Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 maggio 2020, n. 9303

Licenziamento verbale, Pagamento di differenze retributive,
Eccezione di nullità della deposizione del teste, Formulazione con apposito
mezzo di gravame avanti al giudice d’appello

 

Rilevato che

 

1. R.P. adiva il Giudice del lavoro del Tribunale di
Trani deducendo di avere lavorato dal 4 al 25 novembre 2005 alle dipendenze
della P.M.P. Costruzioni di P.G. s.a.s., venendo poi licenziato verbalmente.
Rivendicava nei confronti della datrice di lavoro il pagamento di differenze
retributive e la reintegra nel posto di lavoro per nullità del licenziamento.
Il giudice adito rigettava ogni domanda.

2. La Corte di appello di Bari, con sentenza n.
3263/2015, accogliendo l’appello del lavoratore, riteneva sussistente la natura
subordinata del rapporto di lavoro e inefficace il licenziamento intimato
verbalmente il 25 novembre 2005. Ordinava la reintegra del ricorrente nel posto
di lavoro, con ogni conseguenza di ordine economico ex art. 18 stat. lav. (nel testo
ratione temporis vigente), non avendo la convenuta provato i presupposti per
l’applicabilità della tutela obbligatoria. Condannava la convenuta altresì al
pagamento delle differenze retributive, pari ad euro 476,67 compreso il TFR,
sulla base dell’inquadramento nel terzo livello contrattuale (“carpentiere
in ferro capace di costruire anche su disegno”).

3. Per la cassazione di tale sentenza la società
P.M.P. Costruzioni di P.G. s.a.s. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi.
Ha resistito il P. con controricorso.

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 414 e 416 cod.
proc. civ. (art. 360, primo comma, n. 3 cod.
proc. civ.) e omesso esame di fatto decisivo per il giudizio (art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.) per
avere la Corte di appello ritenuto provati i fatti di cui al ricorso
introduttivo – e in particolare il licenziamento verbale – sulla base della
testimonianza di P.P., da ritenere inammissibile in quanto testimonianza
assunta dal primo giudice sulla base di una istanza istruttoria formulata
tardivamente, solo in sede di “memoria di difesa a domanda
riconvenzionale”.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e
falsa applicazione dell’art. 78
CCNL, anche in relazione all’art. 2103 cod.
civ. (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc.
civ.). La denuncia verte sulla qualifica di inquadramento riconosciuta al
P. in sede giudiziale. Si deduce che il profilo professionale di
“carpentiere in ferro” è compreso nel secondo livello, ossia in un
livello inferiore a quello riconosciuto.

3. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa
applicazione dell’art. 2120 cod. civ. (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.) per
avere la Corte di appello condannato la società al pagamento del trattamento di
fine rapporto, pur avendo ordinato la reintegra dell’appellante nel posto di
lavoro. Si deduce che la somma riconosciuta per tale titolo è di euro 73,63,
così rideterminata dalla sentenza impugnata in luogo della maggiore somma
rivendicata, pari ad euro 100,52.

4. Il primo motivo è infondato.

4.1. L’art. 346 cod.
proc. civ., nel prevedere che le eccezioni non accolte in primo grado si
intendono rinunciate se non sono espressamente riproposte in appello, non fa
alcuna distinzione tra eccezioni di merito ed eccezioni concernenti la validità
e l’ammissibilità delle prove. Deve di conseguenza presumersi rinunciata
l’eccezione di inammissibilità della prova testimoniale disattesa dal giudice
di primo grado, e non riproposta in appello (Cass. n. 4496 del 2009).

Ove l’eccezione di nullità della deposizione del
teste, tempestivamente proposta, non sia stata presa in esame dal giudice
avanti al quale la prova è stata espletata, la stessa deve essere formulata con
apposito mezzo di gravame avanti al giudice d’appello, ovvero, se sollevata
dalla parte vittoriosa in primo grado, da questa riproposta poi nel giudizio di
gravame a norma dell’art. 346 cod. proc. civ.,
dovendosi in caso contrario la medesima eccezione ritenersi rinunciata, con
conseguente sanatoria della nullità stessa per acquiescenza, rilevabile
d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento (cfr. Cass. n. 10120 del 2019,
v. pure S.U. 21670 del 2013).

4.2. Nel caso in esame, risulta dallo stesso ricorso
per cassazione che il P., in replica all’assunto di controparte secondo cui fu
il ricorrente stesso a dimettersi, con la memoria del 9 luglio 2007 chiese
l’ammissione della prova testimoniale con il teste P.P. su circostanze volte a
provare l’avvenuto licenziamento verbale. Risulta altresì che alla prima
udienza il Giudice del lavoro di Trani dispose l’espletamento dei mezzi
istruttori rinviando per l’escussione di due testi per parte all’udienza del 7
marzo 2008 e che all’udienza fissata venne escusso il teste P. Solo in quella
sede parte convenuta eccepì la tardività dell’indicazione del predetto teste.

4.3. Anche a voler prescindere dalla questione se il
primo atto difensivo successivo fosse appunto l’udienza del 7 marzo 2008 o
l’udienza anteriore (come prospettato dall’odierno controricorrente), comunque
non risulta dalla sentenza impugnata che fossero state riproposte ex art. 346 cod. proc. civ. da parte appellata le
eccezioni non espressamente esaminate dal primo giudice. Né l’odierna
ricorrente per cassazione lamenta un’omessa pronuncia da parte del giudice di
appello riguardo ad un’eccezione ritualmente dalla stessa riproposta in
appello.

5. Il secondo motivo è inammissibile, in quanto la
sentenza ha dato atto che l’appellante era un operaio “specializzato”
che lavorava “su disegno” e tale figura rientra nel terzo livello
contrattuale, come ritenuto dal giudice di appello. La società ricorrente
trascrive la declaratoria e i profili esemplificativi della seconda qualifica
professionale, la quale contempla la figura del “carpentiere in ferro e
legno”, ossia un profilo diverso da quello in cui – secondo l’accertamento
condotto dal giudice di merito – erano sussumibili le mansioni in concreto
svolte dal P.

6. E’ invece fondato il terzo motivo, poiché il
diritto al trattamento di fine rapporto sorge, a norma dell’art. 2120 cod. civ., al momento della cessazione
del rapporto ed in conseguenza di essa, essendo irrilevante, al fine di
ipotizzare una diversa decorrenza, l’accantonamento annuale della quota del
trattamento, che costituisce una mera modalità di calcolo dell’unico diritto
che matura nel momento anzidetto, ovvero l’anticipazione sul trattamento
medesimo, che è corresponsione di somme provvisoriamente quantificate e prive
del requisito della certezza, atteso che il diritto all’integrale prestazione
matura, per l’appunto, solo alla fine del rapporto lavorativo (Cass. n. 3894 del 2010). Accertata
l’illegittimità del licenziamento e ricostituita la continuità del rapporto di
lavoro, il diritto al trattamento di fine rapporto non può ritenersi ancora
maturato.

6.1. Va dunque cassata in parte qua la sentenza, in
accoglimento del terzo motivo. Non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto,
va emessa decisione nel merito ex art. 384, secondo
comma, cod. proc. civ., dovendo essere rideterminata in euro 403,04 in
luogo di euro 476,67, oltre accessori, la somma dovuta dalla società a titolo
differenze retributive, una volta escluso il TFR.

7. Tenuto conto della parziale riduzione del quantum
debeatur, appare congruo compensare tra le parti nella misura di 1/5 le spese
di lite dei due gradi del giudizio di merito, restando a carico della società
ricorrente i restanti 4/5, da determinare sull’intero liquidato nella stessa
misura stabilita dalla Corte di appello di Bari, ossia in euro 2.500,00 per il
primo grado e in euro 3.500,00 per il grado appello. Nella stessa misura (4/5)
sono poste a carico dell’odierna ricorrente le spese del giudizio di
legittimità, liquidate per l’intero nella misura di euro 3.500,00 per compensi e
di euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il terzo motivo; rigetta gli altri. Cassa
la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito,
rigetta Ia sola domanda relativa al TFR. Compensa 1/5 delle spese e condanna la
P.M.P. Costruzioni di P.G. s.a.s. al pagamento dei restanti 4/5, che liquida
per l’intero in euro 2.500,00 per il primo grado, in euro 3.500,00 per il grado
di appello e in euro 3.500,00 per compensi e euro 200,00 per esborsi, oltre 15%
per spese generali e accessori di legge, per il presente giudizio.

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