Il dipendente che lamenti l’omesso pagamento dell’indennità sostitutiva delle ferie è tenuto a provare, in sede giudiziale, il mancato godimento del periodo di risposo e, quindi, il lavoro svolto oltre il dovuto.

Nota a Cass. 6 aprile 2020, n. 7696

Sonia Gioia

In materia di onere probatorio, “il lavoratore che agisca in giudizio per chiedere la corresponsione della indennità sostitutiva delle ferie non godute ha l’onere di provare l’avvenuta prestazione di attività lavorativa nei giorni ad esse destinati, atteso che l’espletamento di attività lavorativa in eccedenza rispetto alla normale durata del periodo di effettivo lavoro annuale si pone come fatto costitutivo dell’indennità suddetta, mentre incombe al datore di lavoro l’onere di fornire la prova del relativo pagamento” (Cass. n. 26985/2009).

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione (6 aprile 2020, n. 7696, conforme ad App. Roma n. 10100/2013), in relazione al caso di un dipendente che, non potendo più godere delle ferie precedentemente maturate perché licenziato, aveva chiesto alla società datrice la corresponsione della relativa indennità sostitutiva.

Come noto, al prestatore è riconosciuto il diritto irrinunciabile “a ferie annuali retribuite” (art. 36, co. 3 Cost.; art. 2109, co. 2 c.c.; art. 10, co. 1, D.LGS. n. 66/2003), il recupero delle energie e la realizzazione di esigenze anche ricreative personali e familiari.

Se le ferie maturate non vengono godute nel periodo prescritto dalla legge o dal contratto collettivo e non sono più fruibili per impossibilità (malattia, licenziamento, morte, dimissioni, prepensionamento), al prestatore spetta un’indennità sostitutiva (c.d. indennità per ferie non godute) che costituisce un’ulteriore retribuzione per il lavoro aggiuntivo non dovuto e prestato con violazione di norme a tutela dello stesso prestatore (Cass. n. 22751/2004).

Il lavoratore che chieda l’erogazione di detto emolumento ha l’onere di allegare e dedurre in giudizio, ai sensi dell’art. 2697 c.c., i fatti che ne costituiscono il fondamento, ossia lo svolgimento di attività lavorativa in eccedenza rispetto alla normale durata del periodo di effettivo lavoro annuale (Cass. n. 8521/2015; Cass. n. 26985/2009 cit.; Cass. n. 22751/2004), a nulla rilevando che il datore di lavoro abbia maggior facilità nel provare l’avvenuta fruizione delle ferie da parte del dipendente (Cass. n. 12311/2003).

In attuazione di tali principi, la Corte ha confermato la pronuncia di merito che aveva rigettato la domanda del prestatore per non aver provato il mancato godimento delle ferie e, cioè, l’espletamento delle proprie mansioni nei giorni destinati al riposo.

Sul tema, v. anche, in questo sito, M. N. BETTINI, Diritto alle ferie e monetizzazione dei periodi non fruiti.

Indennità per ferie non godute: l’onere della prova
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