Nell’ipotesi di dequalificazione, il danno professionale, biologico, esistenziale e morale, non ricorre automaticamente, ma deve essere dimostrato dal lavoratore anche mediante l’allegazione di elementi presuntivi.

Nota a Cass. 11 marzo 2020, n. 6941 e a Cass. ord. 11 marzo 2020, n. 6965

Flavia Durval

Il danno determinato dal demansionamento professionale non ricorre automaticamente essendo suscettibile di essere dimostrato dal lavoratore, ai sensi dell’art. 2729 c.c., anche attraverso l’allegazione di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti. Tali elementi devono consentire di valutare “la qualità e quantità dell’attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata dequalificazione… sulla base di un quadro fattuale da cui il giudice possa desumere in via presuntiva la sua esistenza”.

È quanto statuisce la Corte di Cassazione (11 marzo 2020, n. 6941; v. in senso conforme, Cass. n. 19923/2019, annotata in questo sito da F. BELMONTE, Demansionamento e danno risarcibile, e Cass. n. 4652/2019), la quale precisa che fra gli apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito (e pertanto incensurabili in sede di legittimità) rientra la verifica dell’esistenza di allegazioni sufficienti da parte del lavoratore, che ne è onerato, da cui sia possibile desumere l’esistenza del danno da demansionamento professionale onde procedere ad una determinazione della sua entità anche in via equitativa.

Non è dunque possibile prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo, della natura e delle caratteristiche del pregiudizio professionale.

La regola, come rileva la Corte di Cassazione (ord. 11 marzo 2020, n. 6965, conforme a App. Reggio Calabria n. 463/2016) vale in particolare per il risarcimento del danno biologico, che deve essere subordinato all’esistenza di una lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accettabile, e del danno esistenziale, “da intendere come ogni pregiudizio oggettivamente accettabile, provocato sul fare non reddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri”.

Tali danni, ribadisce la Corte, vanno dimostrati in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni (v. Cass. SU. n. 6572/2006 e Cass. n. 4712/2012).

Demansionamento e risarcimento del danno
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