.a. resisteva con controricorso;

il P.G. rassegnava le proprie conclusioni ai sensi
dell’art. 380bis 1 c.p.c.;

 

Considerato che

 

1. i ricorrenti deducono nullità della sentenza per
violazione e falsa applicazione degli artt. 414,
416, 420 c.p.c.,
2697 c.c., per avere la Corte territoriale
escluso la tardività dell’eccezione di T.I. s.p.a. di risoluzione del rapporto,
soltanto con le note difensive finali di primo grado, sul rilievo della mancata
deduzione e documentazione della sua anteriore conoscenza, con inversione
dell’onere probatorio, posto a loro carico, anziché della società di esso
gravata (primo motivo); omesso esame di fatto decisivo, quale la specifica
contestazione dei lavoratori, con la memoria di costituzione in appello, della
conoscenza da parte di T.I. s.p.a. dell’impugnazione del licenziamento intimato
da C.L. s.p.a. ai lavoratori e della successiva conciliazione della
controversia (ai fini di inammissibilità della loro domanda per sopravvenuto
difetto d’interesse) in epoca anteriore alla proposizione dei ricorsi per
decreto ingiuntivo, documentata dalla comunicazione del legale della società
del 27 novembre 2014, comportante l’inammissibilità, per tardività, della sua
deduzione di inammissibilità della domanda dei lavoratori (secondo motivo);
nullità della sentenza per violazione degli artt.
132, secondo comma, n. 4 c.p.c., 118 disp. att.
c.p.c., 111, sesto comma Cost., per avere
la Corte territoriale dato atto, nella parte espositiva della sentenza, della
contestazione dai lavoratori della deduzione della società di sopravvenuta
conoscenza dell’impugnazione dei licenziamento intimato da C.L. s.p.a. ai
lavoratori e della successiva conciliazione della controversia, invece negata
nella parte motiva (terzo motivo);

2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di
stretta connessione, sono infondati;

2.1. premesso che l’interesse ad agire, condizione
dell’azione, connotato dai caratteri di attualità e concretezza al momento
della decisione in quanto mirato al conseguimento di un risultato
giuridicamente utile (Cass. 30 luglio 2015, n. 16162; Cass. 24 gennaio 2019, n.
2057), è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, anche in
mancanza di contrasto tra le parti sul punto, poiché costituisce un requisito
per la trattazione nel merito della domanda (Cass. 7 marzo 2002, n. 3330; Cass.
29 settembre 2016, n. 19268);

2.2. la circostanza di fatto della sopravvenuta
conoscenza da T.I. s.p.a. dell’impugnazione dei licenziamenti intimati da C.L.
s.p.a. ai lavoratori e della successiva conciliazione della controversia,
veicolata nella prospettiva della carenza di interesse ad agire dei lavoratori,
è stata ritenuta dalla Corte d’appello ammissibile, siccome tempestivamente
dedotta dalla medesima con le note difensive finali di primo grado, autorizzate
dal giudice: non già per inversione dell’onere probatorio (con inesistente
violazione della norma di diritto denunciata), ma in applicazione del principio
di non contestazione (in ordine ad una invece pregressa conoscenza,
tardivamente dedotta per la prima volta in appello dai lavoratori: così al
secondo capoverso di pg. 12 e al terz’ultimo capoverso di pg. 8 della
sentenza), posto dall’art. 115 c.p.c. (Cass. 19
ottobre 2016, n. 21075; Cass. 10 maggio 2018, n. 11252), appunto riguardante le
sole allegazioni assertive della controparte (Cass. 21 giugno 2016, n. 12748;
Cass. 8 febbraio 2018, n. 3022; Cass. 27 giugno 2018, n. 16908), comportante le
coerenti conseguenze giuridiche poi tratte;

2.3. la Corte veneziana, nell’esaminare la
circostanza (pertanto oggetto di esame quale fatto storico decisivo, nel
rispetto della nuova formulazione dell’art. 360,
primo comma, n. 5 c.p.c.: Cass. s.u. 7 aprile
2014, n. 8053; Cass. 29 ottobre 2018, n. 27415), ha compiuto un
apprezzamento di esclusiva spettanza del giudice del merito, nell’ambito del
giudizio di fatto al medesimo riservato, dell’esistenza e del valore di una
condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte
(Cass. 7 febbraio 2019, n. 3680; Cass. 28 ottobre 2019, n. 27490): da intendere
nel senso della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non
contestazione, quale contenuto della posizione processuale della parte,
rientrante nell’interpretazione dell’atto della parte, quale funzione del
giudice di merito insindacabile in sede di legittimità, se non per vizio di
motivazione (Cass. 16 dicembre 2005, n. 27833; Cass. 3 maggio 2007, n. 10182);

2.4. neppure, infine, si configura la denunciata
contraddittorietà viziante di nullità la sentenza, in assenza di un contrasto
irriducibile tra affermazioni inconciliabili, che rendano incomprensibili le
ragioni poste a base della decisione (Cass. 25 giugno 2018, n. 16611; Cass. 18
luglio 2019, n. 19390), apprendendosi bene dal ragionamento argomentativo della
Corte d’appello, al di là di un’affermazione invero poco plausibile (al primo
capoverso di pg. 14 della sentenza), la rilevata deduzione dei lavoratori per
la prima volta in appello della pregressa conoscenza della società (al
terz’ultimo capoverso di pg. 8 della sentenza), tardiva rispetto alla mancata
contestazione nella prima difesa utile successiva alla deduzione della società
nelle note finali autorizzate in primo grado (al secondo capoverso di pg. 12
della sentenza);

3. I ricorrenti deducono quindi violazione e falsa
applicazione degli artt. 2112 e 1406 c.c., per avere la Corte territoriale
erroneamente ritenuto l’unicità del rapporto di lavoro intrattenuto dai
prestatori con la cedente anche con la cessionaria, anche nel caso di accertata
illegittimità del trasferimento, anziché distinto i due rapporti (uno di fatto
con la seconda; l’altro quiescente con la prima), con la conseguente
ininfluenza delle vicende (nel caso di specie: di conciliazione del giudizio di
impugnazione del licenziamento intimato dalla cessionaria) del rapporto con la
cessionaria su quello con la cedente (quarto motivo);

4. esso è fondato;

4.1. deve innanzi tutto essere esclusa
l’inammissibilità del mezzo, per supposta novità della questione relativa alla
duplicità, piuttosto che unicità, del rapporto di lavoro in oggetto, avendo
essa a pieno titolo costituito parte (tra l’altro, cruciale) del dibattito
processuale, come risultante dalle allegazioni difensive contenute nella
sentenza impugnata (in particolare, al secondo capoverso di pg. 6 e ai primi due
di pg. 9);

4.2. nel merito, questa Corte ha ritenuto, con
sentenze oggetto di ampie ed approfondite argomentazioni (Cass. 3 luglio 2019, n. 17784; Cass. 7 agosto 2019, n. 21158), qui espressamente
richiamate in quanto condivise e pertanto meritevoli di continuità, che:

4.2.1. soltanto un legittimo trasferimento d’azienda
comporti la continuità di un rapporto di lavoro che resta unico ed immutato,
nei suoi elementi oggettivi, esclusivamente nella misura in cui ricorrano i
presupposti di cui all’art. 2112 c.c. che, in
deroga all’art. 1406 c.c., consente la
sostituzione del contraente senza consenso del ceduto. Ed è evidente che
l’unicità del rapporto venga meno, qualora, come appunto nel caso di specie, il
trasferimento sia dichiarato invalido, stante l’instaurazione di un diverso e
nuovo rapporto di lavoro con il soggetto (già, e non più, cessionario) alle cui
dipendenze il lavoratore “continui” di fatto a lavorare;

4.2.2. per insegnamento consolidato nella
giurisprudenza di legittimità l’unicità del rapporto presuppone la legittimità
della vicenda traslativa regolata dall’art. 2112
c.c.: sicché, accertatane l’invalidità, il rapporto con il destinatario
della cessione è instaurato in via di mero fatto, tanto che le vicende
risolutive dello stesso non sono idonee ad incidere sul rapporto giuridico
ancora in essere, rimasto in vita con il cedente (sebbene quiescente per
l’illegittima cessione fino alla declaratoria giudiziale);

4.2.3. il trasferimento del medesimo rapporto si
determina solo quando si perfeziona una fattispecie traslativa conforme al
modello legale; diversamente, nel caso di invalidità della cessione (per
mancanza dei requisiti richiesti dall’art. 2112 c.c.)
e di inconfigurabilità di una cessione negoziale (per mancanza del consenso
della parte ceduta quale elemento costitutivo della cessione), quel rapporto di
lavoro non si trasferisce e resta nella titolarità dell’originario cedente (da
ultimo: Cass. 28 febbraio 2019, n. 5998);

4.2.4. pure a fronte di una duplicità di rapporti
(uno, de iure, ripristinato nei confronti dell’originario datore di lavoro,
tenuto alla corresponsione delle retribuzioni maturate dalla costituzione in
mora del lavoratore; l’altro, di fatto, nei confronti del soggetto, già
cessionario, effettivo utilizzatore), la prestazione lavorativa solo
apparentemente resta unica: giacché, accanto ad una prestazione materialmente
resa in favore del soggetto con il quale il lavoratore, illegittimamente
trasferito con la cessione di ramo d’azienda, abbia instaurato un rapporto di
lavoro di fatto, ve n’è un’altra giuridicamente resa, non meno rilevante sul
piano del diritto, in favore dell’originario datore, con il quale il rapporto
di lavoro è stato de iure (anche se non de facto, per rifiuto ingiustificato
del predetto) ripristinato;

4.2.5. nello stesso senso, è stato ribadito il
consolidato orientamento circa l’interesse , a far valere giudizialmente
l’insussistenza di un trasferimento di ramo d’azienda da parte del lavoratore
ceduto, nonostante la prestazione di lavoro resa in favore del cessionario e le
eventuali vicende risolutive del rapporto con il medesimo, siccome irrilevanti
(Cass. 16 giugno 2014, n. 13617; Cass. 7
settembre 2016, n. 17736; Cass. 24 ottobre 2017,
n. 25144; Cass. 30 gennaio 2018, n. 2281);

5. i ricorrenti deducono in subordine nullità della
sentenza per violazione dell’art. 2909 c.c.,
per la ritenuta deducibilità nell’odierno giudizio di fatti (asseritamente)
estintivi nonostante la preclusione per il giudicato (Cass. n. 17683/2014)
formatosi sull’accertamento di persistenza del rapporto dei lavoratori con
T.I.s.p.a. (quinto motivo); violazione degli artt.
1372 e 2727 c.c., per erronea
individuazione dalla Corte territoriale di un comportamento concludente dei
lavoratori (nell’impugnazione del licenziamento loro intimato da C.L. s.p.a. e
nella successiva conciliazione della controversia), tale da indurne il riflesso
degli effetti estintivi del rapporto con essa anche in quello con T.I. s.p.a.,
nonostante l’inequivoca presenza di circostanze contraddittorie, quali la
prosecuzione del contenzioso con questa, sotto vari profili, per ottenerne il
ripristino del rapporto di lavoro e il risarcimento del danno per il relativo
inadempimento (sesto motivo); omesso esame di fatti decisivi, quali le
circostanze indicate nel precedente motivo, contrarie a indurne il
comportamento concludente dei lavoratori erroneamente ritenuto (settimo
motivo);

5.1. essi sono assorbiti;

6. pertanto deve essere accolto il quarto motivo di
ricorso, rigettati i primi tre ed assorbiti gli altri, con la cassazione della
sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto e rinvio, anche per la
regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di
Venezia in diversa composizione;

 

P.Q.M.

 

accoglie il quarto motivo di ricorso, rigettati i
primi tre ed assorbiti gli altri; cassa la sentenza, in relazione al motivo
accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di
legittimità, alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 aprile 2020, n. 8163 (riutilizzare) già in banca dati
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