Giurisprudenza – TRIBUNALE DI GROSSETO – Sez. lav. – Ordinanza 23 aprile 2020

Illegittimo rifiuto di adibire il lavoratore allo smart
working, Colleghi di reparto già adibiti, Scelta dei soggetti da collocare in
lavoro agile, Lavoratore in stato di malattia, Scelta tra la sospensione non
retribuita del rapporto e godimento forzato di ferie non maturate,
Illegittimità

 

1. Con ricorso ex art.
700 c.p.c., depositato telematicamente il giorno 14 aprile 2020, N.C. –
dipendente di E. S.p.A. con contratto a tempo indeterminato con mansioni di
addetto al servizio assistenza legale e contenzioso ed inquadramento al 5°
livello del CCNL del settore commercio e terziario – lamentava che il datore di
lavoro aveva illegittimamente rifiutato di adibirlo al lavoro cd. agile
nonostante tutti i colleghi del suo reparto lo fossero già stati. Evidenziava
che, nell’attuale periodo di crisi sanitaria connessa ai noti problemi della
diffusione del Covid19, avrebbe avuto diritto ad essere preferito nell’assegnazione
alla modalità di lavoro agile in ragione della previsione di cui all’art. 39, co. 2, D.L. 18/2020 in
quanto portatore di patologia da cui era derivato il riconoscimento di
un’invalidità civile con riduzione della sua capacità lavorativa. L’azienda
invece si era limitata a prospettargli il ricorso alle ferie “anticipate”, da
computarsi su un monte ferie non ancora maturato, in alternativa alla
sospensione non retribuita del rapporto fino alla cessazione della lamentata
incompatibilità (e, quindi, quantomeno fino al 30.4.2020, data della prevista
nuova visita medica). In ragione di quanto sopra concludeva come in atti.

2. Si costitutiva in giudizio E. S.p.A. rimarcando
l’infondatezza del ricorso avendo essa proceduto alla scelta dei soggetti da
collocare in lavoro agile all’epoca in cui il ricorrente si trovava in malattia
e trovandosi, in seguito, nell’impossibilità di modificare l’organigramma del
personale cui era consentito lavorare in remoto, salvo affrontare costi
significativi in termini economici ed organizzativi in generale. Contestata a
monte l’ammissibilità di una condanna ad un facere infungibile, rilevava in
definitiva l’insussistenza del fumus boni iuris e dello stesso periculum in
mora quali requisiti necessari del ricorso cautelare in esame, invocandone
quindi l’integrale rigetto anche in considerazione della circostanza che
l’eventuale provvedimento giudiziale non potrebbe valere per il periodo
successivo al 2 maggio 2020, attuale termine finale di operatività delle
previsioni in tema di strumenti urgenti di contenimento della diffusione del
virus.

3. L’udienza del 22 aprile 2020 si svolgeva nelle
forme di cui all’art. 83, co. 7
lett. h), D.L. 18/2020 ed il Giudice riservava l’adozione del
provvedimento.

4. Va rilevata innanzitutto la superfluità di tutte
le istanze istruttorie in quanto relative a profili documentali o non
contestati, residuando nella vicenda – come compiutamente esposta in fatto
dalle parti – solo aspetti riservati al Tribunale stante il loro carattere
valutativo in punto di diritto.

5. Preliminarmente va detto in ordine alla
contestata ammissibilità in astratto di una domanda di condanna ad un facere
infungibile.

La questione, come è noto, è stata affrontata sia in
dottrina che in giurisprudenza e risolta, sia pure con accenti differenti, su
linee interpretative per lo più convergenti nel senso dell’ammissibilità di
siffatte domande. In particolare, la giurisprudenza di merito ha più volte
respinto la tesi della necessaria correlazione tra provvedimento cautelare ed
esecuzione forzata evidenziando invece come l’ammissibilità di un provvedimento
d’urgenza di condanna ad un facere infungibile passi attraverso il necessario
riconoscimento che la pronuncia, per quanto impositiva di un obbligo
incoercibile, costituisce, comunque, uno strumento di “coazione indiretta” e,
implicando un accertamento dell’illecito, risulta, in caso di inosservanza,
strettamente funzionale alla successiva richiesta di risarcimento dei danni. E
sempre che, ovviamente, durante il tempo occorrente per far valere il diritto
in via ordinaria “sussista il pericolo imminente e irreparabile della lesione
di posizioni sostanziali di carattere assoluto del ricorrente” (così Trib. Roma
16.10.1998). Sotto altro, ma convergente, profilo è stata valorizzata
l’idoneità di siffatti provvedimenti ad esercitare “una certa pressione
sull’obbligato ai fini del suo adempimento volontario” (cfr. Trib. Roma
17.1.1996). La condanna ad un facere infungibile è stata ritenuta ammissibile
anche sul presupposto che la parte soccombente potrebbe comunque dare
volontaria esecuzione al provvedimento d’urgenza.

Sulla stessa lunghezza d’onda la Corte di
Cassazione, con risalente pronuncia, ha stabilito che “non incide
sull’ammissibilità del provvedimento d’urgenza di cui all’art.700 c.p.c. il fatto che lo stesso non possa
essere eseguito senza la cooperazione volontaria dei soggetti intimati, dato
che esso ha pur sempre natura di atto giurisdizionale, concretante la volontà
di legge indicata dallo stesso art. 700 c.p.c.,
e perciò suscettibile di trovare attuazione anche attraverso una conseguente
azione di risarcimento dei danni per l’inosservanza del provvedimento stesso e
per la dipendente lesione da essa derivata al bene o alla situazione protetta
dalla norma sostanziale alla cui salvaguardia era appunto diretto” (cfr. Cass.
17 luglio 1979, n. 4212). Più di recente, la stessa Cassazione, non
discostandosi dai già richiamati principi, ha affermato che “nell’ambito dei
rapporti obbligatori, il carattere infungibile dell’obbligazione di cui si è
accertato l’inadempimento non impedisce la pronuncia di una sentenza di
condanna, in quanto la relativa decisione non solo è potenzialmente idonea a
produrre i suoi effetti tipici in conseguenza della eventuale esecuzione
volontaria da parte del debitore, ma è altresì produttiva di ulteriori
conseguenze risarcitorie, suscettibili di levitazione progressiva in caso di
persistente inadempimento del debitore; inoltre, ogni dubbio sull’ammissibilità
di una pronuncia di condanna è stato eliminato dal legislatore con
l’introduzione dell’art. 614-bis cod. proc. civ.
(attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare), avente valore
ricognitivo di un principio di diritto già affermato in giurisprudenza” (così
Cass. sez. 1, sentenza n. 19454 del 23.9.2011 e, nello stesso senso, Cass. sez.
lav. sentenza n. 18779 del 5.9.2014).

Anche in dottrina l’orientamento prevalente è nel
senso di ritenere ammissibile l’adozione di provvedimenti cautelari di condanna
ad un facere infungibile, indipendentemente dalla concreta possibilità di dar
loro attuazione, valorizzando così il carattere di atipicità, proprio dei
provvedimenti d’urgenza, che si riflette sul contenuto della misura invocata in
funzione della necessità di scongiurare il pericolo di infruttuosità della
successiva pronuncia di merito ossia di contrastare, attraverso il rimedio
cautelare più idoneo, il pericolo imminente ed irreparabile che minaccia il
diritto soggettivo durante il tempo necessario per lo svolgimento di un
giudizio a cognizione piena.

6. Sul fumus boni iuris

6.1 N.C. svolge all’interno di E. mansioni di
carattere impiegatizio occupandosi della gestione del contenzioso, in
particolare degli insoluti. Si tratta di un’attività cd. di backoffice o, in
altri termini, di retro-sportello (cfr. doc. 17 ric.), cui è tipicamente
estraneo il confronto diretto con il pubblico. E’ inoltre pacifico che il C.
sia soggetto affetto da una grave patologia polmonare che ha determinato il
riconoscimento di un’invalidità civile con decorrenza dal 6.12.2018 per la
riduzione permanente della sua capacità lavorativa al 60% con riduzione anche
della capacità di deambulazione (cfr. referto del 21.1.2019 doc. 4 ric.). E’
opportuno rilevare, in proposito, come non risulti corretta l’affermazione di
parte resistente laddove sostiene che essa avrebbe avuto cognizione di tale situazione
per la prima volta con la comunicazione del C. datata 2.4.2020 (doc. 10 ric.)
in quanto, già con missiva del 2.3.2020 (doc. 5 ric.), quest’ultimo aveva in
realtà fatto richiesta di poter usufruire dello smart working in considerazione
della “personale condizione patologica” (oltre che “degli eventi drammatici che
stanno interessando il nostro paese”, come scrive sempre il ricorrente nella
detta missiva). Alla comunicazione del 2.3.2020 il ricorrente allegava il
verbale della commissione medica per l’invalidità civile ed a quella data egli
non si trovava ancora in malattia (periodo iniziato dal 4.3.2020 e cessato al
20.3.2020; doc. 6 res.).

6.2 La resistente affida le motivazioni della
presunta impossibilità di soddisfare la richiesta del C. di assegnazione al
lavoro agile a vaghe, quanto poco plausibili, difficoltà di carattere
organizzativo ed ai conseguenti costi che la predisposizione dei mezzi per il
lavoro da remoto sul pc aziendale del ricorrente avrebbe comportato;
motivazioni, legate a costi e difficoltà, che, per un’importante società per
azioni operante nel settore della fornitura di energia elettrica e gas sul
territorio nazionale, appaiono pretestuose ed incomprensibili a fronte della
già attuata misura in favore degli altri dipendenti del medesimo reparto del
ricorrente e dei, ragionevolmente, circoscritti interventi necessari per
mettere in condizioni il C. di lavorare da remoto. Tutto ciò tenuto altresì
conto che, già in data 17.3.2020, il ricorrente aveva rappresentato all’azienda
di aver provveduto all’installazione di una rete wi-fi mobile presso il proprio
domicilio, chiedendo di poter ritirare il pc aziendale appositamente
configurato (doc. 6 ric.); richiesta reiterata in data 20.3.2020 (venerdì), al
termine del periodo di malattia ed in previsione del ritiro per il successivo
lunedì (doc. 7 ric.).

E’ pertanto priva di pregio giustificatorio
l’invocata contingenza secondo cui la resistente avrebbe provveduto a collocare
in smart working solo i dipendenti che erano a lavoro nella settimana dal 9 al
13 marzo, periodo in cui il C. si trovava in malattia, poiché E. ben avrebbe
potuto adottare per tempo le misure organizzative invocate dal ricorrente in
previsione del suo rientro, laddove è pacifico che l’azienda ha adottato la
modalità di lavoro agile per i tutti i colleghi di reparto del ricorrente. Né
la resistente società ha indicato le ragioni per le quali – oltre quelle
organizzative, non apprezzabili, appena accennate – non avrebbe potuto fare a
meno della presenza fisica in azienda del solo C. (e non anche degli altri
colleghi di reparto che stanno lavorando da casa) o non avrebbe potuto, in
ipotesi, prevedere criteri turnari tra il personale.

6.3 Non meno fragile la tesi secondo cui il
certificato medico del dott. Martini di temporanea inidoneità alla mansione
specifica datato 3.4.2020 (doc. 13 ric.) avrebbe imposto alla resistente di non
adibire ad alcuna attività lavorativa il C.. Appare infatti evidente che il
certificato si limita ad indicare l’allontanamento dal posto di lavoro in
quanto, a causa delle patologie croniche polmonari preesistenti, il lavoratore
non poteva essere sottoposto a rischi aggiungivi di contrarre l’infezione da
Covid19, che notoriamente grava proprio sull’apparato respiratorio. E per posto
di lavoro, cui fa riferimento il certificato, non può che intendersi il luogo
ove abitualmente il lavoratore presta l’attività lavorativa, ovvero la sede
operativa di E. in Grosseto, non certo il domicilio, non essendo rilevabile
alcun nesso diretto tra la patologia e l’attività lavorativa in sé, sebbene
svolta in ambiente domestico e, come tale, protetto.

6.4 Occorre dunque analizzare la portata, rispetto
alla vicenda in esame, delle previsioni in tema di lavoro agile dettate dalla
recente normativa d’urgenza e in particolare quella di cui all’art. 39 D.l. 18/2020.

E’ noto che a partire dal mese di febbraio di
quest’anno sono stati emanati numerosi provvedimenti emergenziali allo scopo di
contenere la diffusione del Covid-19 (NOTA 1). Tutta la normativa straordinaria
ed urgente cerca di coniugare la salvaguardia dell’attività lavorativa
(soprattuto nei settori considerati essenziali, come quello relativo
all’attività della resistente) con le esigenze di tutela della salute e di
contenimento della diffusione dell’epidemia. In tale contesto, il ricorso al
lavoro agile, disciplinato in via generale dalla legge
22 maggio 2017, n. 81, è stato considerato una priorità. Per ovvie ragioni,
tale modalità lavorativa non può, né poteva, essere imposta in via generale ed
indiscriminata; cionondimeno la stessa è stata, reiteratamente e fortemente,
raccomandata ed addirittura considerata modalità ordinaria di svolgimento della
prestazione nella P.A. (cfr. art.
87 D.l. 18/2020). Inoltre, ai sensi dell’art. 39, co. 2, D.l. ult. cit.,
“ai lavoratori del settore privato affetti da gravi e comprovate patologie con
ridotta capacità lavorativa è riconosciuta la priorità nell’accoglimento delle
istanze di svolgimento delle prestazioni lavorative in modalità agile ai sensi
degli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81”
(il comma precedente disciplina il diritto allo svolgimento di siffatta
tipologia di lavoro nel caso di lavoratori, o loro familiari, nelle condizioni
di cui all’art. 3, co. 3, della
L. 104/1992). Non è contestato, e del resto risulta documentalmente, che il
ricorrente si trovi in situazione di ridotta capacità lavorativa e abbia dunque
titolo di priorità.

Il DPCM 10 aprile 2020
nel ribadire, alla lettera hh) dell’art.
1, la volontà di promuovere il lavoro agile “raccomanda in ogni caso ai
datori di lavoro pubblici e privati di promuovere la fruizione dei periodi di
congedo ordinario e di ferie, fermo restando quanto previsto dalla lettera
precedente e dall’art. 2,
comma 2.” Il che equivale a dire che, laddove il datore di lavoro privato sia
nelle condizioni di applicare il lavoro agile, e (come nel caso in esame) ne
abbia dato prova, il ricorso alle ferie non può essere indiscriminato,
ingiustificato o penalizzante, soprattutto laddove vi siano titoli di priorità
per ragioni di salute. In altre parole, la resistente non assume
l’impossibilità di ricorrere al lavoro agile e, del resto, come già ricordato,
è incontestato che tutti i colleghi del ricorrente siano stati già messi nelle
condizioni di svolgere il loro lavoro impiegatizio presso il domicilio. Ne deriva
che non risultano in assoluto pertinenti argomentazioni o motivazioni che
facciano leva sulla circostanza che le previsioni normative emergenziali si
siano limitate a mere raccomandazioni o a fare riferimento alla semplice
possibilità del ricorso al lavoro agile allo scopo di escludere, con ciò, la
configurabilità di qualsivoglia dovere o responsibilità su parte datoriale in
tal senso. Non si intende qui certo sostenere che vi sia un generalizzata
previsione normativa cogente, ma semplicemente che, accertata la sussistenza
delle condizioni per ricorrere al lavoro agile, il datore di lavoro non può
agire in maniera irragionevolmente o immotivatamente discriminatoria nei
confronti di questo o quel lavoratore, tantomeno laddove vi siano titoli di
priorità legati a motivi di salute. Con ciò impregiudicata ogni riserva di
valutazione nel merito connessa al legittimo esercizio del potere di iniziativa
imprenditoriale costituzionalmente garantito.

Non è tuttavia sottratta al riscontro giudiziale la
specifica verifica se il datore di lavoro, nel far ricorso al lavoro agile,
abbia ingiustificatamente penalizzato il singolo lavoratore o pretermesso
diritti garantiti ex lege.

Si ritorna così all’unica argomentazione offerta in
proposito da parte resistente ovvero la circostanza che il C. si trovava in
malattia allorché è stato organizzato il lavoro agile in azienda con le
connesse difficoltà e costi di una successiva riorganizzazione che tenesse
conto del suo, ampiamente prevedibile ed addirittura espressamente anticipato,
rientro a lavoro. In merito alla fragilità ed inaccoglibilità di siffatte
argomentazioni si è già detto in precedenza (vd. punto 6.1) per cui deve
concludersi che l’azienda, senza sforzo apprezzabile, ben avrebbe potuto
mettere il lavoratore invalido N.C. in condizioni di operare da remoto.

La promozione del godimento delle ferie appare, del
resto, una misura comunque subordinata – o quantomeno equiparata, non certo
primaria – laddove vi siano le concrete possibilità di ricorrere al lavoro
agile e il datore di lavoro privato vi abbia fatto ricorso.

Non solo.

Nel caso specifico il lavoratore, aderendo al
precipuo invito del datore di lavoro in relazione al contingente periodo
emergenziale, ha usufruito delle ferie maturate, relative sia all’anno precedente
che a quello in corso, laddove E. ha inteso indurlo a far ricorso anche a ferie
non ancora maturate, a valere quindi sul monte futuro (doc. 14 ric.). Il che,
non solo non trova fondamento normativo alcuno, ma si profila, già in astratto,
contrario al principio generale per cui le ferie (maturate) servono a
compensare annualmente il lavoro svolto con periodi di riposo, consentendo al
lavoratore il recupero delle energie psico-fisiche e la cura delle sue
relazioni affettive e sociali, e pertanto maturano in proporzione alla durata
della prestazione lavorativa. In quanto tale, il godimento delle (id est, il
diritto alle) ferie non può essere subordinato nella sua esistenza e ricorrenza
annuale alle esigenze aziendali se non nei limiti di cui all’art. 2109, co. 2, cod.civ. e nel rispetto delle
previsioni dei singoli contratti collettivi, avuto riguardo ai principi
costituzionali affidati all’art. 36 della carta.

6.5 Deve quindi concludersi che, nello specifico
contesto come sopra riassunto, il rifiuto di ammettere il ricorrente al lavoro
agile e la correlata prospettazione della necessaria scelta tra la sospensione
non retribuita del rapporto e il godimento forzato di ferie non ancora maturate
si profilano illegittimi.

7. Sul periculum in mora

Sussiste altresì il cd. periculum in mora atteso che
il ricorrente, non potendo rientrare fisicamente in azienda almeno fino al
30.4.2020 ed avuto riguardo al tempo ordinariamente occorrente per fare valere
i propri diritti in via ordinaria, si troverebbe di fronte alla scelta tra due
distinte, ingiustificabili, rinunce: alla retribuzione o al godimento
annualmente ripartito delle ferie come via via maturate in ragione del lavoro
prestato. In entrambi i casi con sicura compromissione di diritti fondamentali
ed intangibili del lavoratore.

Tale comprovata, specifica, circostanza di fatto
induce a ritenere sussistente il pericolo di un pregiudizio imminente ed
irreparabile e dunque esistente il concreto pericolo di lesione di beni
patrimoniali e non patrimoniali non integralmente risarcibili per equivalente.

8. Alla luce di tutte le superiori argomentazioni il
ricorso deve essere accolto con la seguente, necessaria, precisazione
temporale.

Non è possibile accedere ad una tutela, che trova il
proprio fondamento nell’attuale legislazione emergenziale, con estensione più
ampia di quella che la stessa legislazione prevede e consente. In altri
termini, le misure di salvaguardia della salute e di contenimento della
pandemia sono state gradualmente introdotte, confermate o estese sempre avuto
riguardo alla situazione sanitaria contingente. De iure condito, l’orizzonte
temporale invalicabile è costituito dalla data del 2 maggio 2020 per cui
l’eventuale estensione del lavoro agile in favore del C. non potrà che essere
rimessa ad una nuova valutazione, avuto riguardo alle sopravvenienze normative
ed agli apprezzamenti riservati, nello specifico, al medico competente.

8.1 In ragione della peculiarità della vicenda e
della necessità di assicurare il rispetto della presente pronuncia con effetto
immediato a fronte della brevità dell’arco temporale (allo stato) residuo con
riferimento alla cogenza di essa, si ritiene che sussistano le condizioni per
la concessione del richiesto strumento di coercizione indiretta ex art. 614 bis cpc con lo scopo di incentivare
l’adempimento dell’obbligo imposto, cui la resistente si è dimostrata
refrattaria pur a fronte delle reiterate richieste del ricorrente lavoratore
invalido.

Nello specifico, tenuto conto della natura della
prestazione, del danno prevedibile, delle condizioni personali e patrimoniali
delle parti, si ritiene equo fissare la somma dovuta nella misura richiesta di
50 euro per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del presente provvedimento.

9. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono
liquidate come in dispositivo in base ai parametri per i compensi per
l’attività forense di cui al D.M. 10.3.2014 n. 55,
pubbl. in GU n. 77 del 2.4.2014, con specifico riferimento a quelli previsti
per le cause cautelari di valore indeterminabile ed esclusa la liquidazione
della fase istruttoria in quanto non svolta.

 

P.Q.M.

 

il Tribunale, sul ricorso ex art. 700 cpc proposto da N. C., così provvede:

– ordina ad E. S.p.A., con effetto immediato e sino
al 2 maggio 2020, di consentire al ricorrente N. C. lo svolgimento delle
mansioni contrattuali in modalità di lavoro agile;

– fissa nella misura di euro 50 al giorno la somma
di denaro dovuta dall’obbligato per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del
presente provvedimento;

– condanna parte convenuta E. S.p.A. alla rifusione
in favore di parte ricorrente delle spese di lite, che liquida in Euro 2.850
per compensi professionali, oltre spese forfettarie, IVA e CPA come per legge.

 

Note:

1) Decreto-legge 23 febbraio 2020,
n. 6, recante «Misure urgenti in materia di contenimento e gestione
dell’emergenza epidemiologica da COVID-19»; decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri 23 febbraio 2020, recante
“Disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante
misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza
epidemiologica da COVID-19”; decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri 25 febbraio 2020, recante “Ulteriori
disposizioni attuative del decreto-legge 23
febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e
gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19”; decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1°
marzo 2020, recante “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante
misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza
epidemiologica da COVID-19”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 52 del 1°
marzo 2020; decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri 4 marzo 2020, recante “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante
misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza
epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale”; decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8
marzo 2020, recante “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante
misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza
epidemiologica da COVID-19”; decreto del Presidente del Consiglio dei ministri
9 marzo 2020, recante “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante
misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza
epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale”; D.L. 2 marzo 2020, n. 9 recante “Misure urgenti
di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza
epidemiologica da COVID-19”; D.L. 8 marzo 2020, n.
11 recante “Misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica
da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività
giudiziaria”; decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri 11 marzo 2020, recante “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante
misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza
epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale”; D.L. 17 marzo 2020, n. 18 recante “Misure di
potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostengo economico per
famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da
COVID-19; D.L. 8 aprile 2020, n. 23 recante
“misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per
le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in
materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali”
e decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri 10 aprile 2020 recante “ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19”.

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