Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 maggio 2020, n. 9809

Cartella esattoriale per contributi omessi, Prestazione
lavorativa all’estero, Assoggettabilità a contribuzione delle somme
corrisposte a titolo di indennità estero, Natura retributiva del trattamento
aggiuntivo corrisposto al dipendente

 

Rilevato che

 

1. con sentenza del 24 aprile 2013, la Corte di
appello di Roma ha riformato la sentenza di primo grado e, decidendo
sull’opposizione a cartella esattoriale per contributi omessi e sanzioni in
riferimento a dipendente dell’attuale ricorrente, in parziale accoglimento
della pretesa contributiva dell’INPS, e delle relative sanzioni accessorie, ne
ha riconosciuto la fondatezza a decorrere dal 10 aprile 2001;

2. l’omissione contributiva contestata atteneva
all’assoggettabilità a contribuzione delle somme corrisposte da U. s.p.a. a
P.C., nel periodo marzo 1999 – ottobre 2005 per prestazione lavorativa
all’estero, eccedenti la retribuzione che il dipendente avrebbe percepito
qualora avesse prestato la sua attività in Italia (indennità estero), con
diritto all’esenzione totale, ad avviso della Banca, in quanto erogate a titolo
di indennità per temporanea destinazione estera e dirette a compensare
forfettariamente i relativi oneri presso la sede estera ovvero, in subordine,
al trattamento contributivo previsto per le indennità di trasferta (nella
misura del 50 per cento) ai sensi dell’art. 5 del d.l. n. 317 del 1987;

3. per i giudici del gravame, ricompreso nella
retribuzione imponibile tutto quanto corrisposto al lavoratore non
occasionalmente, con la sola eccezione delle somme destinate a rimborso spese,
e incluse voci del trattamento economico formalmente non legate al valore
professionale della prestazione ma giustificate con disagi e maggiori spese a
carico del lavoratore in quanto correlate alla prestazione e non previste
espressamente come voci relative a rimborso spese, la Banca non aveva assolto
l’onere della dimostrazione della natura non retributiva delle somme
assoggettate dall’INPS a contribuzione, al 100 per cento, per essersi limitata
alla dedotta applicabilità della deroga ex art. 12, n. 1 legge n.153 del
1969 (esenzione contributiva delle somme corrisposte al lavoratore a titolo
di rimborso spese o in subordine di diaria o indennità di trasferta in cifra
fissa, limitatamente al 50 per cento del loro ammontare);

4. la Corte di merito riconosceva, pertanto, la
natura retributiva del trattamento aggiuntivo corrisposto al dipendente, in
funzione compensativa della maggior gravosità della prestazione resa all’estero
causalmente collegata con la prestazione lavorativa della quale rappresentava,
con altre voci, il corrispettivo, alla stregua delle particolari pattuizioni
che lo prevedevano (corresponsione fissa e continuativa per 13 mesi) e delle
circostanze concrete (non assoggettamento a documentazioni di spesa) e
rigettava la pretesa subordinata volta all’applicazione, nella specie, del regime
contributivo previsto, ratione temporis, dall’art. 12 Legge n. 153 del 1969,
co. 1, n. 1 e dall’art. 48, co.8
TUIR, alla stregua del quale sono ricompresi nel reddito, nella misura del
50 per cento, assegni e indennità per servizi prestati all’estero e svolti in
via non continuativa presso la medesima sede, mentre nella specie la permanenza
all’estero del dipendente derivava dall’affidamento di uno specifico incarico
temporaneo di lunga durata e in via continuativa;

5. i giudici del gravame confermavano, inoltre,
l’applicabilità del termine di prescrizione quinquennale, così rigettando il
gravame incidentale svolto dall’INPS, incentrato sulla trasformazione del
termine in decennale in conseguenza della denuncia del lavoratore (il 3 marzo
2006), escludevano efficacia interattiva alla denuncia del lavoratore e, tenuto
conto della notifica della raccomandata dell’INPS ricevuta dalla Banca il 10
aprile 2006, consideravano non prescritto il periodo decorrente dal 10 aprile
2001;

6. riteneva, infine, la Corte territoriale che
l’omessa dettagliata indicazione, nei modelli presentati all’INPS, della
retribuzione imponibile e dei contributi da versare, integrasse la fattispecie
di evasione contributiva, con applicazione del relativo regime sanzionatorio;

7. avverso tale sentenza U. s.p.a. ha proposto
ricorso, notificato all’INPS in data 24 aprile 2014, affidato a tre motivi, al
quale ha opposto difese l’INPS, anche quale procuratore speciale della S.C.C.I.
s.p.a., con controricorso;

8. l’INPS, anche quale procuratore speciale della
S.C.C.I. s.p.a., ha proposto ricorso, notificato il 23 aprile 2014, affidato ad
un motivo, al quale ha opposto difese U. s.p.a. con controricorso;

9. Equitalia Sud s.p.a., ora Agenzia delle Entrate
Riscossione, e P.C. sono rimasti intimati;

 

Considerato che

 

10. come già statuito da questa Corte (v., fra le
altre, Cass. n. 25662 del 2014 e n.5695 del 2015), il principio dell’unicità
del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta
avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbano
essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di
ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso, fermo restando
che tale modalità non è essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si
converte, indipendentemente dalla forma assunta, in ricorso incidentale;

11. nella specie, l’impugnazione dell’INPS, notificata
per prima, deve ritenersi principale e il ricorso di U., successivamente
notificato, deve ritenersi incidentale;

12. le questioni poste con i mezzi d’impugnazione
impongono l’esame, logicamente preliminare, del ricorso incidentale;

13. U. s.p.a. denuncia violazione dell’art. 12 legge n.153 del 1969,
dell’art. 48, co.8 e 8-bis, TUIR,
dell’art. 36 legge n. 342 del
2000, per avere la Corte di merito assoggettato a contribuzione l’intero
importo degli emolumenti corrisposti al dipendente inviato a lavorare presso le
filiali di P. e F., disattendendo, in riferimento al periodo successivo al 31
dicembre 2000, la disciplina della base imponibile, modificata dalla legge n.342 del 2000 e introdotta con il comma 8-bis dell’art. 48 (oggi 51) TUIR; assume che, per effetto
della richiamata disposizione, dal 1° gennaio 2001 la retribuzione imponibile
per i lavoratori dipendente con attività lavorativa all’estero, in via
continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto, soggiornando per un periodo
superiore a 183 giorni nell’arco di un anno, si determina ai sensi dell’art. 4, co.l , d.l.n.317 del 1987,
conv. in legge n.398 del 1987, prendendo a
riferimento le retribuzioni convenzionali che all’origine (1987) venivano
utilizzate solo per quantificare la retribuzione imponibile dei lavoratori
operanti in Paesi extracomunitari o non convenzionati; assume che il
legislatore della legge finanziaria per il 2001 ha inteso unificare il regime
contributivo dei lavoratori italiani operanti all’estero, individuando un unico
parametro di riferimento per definire la retribuzione imponibile e
pensionabile, indipendentemente dal Paese di destinazione (UE, extracomunitario
convenzionato, extracomunitario non convenzionato), dato dalla retribuzione
convenzionale fissata con decreto dei ministri competenti che si sono attenuti
ai livelli contrattuali minimi fissati dalla contrattazione collettiva;
conseguentemente la società era tenuta ad assolvere l’obbligo contributivo sole
sulle retribuzioni convenzionali fissate anno per anno con decreto ministeriale
e, in tale contesto normativo di riferimento, risultano irrilevanti, ai fini
del decidere, gli argomenti sulla natura retributiva piuttosto che risarcitoria
degli emolumenti corrisposti in aggiunta alla retribuzione erogata al pari
grado in servizio in Italia e, peraltro, nel giudizio di merito né l’INPS, né
il lavoratore intervenuto avevano contestato il versamento di contributi in
misura inferiore rispetto a quelli previsti per le retribuzioni di un
lavoratore di pari grado in servizio in Italia;

14. va innanzitutto disattesa l’eccezione di
inammissibilità del motivo di ricorso per la novità delle questioni introdotte,
da ravvisarsi, ad avviso dell’INPS, nella circostanza che, nei gradi di merito,
la Banca non aveva mai sostenuto l’esattezza dell’adempimento contributivo
effettuato in quanto corrispondente alla misura prevista per le retribuzioni
convenzionali stabilite annualmente dal Ministero del lavoro e sulla base del
disposto del comma 8 bis dell’art.
51 T.U.I.R., ma in quanto le somme corrisposte dovevano considerarsi
assimilabili ad indennità di trasferta;

15. nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto
solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del
processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove
questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel
giudizio di merito, a meno che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o,
nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel
dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti (v., fra le altre,
Cass. n. 30427 del 2017 e i precedenti ivi richiamati);

16. nel caso di specie, l’oggetto del processo nei
gradi di merito è stato riferito all’accertamento della natura giuridica delle
prestazioni economiche effettuate da U. in favore del dipendente durante la sua
permanenza a P. e a F. ai fini della imposizione contributiva corrispondente e,
dunque, il nuovo profilo di diritto, relativo alla pretesa applicabilità dell’art. 36 della legge n. 342 del 2000
e la consequenziale correttezza dell’adempimento effettuato, non costituisce
novità vietata giacché non comporta l’esame di questioni in fatto diverse
rispetto a quanto oggetto di disamina nel merito, né si richiede di affrontare
tema diverso rispetto alla individuazione della disciplina del trattamento
retributivo erogato all’estero;

17. il primo motivo del ricorso di U., riferito alla
individuazione della disciplina applicabile alla fattispecie di lavoro svolto
all’estero oggetto del giudizio ed alla sussunzione della concreta fattispecie
in tale disciplina, è infondato;

18. la ricostruzione normativa sottesa alla
formulazione del motivo di ricorso non può condividersi alla luce delle
condivise argomentazioni svolte da questa Corte con la sentenza n. 17646 del 2016, alla quale ha dato
continuità la sentenza n. 30427 del 2017, la cui massima afferma che ai fini
dell’individuazione della base imponibile per la determinazione dei contributi
previdenziali dovuti in relazione alla posizione di lavoratori italiani che
prestano attività lavorativa all’estero, deve aversi riguardo alla retribuzione
effettivamente corrisposta e non alle retribuzioni convenzionali individuate
con i d.m. richiamati dall’art. 4, comma 1, del d.l. n. 314 del 1987, conv. nella
legge n. 398 del 1987, non essendo applicabile
il comma 8-bis dell’art. 48 del
d.P.R. n. 917 del 1986 (poi divenuto 51 per effetto del d. Igs. n. 344 del 2003) introdotto dall’art. 36, comma 1, della legge n.
342 del 2000, che opera esclusivamente a fini fiscali e non incide sulla
determinazione della retribuzione imponibile a fini contributivi;

19. il principio affermato consegue a ragioni di
ordine sistematico giacché l’art.
36 della legge n.342 del 2000 risponde a logiche peculiari del sistema
fiscale, richiamando il limite temporale dei 183 giorni e la nozione di
residenza fiscale, estranea alla materia previdenziale, e il suo contenuto, che
fa riferimento ai decreti ministeriali previsti dall’ art. 4 del d.l. n. 317 del 1987,
non mette in discussione l’impianto complessivo del sistema previdenziale in
cui tali decreti ministeriali operano e che fu costituito, sul presupposto
della sentenza della Corte costituzionale n. 369
del 1985, al fine di tutelare il lavoratore italiano inviato all’estero in
Paesi con i quali l’Italia non avesse stipulato una convenzione di sicurezza
sociale, ipotesi estranea alla fattispecie in esame;

20. nessun errore di diritto è stato commesso dalla
Corte territoriale che di tale disposizione, seppure con motivazione legata
alla valutazione degli specifici presupposti di fatto, non ha correttamente
tenuto conto;

21. la sentenza impugnata ha ritenuto che le somme
corrisposte al dipendente durante la permanenza all’estero dovessero
interamente ritenersi retribuzione, come tale, totalmente imponibile ai fini
contributivi quale conseguenza della mancata specifica dimostrazione, da parte
della Banca, della funzione riparatoria e risarcitoria delle maggiori spese
connesse alla prestazione lavorativa all’estero;

22. in particolare, il giudizio di merito non ha
provato che le somme percepite in eccedenza – rispetto all’importo della
retribuzione che il dipendente avrebbe percepito se avesse lavorato in Italia –
avessero natura di indennità per temporanea destinazione estera, diretta a
compensare forfettariamente gli oneri connessi allo svolgimento dell’attività
lavorativa nella sede estera;

23. con accertamento in fatto, insindacabile in
questa sede, la Corte territoriale ha, quindi, affermato che il trattamento
economico aggiuntivo aveva natura interamente retributiva (in considerazione
delle pattuizioni inerenti alla corresponsione fissa e continuativa per tredici
mesi, al non assoggettamento a documenti di spesa come, peraltro, espressamente
ritenuto dalla stessa Banca), riferendosi ai principi giurisprudenziali di
legittimità secondo i quali anche le voci del trattamento economico formalmente
non legate al valore professionale della prestazione, ma giustificate coi
disagi o maggiori spese a carico del lavoratore, assumono natura retributiva se
non costituenti rimborso spese;

24. nessuna deroga totale o parziale (reciprocamente
riferite all’eventuale natura di rimborso spese o di indennità di trasferta),
poteva applicarsi al caso di specie che restava regolato dall’art. 12 della legge n. 153 del
1969, restando inapplicabile l’assetto normativo dell’indennità di
trasferta determinatosi con l’entrata in vigore del d.lgs.
n. 314 del 1997 e con le modifiche apportate all’art. 48 T.U.I.R. nei diversi commi
relativi alle tassative ipotesi di esenzione calcolate sulla retribuzione
giornaliera corrisposta al dipendente inviato in trasferta, o alla previsione
che non concorrono a formare il reddito gli assegni di sede e le altre
indennità percepite per i servizi prestati all’estero fino al 50 per cento del
loro ammontare o ancora al comma 8-bis che disciplina il regime contributivo
del personale stabilmente impiegati all’estero;

25. il secondo motivo del ricorso incidentale è
inammissibile, perché non spendibile, ratione temporis, il vizio di motivazione
nel paradigma antecedente alla novella introdotta al codice di rito nel 2012,
né la parte ricorrente ha prospettato, nell’illustrazione del mezzo, che sia
stato omesso o erroneamente valutato alcuno degli elementi esaminati dalla
Corte di merito per addivenire alla conclusione che le pattuizioni tra le parti
non offrivano elementi a sostegno della natura di indennità di trasferta di
quanto erogato (v., quanto all’ambito del nuovo vizio di motivazione, Cass., Sez.U, n. 8053 del 2014 e numerose
successive conformi);

26. infine, per principio consolidato di questa
Corte, laddove si versi in situazione di eccezione in senso riduttivo
dell’obbligo contributivo, grava sul soggetto che intenda beneficiarne l’onere
di provare il possesso dei requisiti che, per legge, danno diritto all’esonero
(o alla detrazione) di volta in volta invocata (cfr., explurimis, Cass. nn.
5137 del 2006; 16351 del 2007; 499 del 2009; 21898 del 2010), e la sentenza
impugnata ne ha fatto corretta applicazione onerando il datore di lavoro, che
pretenda l’accesso ai benefici contributivi previsti in caso di trasferta dei
dipendenti o di rimborso per spese di viaggio, della dimostrazione delle
condizioni di esonero dall’assoggettamento a contribuzione (v., inoltre, Cass. n. 16639 del 2014);

27. con il terzo motivo del ricorso incidentale si
deduce violazione dell’art. 116,
co.8, lett. b) legge n.388 del 2000 e violazione dell’art. 2697 cod.civ., per avere la Corte di merito
applicato il regime sanzionatorio dell’evasione contributiva nonostante la
Banca non avesse inteso occultare alcun rapporto di lavoro né elementi
necessari alla quantificazione degli importi dovuti a titolo contributivo e
nonostante l’INPS non avesse assolto l’onere probatorio volto a dimostrare
l’intenzione specifica della Banca dì occultare compensi dalla base imponibile;

28. il motivo è da rigettare;

29. alla stregua della consolidata giurisprudenza di
legittimità, l’omessa o infedele denuncia mensile all’INPS (attraverso i
modelli DM10) di rapporti di lavoro o di retribuzioni erogate, ancorché
registrati nei libri di cui è obbligatoria la tenuta, concretizza l’evasione
contributiva di cui all’art. 116,
comma 8, lett. B) della legge n. 388 del 2000, e non la meno grave
fattispecie dell’omissione contributiva, disciplinata dalla lettera A) della
medesima norma, concernente le sole ipotesi in cui il datore di lavoro, pur
avendo provveduto a tutte le denunce e registrazioni obbligatorie, ometta il
pagamento dei contributi, dovendosi ritenere che l’omessa o infedele denuncia
configuri un occultamento dei rapporti o delle retribuzioni o di entrambi e
faccia presumere l’esistenza della volontà datoriale di occultamento allo
specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti;

30. conseguentemente, grava sul datore di lavoro
inadempiente l’onere di provare la mancanza dell’intento fraudolento e, quindi,
la sua buona fede, e proprio il rilievo da annettere all’elemento intenzionale
consente, anche in ipotesi di denunce omesse o non veritiere, di escludere
l’ipotesi dell’evasione, con onere probatorio a carico del datore di lavoro
inadempiente, attraverso l’allegazione e prova di circostanze dimostrative
dell’assenza del fine fraudolento (per inadempimenti derivati da mera
negligenza o da altre circostanze contingenti; cfr., fra le tante, Cass. n.
30427 del 2017);

31. nella specie, a sostegno del mezzo
d’impugnazione la parte ricorrente non allega circostanze di fatto pretermesse
dalla Corte di merito e tempestivamente introdotte nel giudizio di merito per
assolvere l’onere probatorio che erroneamente la Banca pretende a carico
dell’INPS;

32. con il ricorso principale l’INPS deduce
violazione dell’art. 3, commi 9 e
10, legge n.335 del 1995 e censura la sentenza che, pur riconosciuta
l’efficacia interruttiva della prescrizione alla denuncia tempestivamente
presentata dal lavoratore, ha ritenuto prodotto l’effetto interruttivo non già
dalla data della sua presentazione ma da quella di ricezione della richiesta di
pagamento inviata dall’INPS al datore di lavoro; assume che la denuncia del
lavoratore non può che costituire atto interattivo del decorso della prescrizione
dal quale la prescrizione comincia nuovamente a decorrere, sicché contributi e
sanzioni erano dovuti, nella specie, a decorrere dal 3 marzo 2001;

33. il ricorso incidentale è da rigettare;

34. rilevata l’erronea premessa dalla quale muove la
censura – per vero la Corte di merito distingue tra decorrenza della
prescrizione e atto interruttivo proposto dall’INPS, rimarcando il valore
interruttivo del solo atto di iniziativa dell’ente previdenziale – il motivo è
infondato;

35. la pronunzia di questa Corte di cassazione a
sezioni unite, sentenza n. 15296 del 2014 che
ha definitivamente precisato il regime prescrizionale per i contributi dovuti
in relazione ai periodi antecedenti e successivi alla data di entrata in vigore
della legge n. 335 del 1995 (questione,
peraltro, non devoluta dall’INPS con il ricorso all’esame), ha anche chiarito
che alla denunzia del lavoratore non può riconnettersi l’effetto interruttivo
del decorso del temine prescrizionale, per non essere configurabile quale atto
interruttivo della prescrizione, sia in quanto non proveniente dal creditore,
sia perché nella cornice normativa della legge
n.335 il suo effetto non è quello di fare iniziare un nuovo periodo di
prescrizione, ex art. 2944 cod. civ. ma, in
sostanza, di raddoppiare fin dall’inizio il termine da cinque a dieci anni alla
stregua del regime temporale fissato dal legislatore del 1995 (v., da ultimo,
Cass. n.9467 del 2019);

36. nella specie, pertanto, escluso l’effetto
interruttivo della denuncia del lavoratore, occorre avere riguardo al primo
atto di effettiva valenza interruttiva, vale a dire la notifica della
raccomandata ricevuta dalla Banca il 10 aprile 2006 (sulla quale nessun profilo
di censura risulta svolto, in questa sede, dalle parti) dal quale computare, a
ritroso, il quinquennio dalla data di scadenza dei periodi contributivi
azionati, come correttamente operato dalla Corte di merito;

37. in conclusione, entrambi i ricorsi vanno
respinti e tanto consiglia la compensazione delle spese del giudizio, senza
provvedere alla regolazione delle spese in favore delle parti rimaste intimate;

38. ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115
del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico
delle parti ricorrenti, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo
unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta entrambi i ricorsi, spese compensate. Ai
sensi dell’art. 13,comma 1-quater,
d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il
versamento, a carico delle parti ricorrenti, principale e incidentale,
dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per i
ricorsi ex art. 13, comma 1 -bis,
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 maggio 2020, n. 9809
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: