Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 maggio 2020, n. 9489

Svolgimento di attività di subagente, lndennità di fine
rapporto, Esplicitazione della rinuncia a quanto maturato, Novazione del
rapporto, lnterpretazione degli atti negoziali delle parti, Contratto di
subagenzia, funzionalmente collegato al contratto principale di agenzia, cui si
applica la disciplina del contratto principale

 

Fatti di causa

 

1. La Corte di appello di Bologna, con sentenza n.
1019/16, rigettava l’appello proposto da L.M. avverso la sentenza che aveva
respinto le domande dallo stesso proposte in relazione allo svolgimento di
attività di subagente, nei confronti dei titolari, succedutisi nel tempo, della
Agenzia Ina – Assitalia Bologna Centro.

2. Ad avviso della Corte di appello, quanto al primo
motivo di appello, avente ad oggetto l’indennità di fine rapporto e in adesione
a quanto già affermato dal Tribunale:

a) all’epoca della cessazione del rapporto con
l’agenzia Ina Assitalia risalente alla metà del mese di luglio 2009, il M. non
rivestiva la qualifica di subagente, in quanto sin dal 9 maggio 2009 il
predetto era stato nominato Produttore di IV Gruppo e la lettera di nomina
aveva annullato e sostituito ogni precedente rapporto di lavoro; dunque, da
tale data il M. aveva cessato di rivestire la anzidetta qualità, presupposto
fondamentale per percepire l’indennità prevista dall’art.
1751 cod. civ. (nella nuova formulazione introdotta dal d.lgs. 303 del 1991 e dal d. Igs 65 del 1999, in attuazione della direttiva
comunitaria 86/653 sugli agenti di commercio);

b) in ogni caso, l’appellante non aveva dato la
dimostrazione di uno dei requisiti costitutivi del diritto, ossia dell’apporto
da parte sua di clienti e in generale dell’incremento della clientela
esistente, così come di persistenti vantaggi a favore del proponente derivanti
dagli affari conclusi con i clienti; dunque, vi era il difetto di prova delle
condizioni richieste dall’art. 1751, primo comma,
cod. civ.;

c) sussistevano, inoltre, le condizioni impeditive
di cui al secondo comma dell’art. 1751 cod. civ.,
il quale stabilisce che l’indennità non è comunque dovuta in caso di recesso
dell’agente, a meno che tale recesso non sia giustificato da “circostanze
attribuibili al preponente” e nel caso di specie il ricorrente si era
dimesso con lettera del 26 giugno 2009, senza fare al riferimento ad un giustificato
motivo riferibile a condotte del preponente (rectius, agente) o riferibili a
impedimenti del subagente (di cui alla seconda ipotesi contemplata dal medesimo
capoverso del secondo comma); quindi anche per tale motivo ai sensi del secondo
comma dell’art. 1751 cod. civ. l’indennità non
era dovuta, trattandosi di recesso del subagente non giustificato;

d) infine, come già rilevato dal primo giudice, i
conteggi elaborati dalla parte non consentivano di comprendere il criterio adottato
per la quantificazione del monte premi di cui all’art. 29 AEC o degli altri
numeratori richiesti dai successivi artt. 30, 31 e 32, necessari per la
determinazione delle percentuali indicate.

3. La Corte di appello rigettava altresì il secondo
motivo di appello, relativo al mancato pagamento del compenso fisso con
decorrenza dal dicembre 2008 fino alla cessazione del rapporto. A suo avviso:

a) era stata concordata tra le parti in data 9
settembre 2008 la riduzione del compenso fisso nella somma pari ad euro 2000 e
il successivo atto che faceva riferimento all’anno 2009 non aveva più previsto
siffatto compenso, ma aveva stabilito un contributo subordinato al
conseguimento di obiettivi, poi non raggiunti;

b) non era provato che l’attività di formatore degli
aspiranti produttori Inacademy alla quale – secondo la tesi del M. – sarebbe
stata riconducibile la ragione del compenso, si fosse svolta durante la
gestione del C. con le modalità e la continuità che l’avevano contraddistinta
nel corso della precedente gestione del B.;

c) né vi era prova che nella gestione C. fosse stato
concordato tra le parti un separato compenso per specifiche attività.

4. Per la cassazione di tale sentenza L.M. ha
proposto ricorso affidato a quattro motivi. Si sono costituiti con separati
controricorsi C.C., quale titolare della Agenzia Ina Assitalia di Bologna, e
S.F., quale ex socio della Fidale & C. s.n.c. di S.F. e C. C..

4.1. Il ricorrente ha altresì depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 1230, secondo comma, cod. civ., anche in
relazione agli artt. 1362 e 1366 cod. civ.. Si assume che era mancata
l’esplicitazione della rinuncia a quanto maturato sino alla data del maggio
2009, rinuncia che costituisce elemento essenziale della novazione del rapporto
e che deve essere concreta ed espressa. Per individuare una comune intenzione
delle parti alla novazione del rapporto e la volontà di estinguere l’obbligo
precedente, occorreva l’esplicazione di specifico intento negoziale dei
contraenti e tale intento doveva essere concretamente provato.

Il ricorrente, a sostegno dell’assunto, trascrive
alcuni passi di una proposta transattiva del 10.6.2009, da lui non accettata,
da cui risulta l’intento della controparte di ottenere la “rinuncia ad
ogni diritto indennitario, economico e risarcitorio al medesimo eventualmente
spettante conformemente all’AEC, alle norme di legge e o da accordi inter
partes…”.

2. Con il secondo motivo si denuncia errata
interpretazione degli articoli 16, 17 e 21 AEC del 27.11.1984. Si assume
l’erroneità della sentenza laddove ha ritenuto non spettanti le indennità di
fine rapporto per essere il M. receduto dal rapporto di sua iniziativa senza
giusta causa e in ogni caso per non avere egli dato la prova di avere apportato
nuova clientela e che la agenzia generale avesse ricevuto vantaggi permanenti dalla
sua opera.

3. Con il terzo motivo si denuncia errata
applicazione dell’artt. 1751 e 1753 cod. civ. e ultra petizione, in quanto le
norme del codice civile relative al contratto di agenzia sono applicabili agli
agenti di assicurazione, in quanto non siano sostanzialmente derogate dagli
AEC. Si sostiene che, essendo la normativa prevista dal codice civile per il
rapporto di agenzia (art. 1742 e se cod. civ.) applicabile
agli agenti di assicurazione solo in via residuale, l’indennità di fine
rapporto sarebbe comunque dovuta.

4. Il quarto motivo denuncia violazione dell’art.
27, comma 6, AEC per avere la sentenza ritenuto che non era comprensibile il
criterio con cui si era addivenuti alla quantificazione dell’importo
rivendicato.

5. Il ricorso è infondato.

6. Il primo motivo involge l’interpretazione degli
atti negoziali delle parti. La Corte di appello ha ritenuto, interpretando il
contenuto della lettera di conferimento del nuovo incarico, che questa avesse
un contenuto integralmente novativo del rapporto. Il ricorrente oppone
l’assenza dell’animus novandi, che doveva essere comune ad entrambe le parti, e
rappresentare la volontà di estinguere l’obbligazione precedente, costituendo
elemento essenziale della novazione. Deduce che tale requisito doveva essere in
concreto provato, mentre la sentenza di appello si era limitata ad affermare
(pag. 13) che la lettera di nomina aveva “annullato e sostituito ogni precedente
rapporto”, ma nulla aveva riferito circa il contenuto abdicativo di
precedenti diritti maturati in relazione al pregresso rapporto di subagenzia,
con specifico riferimento alle indennità spettanti al subagente alla fine del
rapporto.

6.1. Rileva il Collegio che l’infondatezza del
secondo motivo vertente sulla indennità di fine rapporto – per le ragioni che
verranno di seguito esposte – comporta l’assorbimento dell’esame del primo
motivo. Difatti, una volta escluso il diritto alla predetta indennità, l’unico
residuo titolo di credito oggetto del giudizio resterebbe il mancato pagamento
del compenso fisso per l’ultimo periodo del rapporto prima delle dimissioni, ma
non vi sono specifici motivi di ricorso avverso il secondo capo della sentenza
con cui è stata rigettata la domanda di pagamento del compenso fisso per
difetto di prova.

7. Il secondo motivo è infondato.

7.1. In via generale, va osservato che il contratto
di subagenzia è un subcontratto funzionalmente collegato al contratto
principale di agenzia ed è quindi regolato, nei limiti consentiti o imposti dal
collegamento predetto, dalla disciplina di quest’ultimo, dal quale si distingue
in quanto il subagente promuove la conclusione dei contratti di assicurazione
solo per conto dell’agente e non anche di un’impresa assicuratrice (cfr. Cass. n. 15645 del 2017). La subagenzia
costituisce, quindi, una particolare fattispecie di contratto derivato (o
subcontratto), unilateralmente e funzionalmente collegato al contratto principale
di agenzia, che ne costituisce il necessario presupposto – sì che al primo si
applica la disciplina del contratto principale, ex artt.
1742 e 1753 cod. civ., nei limiti
consentiti (o imposti) dal collegamento funzionale (cfr. Cass. 15190 del 2004).

7.2. Tanto premesso, va osservato che le norme del
AEC (trascritte nel controricorso) evidenziano che l’art.16 disciplina il
recesso dell’agente generale e l’art. 21 disciplina il recesso per giusta
causa. Né l’una né altra ipotesi riguardano il caso in esame. L’art. 17
disciplina il recesso del subagente, ma nel senso che prevede il preavviso da
costui dovuto in caso di dimissioni e dunque anche tale norma non rileva nella
specie.

7.3. La sentenza impugnata ha correttamente
osservato che, dovendo trovare applicazione l’art.
1751 cod. civ., in quanto non diversamente regolato dall’AEC, non erano
state dimostrate le condizioni previste da tale norma. Non solo il motivo non
investe tale ratio decidendi, ma comunque questa è esatta, poiché ai fini del
riconoscimento dell’indennità di cessazione del rapporto di cui all’art. 1751 cod. civ., non è sufficiente la
provvista di nuovi clienti ovvero il sensibile incremento degli affari con
quelli vecchi, ma occorre anche la seconda condizione, ossia che alla
cessazione del rapporto il preponente continui a ricevere sostanziali vantaggi
dai clienti nuovi procurati dall’agente ovvero dall’incremento di affari con i
preesistenti. Né, sulla base della formulazione della norma, è sufficiente che
il recesso non sia imputabile all’agente, ovvero che non ricorrano le altre
preclusioni ostative ivi contemplate, il cui difetto, perciò, non basta da solo
ad integrare il diritto all’indennità, configurabi soltanto allorché sussistano
pure le altre due condizioni (da ultimo, Cass. n. 20047 del 2016).

7.4. Nel caso in esame, la Corte di appello ha
evidenziato che non erano state dimostrate le condizioni per fruire
dell’indennità di fine rapporto, ossia di avere apportato al preponente
vantaggi permanenti.

8. Il terzo motivo è inammissibile, in quanto non
chiarisce in quali termini l’AEC per gli agenti di assicurazione derogherebbe
in melius la disciplina di cui all’art. 1751 cod.
civ., che dunque resta applicabile agli agenti di assicurazione, così come
agli agenti di commercio.

9. Il quarto motivo attiene al quantum. Il relativo
esame resta assorbito nel rigetto dei precedenti, relativi all’an debeatur.

10. In conclusione, il ricorso va rigettato. In
merito alla liquidazione delle spese, premesso che hanno presentato separati
controricorsi il C. e il Fidale, va rilevato che lo stesso ricorrente ha
specificato che nessuna domanda era stata proposta nei confronti della s.n.c.,
alla quale la notifica del ricorso per cassazione è stata fatta a meri fini di
integrazione del contraddittorio. Ne consegue che sussistono giusti motivi per
compensare le spese tra L.M. e S.F., mentre il ricorrente va condannato al
pagamento delle spese, liquidate come da dispositivo, in favore di C. C., in
applicazione della regola della soccombenza.

11. Va aggiunto che S.F. si è costituito anche per
resistere alla pretesa del C., che, nel controricorso a lui notificato, aveva
svolto una domanda di manleva esponendo che, nella non creduta ipotesi di
accoglimento del ricorso per cassazione, fosse tenuto indenne, quanto meno
nella misura del 50%, delle conseguenze passive che potessero derivare dal
presente giudizio. Devono quindi essere compensate anche le spese tra C. C. e
S.F..

12. Va dato atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, c d.P.R. 30
maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13
(v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese in favore di C. C., liquidate in euro 200,00 per esborsi
e in euro 5.000,00 per compensi, oltre 15% per spese generali e accessori di
legge. Compensa le spese tra il ricorrente e S.F.. Compensa le spese tra C. C.
e S.F..

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 – quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13,
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 maggio 2020, n. 9489
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