Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 maggio 2020, n. 8799

Cessione del ramo d’azienda, Lavoratore posto in CIGS dalla
cessionaria, Domanda diretta a ripristinare la funzionalità del rapporto ed al
pagamento delle retribuzioni da parte della cedente, Profilo della
quantificazione del risarcimento, Aliunde perceptum, Perdita derivante dalle
mancate retribuzioni bilanciata con il riconoscimento degli importi a titolo di
cassa integrazione, Regola della compensatio lucri cum damno, Non sussiste

 

Rilevato che

 

1. con sentenza del 17.8.2016, la Corte d’appello di
Napoli respingeva il gravame proposto dalla s.p.a. T. Italia avverso la
decisione del Tribunale partenopeo di rigetto dell’opposizione proposta dalla
società avverso il decreto ingiuntivo di condanna della predetta al pagamento,
in favore di A.G.D., della somma di € 3.815,76 a titolo di retribuzioni
maturate per i mesi di giugno ed aprile 2013 in virtù della sentenza emessa
dallo stesso Tribunale di declaratoria di inefficacia della cessione del ramo
d’azienda intervenuta tra le società T. Italia e T.;

2. la Corte rilevava che il lavoratore era stato
posto in CIGS dalla cessionaria T. s.p.a. e che non aveva posto in essere
alcuna attività incompatibile con la legittima pretesa avanzata nei confronti
della T. Italia a seguito della declaratoria giudiziale di inefficacia della
cessione del ramo d’azienda tra quest’ultima e T.;

3. osservava che sulla domanda diretta a
ripristinare la funzionalità del rapporto ed al pagamento delle retribuzioni da
parte della cedente potevano avere rilievo unicamente, sotto il profilo della
quantificazione del risarcimento, vicende che rendessero priva di pregiudizio
la mancata utilizzazione presso la T. nel periodo successivo alla cessione;
aggiungeva che competeva al Giudice la qualificazione dell’azione e che il
Tribunale aveva legittimamente proceduto a qualificare come risarcitoria la
domanda proposta dal D.;

4. quanto all’aliunde perceptum ed alla deduzione
secondo cui la perdita derivante dalle mancate retribuzioni sarebbe stata
bilanciata con il riconoscimento degli importi a titolo di cassa integrazione,
la Corte richiamava orientamento giurisprudenziale alla cui stregua le somme
percepite dal lavoratore dall’istituto previdenziale a titolo assistenziale si
sottraevano alla regola della compensatio lucri cum damno e non realizzavano un
effettivo incremento patrimoniale del primo;

5. in ordine alla dedotta percezione di importi
integrativi riconosciuti in favore del lavoratore da parte della cessionaria,
la Corte osservava che la società opponente non ne aveva provato l’effettività
dell’erogazione ed il quantum e, con riguardo all’aliunde percipiendum,
rilevava che ogni conseguenza negativa per T. Italia era alla stessa imputabile
in relazione alla mancata ottemperanza all’ordine giudiziale di ricostituzione
della concreta funzionalità del rapporto;

6. di tale decisione ha domandato la cassazione la
s.p.a. T. Italia, affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui ha resistito,
con controricorso, il D., che ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis. 1 c.p.c.

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo, la società ricorrente
denunzia violazione degli artt. 2112 e 2126 c.c., in relazione alla parte in cui la
sentenza della Corte d’appello di Napoli ha ritenuto che la condotta del D.,
che aveva accettato la collocazione in CIGS da parte del cessionario del ramo
d’azienda, fosse compatibile con la pretesa avanzata nel presente giudizio,
assumendo che il rapporto giuridico nella cessione del ramo d’azienda, ancorché
dichiarata illegittima, resta uno solo, ricostituito in capo al cedente e
proseguito di fatto con il cessionario, sicché, con la sua condotta, il D.
aveva reso palese che lo stesso rapporto non potesse essere imputato ad altro
soggetto, poiché, diversamente, il predetto non avrebbe avuto alcun titolo per
fruire di un intervento assistenziale;

2. con il secondo motivo, la ricorrente lamenta
omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di
discussione tra le parti, ove la sentenza della Corte d’appello ha ritenuto
corretta la riqualificazione – da retributiva a risarcitoria – della natura
dell’azione promossa dal D. come operata dal Tribunale;

3. con il terzo motivo, sono ascritte alla decisione
impugnata violazione e/o falsa applicazione degli artt.
1206, 1207, 1217,
1223, 1256, 1453 e 1463 c.c.
nella parte in cui si è ritenuto che l’indennità di cassa integrazione erogata
dal cessionario non sia deducibile a titolo di aliunde perceptum;

4. con il quarto, è dedotta nullità della sentenza –
in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., nella
parte in cui la Corte d’appello ha completamente omesso di considerare
l’accordo sindacale del 23.12.2011, depositato quale doc. 5 del ricorso in appello;

5. il ricorso è infondato,

6. quanto ai primi due motivi, che possono trattarsi
congiuntamente per l’evidente connessione delle questioni che ne costituiscono
l’oggetto, a prescindere dalla differente articolazione delle censure, (

riferite rispettivamente al vizio di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c. ed a quello di cui al n. 5
dello stesso articolo, è sufficiente osservare che, secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte, non sono deducibili a titolo di aliunde perceptum
dal risarcimento del danno per mancata costituzione del rapporto di lavoro le
somme che traggono origine dal sistema di sicurezza sociale che appronta misure
sostitutive del reddito in favore del lavoratore, considerato che l’eventuale
non debenza dà luogo ad un indebito previdenziale ripetibile, nei limiti di
legge, dall’Istituto previdenziale (cfr., tra le altre, Cass. n. 14878 del 7.6.2018, Cass. n. 9724 del
18/4/2017, Cass. n. 7794 del 27/03/2017);

6.1. le argomentazioni poste dalla odierna
ricorrente a sostegno dei motivi ripropongono questioni già esaminate e
disattese dai richiamati precedenti giurisprudenziali ai quali va data
continuità, non ravvisandosi plausibili e convincenti ragioni per mutare
l’orientamento ivi espresso;

7. quanto al terzo motivo, va ribadito quanto già
evidenziato per confutare il primo motivo, aggiungendosi, con richiamo a
giurisprudenza di legittimità formatasi sulla specifica questione, che la
indennità percepita a titolo di cassa integrazione opera su un piano diverso
dagli incrementi patrimoniali che derivino al lavoratore dall’essere stato
liberato, anche se illegittimamente, dall’obbligo di prestare la sua attività,
dando luogo la sua eventuale non spettanza ad un indebito previdenziale,
ripetibile nei limiti di legge (esattamente in termini, in riferimento alla
stessa vicenda circolatoria aziendale: Cass. 27
marzo 2017, n. 7794, sia pure con qualificazione del trattamento economico
a titolo risarcitorio, secondo indirizzo superato); un tale arresto è
evidentemente indipendente dalla qualificazione del trattamento economico
dovuto al lavoratore illegittimamente trasferito, in una con il compendio
aziendale cui é addetto, dal datore cedente al cessionario (con ordine di
ripristino del rapporto al datore tuttavia ad esso inadempiente) di natura
risarcitoria (secondo il precedente indirizzo: Cass.
17 luglio 2008 n. 19740; Cass. 9 settembre
2014 n. 18955; Cass. 30 maggio 2016 n. 11095;
Cass. 27 marzo 2017, n. 7794), piuttosto che
retributiva (Cass. 31 maggio 2018, n. 14019 e Cass.
1 giugno 2018, n. 14136, estensione del principio di diritto affermato da
Cass. s.u. 7 febbraio 2018, n. 2990, con indirizzo avallato anche da Corte cost. 28 febbraio 2019, n. 29);

8. il quarto motivo prospetta una questione nuova,
che non ha costituito oggetto del thema disputandum nei gradi di merito e che
come tale è inammissibile, essendo stato peraltro correttamente osservato come
non risulti provato che siano state erogate somme in dipendenza dell’accordo,
né che ne sia stato indicato il quantum, per cui il motivo non risulta
conferente rispetto alle considerazioni su cui si fonda la sentenza impugnata;

9. il ricorso va, pertanto, complessivamente
respinto;

10. le spese del presente giudizio di legittimità
vanno compensate tra le parti, per la intervenuta rivisitazione, in periodo
contiguo al deposito del presente ricorso, dell’indirizzo giurisprudenziale
sulla questione della natura del trattamento economico dovuto al lavoratore
illegittimamente trasferito;

11. ai sensi dell’art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115
del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1
bis dello stesso art. 13, ove
dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese
del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13,
comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.13, comma 1 bis, del citato D.P.R.,
ove dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 maggio 2020, n. 8799
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