Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 maggio 2020, n. 9475

Lettera di licenziamento, Malattia, nelle more del preavviso
– Certificati medici inviati a rapporto già concluso, Licenziamento
legittimamente intimato

 

Rilevato

 

che la M.G. di G.S. & C. S.a.s. proponeva
opposizione avverso tre decreti ingiuntivi emessi dal Tribunale di Roma in
favore di E.C., in relazione a somme pretesamente dovute a quest’ultima per il
rapporto lavorativo intercorso tra le parti; che la C., con ricorso depositato
in data 1.8.2005, e successivamente riunito ai predetti ricorsi in opposizione
– assumendo di avere lavorato continuativamente, dall’1.7.2001 al 19.3.2005,
alle dipendenze della M.G. di G.S. & C. S.a.s., impresa operante nel
settore delle pulizie, con mansioni di addetta a queste ultime; di essere stata
licenziata con missiva del 12.10.2004, con effetto dal 27.10.2004; di essere
entrata in malattia, nelle more del preavviso, dal 13.10.2004 al 19.3.2005; di
essersi recata il 21.3.2005 presso la sede della società per riprendere il
lavoro e di essere stata <<aggredita sia verbalmente che fisicamente dai
signori G.M. e G.G. ed allontanata dal luogo di lavoro>>; che il
licenziamento non era assistito da giustificato motivo oggettivo, ma da
finalità ritorsive, causate dalla richiesta, da parte di essa dipendente, di
una maggiore flessibilità dell’orario di lavoro; che il datore di lavoro non le
avrebbe corrisposto la retribuzione per l’inquadramento nel V livello del CCNL
di categoria e neppure quanto dovutole a titolo di 13A e 14A mensilità, ferie,
indennità sostitutiva delle ferie non godute e TFR per il periodo non
regolarizzato (1.7.2001-1.7.2002) -, chiedeva che venisse accertato lo
svolgimento del rapporto di lavoro subordinato dall’1.7.2001 al 19.3.2005, con inquadramento
al V livello del CCNL ed, altresì, dichiarata la illegittimità del
licenziamento intimatole, con condanna della parte datoriale al ripristino del
rapporto o alla reintegra, con ogni conseguenza in ordine al risarcimento del
danno, ed altresì al pagamento della somma di Euro 10.540,55, per i titoli
anzidetti;

che il Tribunale di Roma, con la sentenza n.
3056/2008, resa il 15.2.2008, riuniti i giudizi – ritenuto che il licenziamento
fosse stato legittimamente intimato e che la società avesse posto
legittimamente fine al rapporto allo spirare del periodo di malattia
tempestivamente comunicato alla lavoratrice, con effetto dal 16.12.2004, in
quanto i successivi certificati medici sarebbero stati inviati a rapporto già
concluso -, condannava la parte datrice al pagamento di Euro 2.500,00 a titolo
di TFR, nonché delle differenze retributive, <<previo scorporo delle
somme richieste relativamente agli anni 2001 e 2005 e di quanto preteso a
titolo di lavoro straordinario>>;

che, con sentenza depositata il 27.1.2015, la Corte
di Appello di Roma accoglieva parzialmente il gravame interposto da E.C., nei
confronti di S.G., in proprio, e della S.a.s. M.G. di G.S. & C., avverso la
predetta pronunzia, e condannava il G. e la società, in solido, al pagamento,
in favore della lavoratrice, di Euro 1.846,22 a titolo di integrazione del
trattamento economico di malattia INPS per il periodo 13.10.2005-27.1.2005 e di
Euro 332,17 a titolo di integrazione del trattamento economico di malattia INPS
per il periodo 28.1.2005-19.3.2005, oltre accessori, come per legge; di Euro
3.971,33, oltre accessori, per differenze retributive relative al rapporto di
lavoro svolto dall’1.7.2001 al 19.3.2005, nonché di Euro 620,48, oltre
accessori, per differenze sul TFR; che per la cassazione della sentenza S.G. ha
proposto ricorso affidato a due motivi;

che E.C. non ha svolto attività difensiva; che il
P.G. non ha formulato richieste.

 

Considerato

 

che, con il ricorso, si censura: 1) in riferimento
all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la
nullità della sentenza e del procedimento per <<violazione delle norme
sulla formazione del giudizio ed in tema di rilevazione del giudicato interno e
di extra ed ultrapetizione>>, per avere la Corte di merito condannato il
G., in solido con la M.G. S.a.s., al pagamento di somme che la C. non aveva
richiesto in sede di appello ed in ordine alle quali la stessa <<aveva
omesso di ripresentare apposite conclusioni nell’atto di appello>>; ed
invero, la parte ricorrente – ribadito quanto già riferito in narrativa in
ordine al fatto che <<sono stati avviati innanzi al Tribunale di Roma
quattro distinti procedimenti, i primi tre dei quali di opposizione a decreto
ingiuntivo proposti dalla società>> e l’ultimo dei quali (ricorso introdotto
dalla C.) riunito a quello dei primi tre pendente dalla data più remota; e che
la lavoratrice ha impugnato la pronunzia del Tribunale, di cui innanzi si è
detto – assume che la Corte territoriale abbia errato nel ritenere che la
dipendente avesse insistito per l’accoglimento integrale di tutte le domande
proposte in primo grado e non accolte dal primo giudice (v. pag. 3 della
sentenza impugnata), poiché, <<in realtà, nelle conclusioni del ricorso
in appello depositato il 21.3.2009, la C. si è limitata a trascrivere e,
dunque, ad insistere solo ed esclusivamente sulle conclusioni del ricorso ex art. 414 c.p.c. depositato l’1.8.2005, innanzi al
Tribunale di Roma>>. Il ricorrente deduce, altresì, che, dei quattro procedimenti
di cui si tratta, riguardanti il rapporto di lavoro intercorso tra le parti, la
difesa della dipendente si è limitata a riportare nell’atto di appello
esclusivamente le conclusioni dell’ultimo procedimento in ordine cronologico,
cioè, di quello dalla stessa proposto con ricorso dinanzi al Tribunale di Roma
ed iscritto al R.G. n. 220110/2005, e sottolinea, altresì, che le conclusioni
dell’atto di gravame sono identiche a quelle riportate in tale ultimo ricorso,
senza che nelle stesse si rinvenga alcun riferimento a quelle degli altri tre
procedimenti di cui sopra è menzione; pertanto, a parere del ricorrente, su
tali procedimenti si è formato un giudicato interno, in considerazione del
fatto che la C., nell’atto di appello, ha accennato alle somme asseritamente
dovute a titolo di integrazione del trattamento economico per malattia ed
infortunio solo nella parte dedicata alla narrazione dello svolgimento del
processo, senza farne alcun cenno nel corso dei motivi sollevati per censurare
la sentenza impugnata, né in sede di conclusioni; e, quindi, la Corte di
appello, secondo il ricorrente, è incorsa in un evidente vizio di
ultrapetizione laddove ha condannato il G. e la società, in solido, al
pagamento, in favore della lavoratrice, di Euro 1.846,22 a titolo di
integrazione del trattamento economico di malattia INPS per il periodo
13.10.2005-27.1.2005 e di Euro 332,17 a titolo di integrazione del trattamento
economico di malattia INPS per il periodo 28.1.2005-19.3.2005, oltre accessori;
2) in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3,
c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt.
2304 c.c. e 113 c.p.c., per avere la Corte
di merito erroneamente condannato il ricorrente in solido con la M.G. di G.S.
& C. S.a.s., senza considerare che la qualità di socio accomandatario dallo
stesso rivestita ne avrebbe comportato una responsabilità meramente
sussidiaria;

che il primo motivo è fondato; ed invero, perché
possa utilmente dedursi in sede di legittimità la violazione dell’art. 112 c.p.c. -fattispecie riconducibile ad una
ipotesi di error in procedendo ex art. 360, n. 4,
c.p.c. – sotto il profilo della mancata corrispondenza tra il chiesto ed il
pronunziato, deve prospettarsi, in concreto, l’omesso esame di una domanda o la
pronunzia su una domanda non proposta (cfr., tra le molte, Cass. nn.
13482/2014; 9108/2012; 7932/2012; 20373/2008):
e tale ultima ipotesi si profila nel caso di specie – in cui, nella sostanza,
viene in considerazione l’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza della
domanda -, essendo incorsa la Corte distrettuale in un vizio di <<ultrapetizione>>,
nella parte in cui ha disposto la condanna del <<G. e della società, in
solido, al pagamento, in favore di C.E., di Euro 1.846,22 a titolo di
integrazione del trattamento economico di malattia INPS per il periodo
13.10.200527.1.2005 e di Euro 332,17 a titolo di integrazione del trattamento
economico di malattia INPS per il periodo 28.1.2005-19.3.2005, oltre
accessori>>, senza considerare che la C., nell’atto di appello, aveva
fatto un riferimento alle somme asseritamente dovute a titolo di integrazione
del trattamento economico per malattia ed infortunio soltanto nella narrazione
dello svolgimento del processo, senza, però, farne alcun cenno nei motivi di
gravame, né in sede di conclusioni dell’atto stesso, come si evince, in
particolare, dalle pagg. 23-25 di quest’ultimo;

che, pertanto, la Corte territoriale ha errato nel
ritenere (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata) che la dipendente avesse
insistito per l’accoglimento integrale di tutte le domande proposte in primo
grado e, per la gran parte, respinte dal primo giudice, perché, in realtà,
nelle conclusioni del ricorso in appello depositato il 21.3.2009, la C. si è
limitata a trascrivere e, dunque, ad insistere esclusivamente sulle
<<conclusioni del ricorso ex art. 414 c.p.c.
depositato l’1.8.2005, innanzi al Tribunale di Roma>>, omettendo di
riportare anche quelle delle memorie difensive depositate nei tre procedimenti
di opposizione ai decreti ingiuntivi, di cui si è detto in narrativa, azionati
anche per ottenere le somme a titolo di integrazione del trattamento economico
di malattia INPS, le quali ultime non sono state riconosciute dal giudice di
primo grado; e, dunque, in mancanza di riproposizione in sede di gravame delle
domande respinte dal Tribunale, le stesse devono intendersi rinunziate ai sensi
dell’art. 346 del codice di rito (cfr., ex
plurimis, Cass. nn. 413/2017; 14755/2006); che il secondo motivo resta,
all’evidenza, assorbito; che, per tutte le considerazioni innanzi svolte, il
primo motivo va accolto – assorbito il secondo – e, non essendo necessari
ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, ai sensi del
disposto dell’art. 384 c.p.c., dovendosi
dichiarare non dovute le somme riconosciute a titolo di integrazione del
trattamento economico di malattia INPS; che, avuto riguardo all’esito
dell’intero processo, confermate le spese di lite stabilite con la sentenza di
primo grado, si stima equo compensare interamente tra le parti quelle di
secondo grado;

che nulla va disposto in ordine alle spese del
presente giudizio, poiché la C. è rimasta intimata.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso) assorbito il
secondo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara non
dovute le somme riconosciute a titolo di integrazione del trattamento economico
di malattia INPS.

Conferma le spese stabilite in primo grado; compensa
le spese del secondo grado; nulla per quelle del giudizio di legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 maggio 2020, n. 9475
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