Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 26 maggio 2020, n. 9801

Agevolazioni contributive Inps, Assunzione di personale
dipendente con contratto di formazione e lavoro, Aiuti di Stato vietati dalla
normativa dell’Unione Europea, Assoggettabilità alla prescrizione decennale
del recupero degli sgravi, Affidamento della gestione di un servizio pubblico
ad un fornitore interno da parte di un’autorità nazionale, Potenziale
distorsione della concorrenza

 

Fatti di causa

 

Con sentenza depositata il 24.11.2010, la Corte
d’appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado che aveva accolto
la domanda di A.N.M. s.p.a. volta all’accertamento negativo dell’obbligo di
restituzione all’INPS delle agevolazioni contributive di cui aveva beneficiato
negli anni 1997- 2001 per l’assunzione di personale dipendente con contratto di
formazione e lavoro e negli anni 1999-2001 per la trasformazione dei contratti
di formazione e lavoro in rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

La Corte, diversamente dal primo giudice, ha
ritenuto immediatamente applicabile nel nostro ordinamento la decisione della
Commissione UE n. 128/2000, che aveva ritenuto che gli sgravi contributivi
connessi alla stipula e alla trasformazione di contratti di formazione e lavoro
costituissero aiuti di Stato vietati dalla normativa dell’Unione; ha convenuto
inoltre con l’ente previdenziale circa l’assoggettabilità alla prescrizione
decennale del recupero degli sgravi indebitamente concessi, ma ha valutato che
la decisione della Commissione UE non riguardasse l’Azienda Napoletana
Mobilità, dal momento che la gestione dei servizi di trasporto pubblico nel
bacino territoriale del suo ente proprietario (ossia il Comune di Napoli) non
poteva dirsi rientrante tra le attività oggetto di scambi intracomunitari per
le quali gli aiuti di Stato possono falsare la concorrenza.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per
cassazione l’INPS, deducendo due motivi di censura con i quali ha insistito per
l’applicazione della citata decisione della Commissione alla fattispecie per
cui è causa. Azienda Napoletana Mobilità s.p.a. ha resistito con controricorso
e, a seguito della fissazione dell’adunanza camerale, ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c.

La causa è stata quindi rimessa alla pubblica
udienza, in esito alla quale questa Corte, con ordinanza interlocutoria n.
26768 del 2017, ha sollevato questione pregiudiziale d’interpretazione della
citata decisione della Commissione UE, chiedendo alla Corte di Giustizia
dell’Unione Europea di pronunciarsi sulla sua applicabilità anche ai datori di
lavoro che esercitano trasporto pubblico locale «in regime di sostanziale non
concorrenza» (così Cass. n. 26768/2017, cit.).

Richiesti chiarimenti a questa Corte dalla Corte di
Giustizia e provveduto ai medesimi con successive ordinanze del 22 gennaio e
dell’8 marzo 2019, la causa pregiudiziale è stata decisa con sentenza del
29.7.2019, con la quale la Corte di Giustizia ha ritenuto applicabile alle
aziende esercenti attività di trasporto pubblico la decisione della Commissione
UE n. 128/2000, demandando al giudice del rinvio pregiudiziale di verificare
se, durante il periodo in questione, il mercato italiano del trasporto locale
fosse aperto alla concorrenza oppure se il Comune di Napoli fosse soggetto ad
un obbligo legislativo o regolamentare tale per cui doveva attribuire il
servizio esclusivamente all’odierna controricorrente e, inoltre, se
quest’ultima abbia o meno esercitato, durante il medesimo periodo, attività su
altri mercati di beni o servizi o comunque su altri mercati geografici aperti
ad effettiva concorrenza.

In vista dell’udienza pubblica, A.N.M. s.p.a. ha
depositato atto di costituzione di nuovo difensore.

 

Ragioni della decisione

 

La questione che, in esito alla pronuncia
pregiudiziale, si pone nella presente fattispecie consiste nel verificare,
anzitutto, se, nel periodo 1997-2001, in cui l’Azienda controricorrente ha
beneficiato degli sgravi il cui recupero è oggetto della pretesa creditoria
dell’INPS, il mercato italiano del trasporto locale fosse aperto alla
concorrenza oppure se il Comune di Napoli fosse soggetto ad un obbligo
legislativo o regolamentare tale per cui doveva attribuire il servizio
esclusivamente all’odierna controricorrente e, in secondo luogo, se
quest’ultima abbia o meno esercitato, durante il medesimo periodo, attività su
altri mercati di beni o servizi o comunque su altri mercati geografici aperti
ad effettiva concorrenza.

Ciò premesso, nel motivare l’infondatezza della
pretesa creditoria dell’INPS, i giudici di merito, dopo aver dato atto che
A.N.M. s.p.a. è una società di capitali a totale partecipazione pubblica,
costituita nel 2001 per la gestione dei servizi di trasporto pubblico nel
bacino territoriale di competenza del Comune di Napoli (che ne è proprietario)
a seguito della trasformazione dell’omonima azienda speciale consortile di
diritto pubblico, e che per la gestione del servizio di mobilità il Comune ha
sottoscritto dapprima con l’azienda speciale e poi con l’odierna controricorrente
due distinti contratti di servizio, il primo dei quali in data 27.6.1997 e il
secondo in data 18.6.2002, hanno anzitutto valorizzato, al fine di escludere
che il mercato del trasporto locale fosse aperto alla concorrenza, il disposto
dell’art. 18, d.lgs. n. 422/1997, che per il periodo in questione consentirebbe
a loro dire l’affidamento diretto dei servizi di trasporto pubblico in luogo
del ricorso alle procedure concorsuali ad evidenza pubblica, e in secondo luogo
ritenuto che l’INPS non aveva specificamente addotto né tantomeno dimostrato
che l’odierna controricorrente agisse in regime di concorrenza (così la
sentenza impugnata, pagg. 26-27).

Limitando per adesso l’analisi al primo aspetto
della questione rimessa a questa Corte, deve rilevarsi che, se davvero la
portata precettiva dell’art. 18, d.lgs. n. 422/1997, cit., fosse quella
indicata dai giudici di merito, esso non potrebbe in alcun modo dirsi dirimente
rispetto al fine che qui occupa, giacché – come rilevato anche dal Governo
italiano nell’ambito del giudizio avanti alla Corte di Giustizia UE –
l’affidamento della gestione di un servizio pubblico ad un fornitore interno da
parte di un’autorità nazionale, che sia al contempo libera di affidarlo a
terzi, non esclude affatto la potenziale distorsione della concorrenza, essendo
invece all’uopo necessario che il servizio sia soggetto a un monopolio legale
conforme al diritto UE che impedisca non solo la concorrenza sul mercato, ma
altresì la concorrenza per il mercato, vale a dire la possibilità che un altro
operatore subentri nella posizione di fornitore esclusivo del servizio in
questione (così le osservazioni del Governo della Repubblica Italiana nella
causa C-659/17, §§ 20-21). Di conseguenza, tenuto conto che la costante
giurisprudenza della Corte di Giustizia UE reputa che la soglia per accertare
l’idoneità di un intervento statale a incidere sugli scambi e a falsare la
concorrenza sia alquanto bassa (cfr. CGUE, 14.1.2015, C-518/13, Eventech,
citata unitamente ad altre precedenti nelle conclusioni dell’Avvocato Generale
nella causa C- 659/17, cit.), l’affidamento diretto all’odierna
controricorrente del servizio di trasporto pubblico, ove davvero fosse il
frutto di una libera scelta del Comune di Napoli e non invece il risultato
imposto da un preesistente regime di monopolio legale, di altro non
testimonierebbe che dell’avvenuto superamento della soglia oltre la quale si
deve ritenere falsata la concorrenza.

A ben vedere, però, deve escludersi che l’art. 18,
d.lgs. n. 422/1997, costituisca realmente la disposizione normativa dirimente
ai fini del caso di specie: essendo entrata in vigore successivamente alla
stipula del primo dei due contratti di servizio stipulati dal Comune per
l’affidamento del servizio pubblico di mobilità (vale a dire quello stipulato
il 27.6.1997 con l’allora azienda speciale), e precisamente in data 25.12.1997,
la sua precettività, per ciò che attiene alla vicenda in esame, non può
estendersi alla disposizione di cui al comma 2, lett. a), secondo la quale,
«allo scopo di incentivare il superamento degli assetti monopolistici e di
introdurre regole di concorrenzialità nella gestione dei servizi di trasporto
regionale e locale», le regioni e gli enti locali avrebbero dovuto far ricorso
«alle procedure concorsuali per la scelta del gestore del servizio o dei soci
privati delle società che gestiscono i servizi […] in conformità alla
normativa comunitaria e nazionale sugli appalti pubblici di servizi e sulla
costituzione delle società miste», ma va circoscritta alle disposizioni contenute
nelle successive lett. b) e c), secondo le quali, «in caso di gestione diretta
o di affidamento diretto dei servizi da parte degli enti locali a propri
consorzi o aziende speciali», le regioni e gli enti locali avrebbero dovuto
prevedere, da un lato, «l’esclusione […] dell’ampliamento dei bacini di
servizio rispetto a quelli già gestiti nelle predette forme», e dall’altro
«l’obbligo di affidamento da parte degli enti locali tramite procedure
concorsuali di quote di servizio o di servizi speciali, previa revisione dei
contratti di servizio in essere». Tale conclusione s’impone in ragione del
fatto che la previsione di ricorrere «alle procedure concorsuali per la scelta
del gestore del servizio o dei soci privati delle società che gestiscono il servizio»,
di cui all’art. 18, comma 2, lett. a), cit., presuppone logicamente che, al
momento dell’entrata in vigore della legge, il servizio non fosse stato ancora
affidato e/o che si dovesse affidarlo perché era scaduto il contratto di
servizio che regolava l’affidamento precedente; viceversa, per i servizi
pubblici che si trovassero già in regime di gestione diretta o di affidamento
diretto, l’obiettivo di «incentivare il superamento degli assetti monopolistici
e di introdurre regole di concorrenzialità nella gestione dei servizi di
trasporto regionale e locale» veniva perseguito tramite il divieto di ampliare
i relativi bacini di servizio e di affidare tramite procedure concorsuali
«quote di servizio o di servizi speciali, previa revisione dei contratti in essere»:
ed è proprio tale ultimo inciso a deporre nel senso dianzi sostenuto, dal
momento che, qualora l’obiettivo del legislatore fosse stato invece quello di
aprire immediatamente alla concorrenza il settore del trasporto pubblico
locale, l’obbligo di «revisione dei contratti in essere» avrebbe dovuto essere
contemplato anche nella precedente lett. a) e avrebbe comportato la necessaria
risoluzione dei contratti di servizio stipulati in precedenza alla sua entrata
in vigore, incluso quello con la dante causa dell’odierna controricorrente.

Non è, dunque, nell’art. 18, d.lgs. n. 422/1997, che
deve ricercarsi la fonte normativa istitutiva di un monopolio legale rilevante
per il diritto dell’Unione (ossia di un monopolio tale per cui «un determinato
servizio è riservato, per legge o regolamentazione, a un prestatore esclusivo e
la sua prestazione è esplicitamente vietata agli altri operatori»: così la nota
272 della comunicazione della Commissione UE sulla nozione di aiuto di Stato di
cui all’art. 107, paragrafo 1,
TFUE, C/2016/2946, cit. nelle menzionate conclusioni dell’Avvocato Generale
nella causa C-659/17): la disposizione citata, come anzidetto, prevedeva la
gestione diretta o l’affidamento diretto semplicemente come meri fatti, di per
se stessi inidonei a fondare la sussistenza di un monopolio legale.

E’ piuttosto alle disposizioni della legge n.
142/1990 che bisogna guardare per rinvenire la disciplina rilevante ai fini del
caso di specie.

Com’è noto, l’art. 22 della legge cit. (poi abrogata
dall’art. 274, comma 1,
lett. q, d.lgs. n. 267/2000) prevedeva, al tempo della stipula del
contratto di servizio del 27.6.1997, che comuni e province potessero disporre
di una gamma di cinque diverse forme di gestione dei servizi pubblici aventi ad
oggetto «la produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e
a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali»,  e precisamente: «a) in economia, quando per
le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio non sia opportuno
costituire una istituzione o una azienda; b) in concessione a terzi, quando
sussistano ragioni tecniche, economiche e di opportunità sociale; c) a mezzo di
azienda speciale, anche per la gestione di più servizi di rilevanza economica
ed imprenditoriale; d) a mezzo di istituzione, per l’esercizio di servizi
sociali senza rilevanza imprenditoriale; e) a mezzo di società per azioni o a
responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale costituite o
partecipate dall’ente titolare del pubblico servizio, qualora sia opportuna in
relazione alla natura o all’ambito territoriale del servizio la partecipazione
di più soggetti pubblici o privati».

Al riguardo, si può senz’altro convenire con le
Sezioni Unite di questa Corte nel rilievo secondo cui la disposizione in esame,
nel prevedere che i servizi dotati di rilevanza economica ed imprenditoriale
potessero essere gestiti attraverso l’articolato sistema di alternative che
sopra si è ricordato, attribuiva la scelta tra di esse ad una valutazione
«sostanzialmente discrezionale» dell’ente locale (così, in termini, Cass. S.U.
20684 del 2018); pare tuttavia al Collegio che tale ultima affermazione possa e
debba essere specificata per ciò che concerne la natura della discrezionalità
rimessa all’ente locale.

Come emerge dal tenore della disposizione contenuta
nell’art. 22, I. n. 142/1990,
cit., la scelta dell’ente tra le varie alternative era invero ancorata alla
ricorrenza di determinati presupposti di fatto: «le modeste dimensioni o […]
le caratteristiche del servizio», per ciò che concerne la gestione in economia;
la sussistenza «di ragioni tecniche, economiche e di opportunità sociale», per
la scelta della concessione a terzi; l’ipotesi di «servizi di rilevanza
economica ed imprenditoriale», per il ricorso all’azienda speciale;
l’«opportunità della partecipazione di altri soggetti per la natura del servizio
da erogare», per l’affidamento a società di capitali a prevalente capitale
pubblico locale. E sebbene sia indubitabile che l’accertamento della ricorrenza
di tali presupposti metta capo a giudizi opinabili, trattandosi di applicare
canoni propri di discipline non esatte come le scienze economiche ed
aziendalistiche, il carattere fortemente valutativo che essi posseggono non
sembra tuttavia tale da far escludere la loro riconducibilità al novero di
quegli accertamenti tecnicamente complessi che tradizionalmente si riportano
alla c.d. discrezionalità tecnica. Se ne trae una conferma dalla stessa lettera
dell’art. 22, I. n. 142/1990,
che alla presenza dei diversi presupposti di fatto ivi contemplati ricollega una
e una sola scelta da parte dell’ente locale e dunque pare escludere che al
momento conoscitivo potesse far seguito un momento propriamente volitivo: la
potestà discrezionale, infatti, mette pur sempre capo ad una scelta fra più
soluzioni possibili, che implica la ponderazione della pluralità degli
interessi che afferiscono ad una fattispecie concreta in vista della miglior
tutela dell’interesse pubblico di cui l’amministrazione è attributaria, mentre
l’art. 22 cit. sembra
piuttosto delineare una conseguenza necessitata per ciascuno dei presupposti di
fatto che si preoccupa di tipizzare, vietando per conseguenza all’ente locale
la scelta se gestire o affidare il servizio altrimenti. D’altra parte, è evidente
che, una volta ricondotta la discrezionalità di cui è espressione l’art. 22, I. n. 142/1990, ad
un’ipotesi di discrezionalità tecnica, si deve logicamente escludere che il
Comune di Napoli godesse di una vera e propria libertà nell’affidare il
servizio di mobilità: al contrario, il carattere sostanzialmente vincolato
della sua scelta in presenza di «servizi di rilevanza economica ed
imprenditoriale» pare piuttosto deporre nel senso che il trasporto pubblico
locale, costituendo già per risalente tipizzazione normativa (v. in tal senso
già gli artt. 1, n. 15, e 2, T.U. n. 2578/1925) un servizio da organizzare
imprenditorialmente e la cui tariffa è potenzialmente in grado di coprire
integralmente i costi di gestione e di creare un utile d’impresa, fosse
oggetto, all’epoca dei fatti per cui è causa, di una disciplina normativa
piuttosto assimilabile ad un vero e proprio monopolio legale, essendo
riservato, sia per legge che per conforme regolamentazione dello stesso ente
locale (art. 54 dello Statuto della Città di Napoli), a un prestatore
esclusivo, ossia l’azienda speciale, con divieto di accedervi per qualunque
altro operatore economico diverso da quello individuato dalla legge  (rectius, individuabile secondo il complesso
accertamento di fatto demandato dalla legge all’ente locale).

Considerazioni differenti s’impongono rispetto
all’altro aspetto della verifica demandata dalla Corte di Giustizia al giudice
del rinvio pregiudiziale, concernente l’eventualità che l’azienda speciale
dante causa dell’odierna controricorrente, nel periodo oggetto della presente
controversia, abbia esercitato attività su altri mercati di beni o servizi o
comunque su altri mercati geografici aperti ad effettiva concorrenza (ciò che
darebbe luogo ex se all’illegittimità della fruizione degli sgravi, giusta la
pronuncia pregiudiziale): trattandosi di verifica che involge accertamenti di
fatto non possibili in questa sede, il presente giudizio di legittimità deve
sul punto necessariamente concludersi la cassazione della sentenza impugnata e
il rinvio ad altro giudice, che si designa nella Corte d’appello di Napoli, in
diversa composizione, affinché accerti se l’azienda speciale dante causa
dell’odierna controricorrente, nel periodo oggetto della presente controversia,
abbia esercitato attività su altri mercati di beni o servizi o comunque su
altri mercati geografici aperti ad effettiva concorrenza.

Tenuto conto che la cassazione con rinvio consegue a
ius superveniens, costituito in specie dalla pronuncia della Corte di Giustizia
UE (così Cass. n. 19301 del 2014), il giudice del rinvio dovrà attenersi
all’ulteriore principio secondo cui dev’essere consentita, in sede di rinvio,
l’esibizione di quei documenti prima non ottenibili ovvero l’accertamento di
quei fatti che in base alla precedente disciplina non erano indispensabili, ma
che costituiscono il presupposto per l’applicazione della nuova regola
giuridica (Cass. nn. 21895 del 2016, 5224 del
1998).

Il giudice del rinvio, infine, provvederà anche
sulle spese del giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

provvedendo sul ricorso, cassa la sentenza impugnata
e rinvia la causa alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, che
provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 26 maggio 2020, n. 9801
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