Il carattere episodico e puramente amicale della presenza di un pensionato presso i locali di un ristorante non configura né un rapporto di lavoro subordinato, né una collaborazione coordinata e continuativa.

Nota a Cass. (ord.) 12 maggio 2020, n. 8791

Flavia Durval

La collaborazione caratterizzata da assoluta episodicità e occasionalità e il carattere puramente amicale e per diporto della presenza di un pensionato presso i locali di un ristorante non ha carattere subordinato anche qualora egli s’interessi, talora, a piccole manutenzioni. La circostanza di netta discontinuità e discrezionalità della sua presenza non consente neanche di ritenere integrata una forma di collaborazione parasubordinata ovvero autonoma in via di fatto nei rapporti tra le parti, mancando la prova di un qualsivoglia coordinamento dei saltuari “lavoretti” o “servizi” prestati con l’attività aziendale.

Lo afferma la Corte di Cassazione (ord. 12 maggio 2020, n. 8791, conforme ad App. Bologna n. 1031/2014) relativamente al ricorso di un pensionato che, avendo involontariamente ingerito acido muriatico contenuto all’interno di una bottiglia di acqua frizzante posta sopra una mensola dell’ esercizio commerciale in cui veniva impiegato per alcuni lavoretti, aveva chiesto l’ accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato ovvero autonomo con il ristorante ed il risarcimento dei danni subiti per effetto dell’infortunio, oltre che ai sensi dell’art. 2087 c.c., in base agli artt. 2043 o 2051 c.c.

Nello specifico, la Cassazione precisa che, “muovendosi discrezionalmente nei locali del ristorante, quale amico e conoscente dei titolari nonché del personale e occasionale loro commensale”, il ricorrente non poteva considerarsi “creditore di informative sui pericoli connessi ad un ambiente di lavoro a cui era estraneo, essendo bensì tenuto alla normale prudenza e cautela che fa carico ad ogni consociato in ogni aspetto del vivere civile. Del tutto arbitrario era stato, dunque, il suo comportamento di andare a ricercare e a prendere da solo una bottiglia di acqua frizzante, posizionata non ad immediata portata di mano (in quanto si trovava su di uno scaffale posto in alto sopra la lavabicchieri e non era confusa con altre bottiglie azzurre di acqua frizzante), sita in un locale di servizio, che non era la cucina o il magazzino vivande”.

I giudici hanno altresì rilevato che la bottiglia si trovava nel locale di servizio della lavastoviglie ed aveva un’etichetta che indicava chiaramente il contenuto, per cui la causa dell’infortunio andava individuata nella condotta incauta del ricorrente che, privo di autorizzazione, si era recato in un locale al quale non poteva accedere, bevendo il contenuto della bottiglia già aperta, senza neppure leggere l’etichetta. Non si poteva, quindi, ravvisare alcuna responsabilità del ristoratore “né ai sensi dell’art. 2051 c.c., atteso che l’infortunio non era stato causato dalla cosa in custodia, ma dall’incauto uso che ne aveva fatto l’attore, né ai sensi dell’art. 2043 c.c., poiché nessun comportamento colposo o imprudente poteva muoversi alla convenuta”.

Resta così escluso non solo qualsiasi rapporto contrattuale tra le parti, tale da imporre rigorose cautele e specifiche misure di sicurezza o particolari presidi antiinfortunistici a carico della società, ma anche il nesso di diretta causalità materiale tra il comportamento omissivo dell’azienda e quello dell’infortunato, considerato, per converso, “imprudente, imprevedibile ed anomalo, se non addirittura abnorme, per un ospite, occasionale, del pubblico esercizio”.

Collaborazione amicale ed esclusione della subordinazione
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