Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 giugno 2020, n. 10408

Illegittimità del licenziamento, Risarcimento del danno,
commisurato alle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento sino a
quella della effettiva reintegra, Opzione ex art. 18, co. 5, L. n. 300/1970
– Richiesta di pagamento della indennità pari a 15 mensilità della retribuzione
globale di fatto in sostituzione della reintegrazione

 

Rilevato

 

che C.G., dipendente di Rete Ferroviaria Italiana
S.p.A. dall’1.7.1991 al 9.10.1998, ha adito il Tribunale di Napoli per ottenere
l’accertamento della illegittimità del licenziamento allo stesso intimato in
data 1.10.1998 (con decorrenza dal 9.10.1998) e la conseguente reintegrazione
nel posto di lavoro;

che con la sentenza n. 10987/2000, resa in data
6.7.2000, l’anzidetto Tribunale, dichiarata la inefficacia del licenziamento,
ha ordinato la reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro, con condanna
della società al risarcimento del danno, commisurato alle retribuzioni maturate
dalla data del licenziamento sino a quella della effettiva reintegra;

che il G. ha dichiarato di avere esercitato, in data
7.8.2000, l’opzione di cui all’art.
18, quinto comma, della I. n. 300 del 1970, chiedendo il pagamento della
indennità pari a 15 mensilità della retribuzione globale di fatto in
sostituzione della reintegrazione;

che la detta indennità <<veniva pagata il
17.11.2004, così che il risarcimento del danno, commisurato alle retribuzioni
dovute dalla data del licenziamento fino …. alla cessazione del rapporto,
andava quantificato dalla data del licenziamento (9.10.1998) fino alla data di
cessazione del rapporto, ossia fino al 17.11.2004, dal momento che era quella
la data in cui il rapporto poteva dirsi cessato», non potendo considerarsi il
rapporto concluso «nel momento in cui il lavoratore aveva dichiarato di
esercitare l’opzione di cui all’art. 18, quinto comma, della I. n. 300 del 1970; pertanto al ricorrente
spettava, a titolo di ulteriore risarcimento, la somma di Euro 203.797,00,
oltre interessi e rivalutazione»; somma per la quale, su richiesta del
dipendente, il Tribunale di Roma ha emesso decreto ingiuntivo, avverso il quale
la Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. ha proposto opposizione;

che, con la sentenza n. 18849/2008, depositata in
data 2.12.2008, il Tribunale di Roma ha respinto la detta opposizione,
ritenendo che, nella fattispecie, ricorresse una ipotesi di obbligazione con
facoltà alternativa dal lato del creditore, che «cessasse al momento del
pagamento delle 15 mensilità, e quindi che fino a tale epoca il dipendente
illegittimamente licenziato avesse diritto al pagamento delle retribuzioni, a
titolo di risarcimento del danno»;

che, con sentenza depositata il 2.7.2014, la Corte
di Appello della stessa sede ha rigettato il gravame interposto dalla società,
«ritenendo di aderire all’orientamento espresso da Cass.
n. 20420/2012», ritenuto «preferibile rispetto al diverso principio
enunciato sempre dalla Suprema Corte nella sentenza
n. 3775/2009 ed in altre recenti pronunce (n. 15869/2012;
n. 12923/2013), in quanto maggiormente
coerente con i principi costituzionali richiamati – artt.
24, 11 e 36
Cost. – e con i principi di diritto sovranazionale come fonti di
“libera interpretazione” delle norme nazionali, perché espressivi di
principi comuni agli ordinamenti europei. Del resto, proprio l’interpretazione
dell’art. 18 comma 5 L. n.
300/1970 quale norma speciale (così definita da Cass.
n. 15869/2012) induce a ritenere che il pagamento dell’indennità ivi
prevista sia alternativo all’effettiva reintegrazione del lavoratore, e che
pertanto i due momenti alternativi, quello della ripresa dell’attività
lavorativa e quello del pagamento dell’indennità sostitutiva della
reintegrazione, debbano coincidere con riferimento agli effetti che essi
producono: ne consegue che l’obbligazione risarcitoria (commisurata alle
retribuzioni di fatto) per l’illegittimo licenziamento decorre dalla data del
licenziamento illegittimo e si deve protrarre fino all’effettiva reintegrazione
o  all’effettivo pagamento dell’indennità
sostitutiva della reintegrazione»;

che per la cassazione della sentenza la Rete
Ferroviaria Italiana S.p.A. ha proposto ricorso affidato ad un motivo
contenente più censure;

che C.G. non ha svolto attività difensiva;

che il P.G. non ha formulato richieste;

 

Considerato

 

che, con il ricorso, si censura, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione
e/o falsa applicazione dell’art.
18, quarto e quinto comma, della I. n. 300 del 1970 (nella formulazione
applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche apportate dall’art. 1 della I. n. 92 del 2012);
nonché, in riferimento all’art. 360, primo comma,
n. 5, c.p.c., la errata e/o illogica motivazione in ordine alla
qualificazione giuridica dell’opzione ex art. 18, quinto comma, della I.
n. 300 del 1970 ed alle conseguenze del suo esercizio, e si deduce che la
Corte di merito avrebbe erroneamente accolto la pretesa del lavoratore
riportandosi a due orientamenti giurisprudenziali di legittimità relativi alla
natura (facoltativa, con scelta del creditore) dell’obbligazione nascente dall’art. 18, quinto comma, dello
Statuto dei Lavoratori, nonché al principio di effettiva realizzazione
dell’interesse del lavoratore a non subire le conseguenze del licenziamento
illegittimo, senza considerare che la fattispecie delineata nella citata norma
(nel testo anteriore alle modifiche apportate con la I. n. 92 del 2012) non può essere sussunta nello
schema delle obbligazioni alternative con estinzione dell’obbligazione solo al
momento della esecuzione della prestazione secondaria, poiché, diversamente
opinando, si incorrerebbe in una serie di macroscopiche aporie interpretative
contrastanti con la stessa giurisprudenza di legittimità formatasi su altri
rilevanti aspetti di disciplina dell’opzione. E ciò, secondo la parte
ricorrente, perché la asserita estinzione dell’obbligo principale solo con
l’adempimento comporterebbe la sopravvivenza dell’obbligo di reintegra (e del
risarcimento connesso al suo inadempimento) anche successivamente all’esercizio
dell’opzione in favore delle 15 mensilità da parte del lavoratore; inoltre, a
parere della società ricorrente, non possono sussistere dubbi sul fatto che,
qualunque sia la tesi cui si aderisca circa la natura dell’obbligazione de qua,
una volta effettuata la scelta tra la reintegra o l’indennità sostitutiva, il
lavoratore non può più mutare avviso e chiedere l’altra prestazione, con la
conseguenza che, nel caso in cui lo stesso opti per l’indennità, non può più
richiedere il ripristino del rapporto, venendo meno la giustificazione non solo
dell’obbligo retributivo, sinallagmaticarnente correlato alla prestazione resa,
ma anche del connesso obbligo risarcitorio, correlato alla prestazione che il
lavoratore era comunque disponibile a rendere ed alla conseguente mora
accipiendi del datore di lavoro;

che il motivo è fondato; al riguardo, va premesso
che, sulla questione di cui si tratta, sono intervenute le Sezioni Unite di
questa Suprema Corte con la sentenza n. 18353/2014
che, componendo il precedente contrasto giurisprudenziale, hanno affermato il
seguente principio di diritto: «In caso di licenziamento illegittimo, ove il
lavoratore, nel regime della cosiddetta tutela reale (nella specie, quello
applicabile ratione temporis, previsto dall’art. 18 della legge 20 maggio
1970, n. 300, nel testo anteriore alle modifiche introdotte con la legge 28 giugno 2012, n. 92), opti per l’indennità
sostitutiva della reintegrazione, avvalendosi della facoltà prevista dall’art. 18, quinto comma, cit.,
il rapporto di lavoro, con la comunicazione al datore di lavoro di tale scelta,
si estingue senza che debba intervenire il pagamento dell’indennità stessa e
senza che permanga – per il periodo successivo in cui la prestazione lavorativa
non è dovuta dal lavoratore né può essere pretesa dal datore di lavoro – alcun
obbligo retributivo. Ne consegue che l’obbligo avente ad oggetto il pagamento
della suddetta indennità è soggetto alla disciplina della mora debendi in caso
di inadempimento, o ritardo nell’adempimento, delle obbligazioni pecuniarie del
datore di lavoro, con applicazione dell’art. 429,
terzo comma, c.p.c., salva  la prova,
di cui è onerato il lavoratore, di un danno ulteriore»;

che la vincolatività dell’orientamento espresso
dalle Sezioni Unite – al quale, ai sensi dell’art.
118 Disp. att. c.p.c., il Collegio fa espresso richiamo -, in difetto di
valide ragioni di dissenso che richiederebbero una nuova valutazione del
Supremo Collegio ex art. 374, terzo comma, del
codice di rito, determina, appunto, la fondatezza del motivo, poiché la
Corte di merito non ha fatto corretta applicazione della normativa in questione
(si vedano, altresì, nello stesso senso, Cass. nn.
20317/2015; 9765/2015);

che, pertanto, il ricorso deve essere accolto e la
sentenza impugnata cassata;

che, non essendo necessari accertamenti di fatto, in
considerazione del fatto che il decreto ingiuntivo opposto aveva ad oggetto
solo il credito vantato da C.G., nei confronti della società datrice di lavoro,
per le retribuzioni maturate nell’intervallo di tempo tra l’esercizio
dell’opzione e la data in cui l’indennità ex art. 18, quinto comma, della I.
n. 300 del 1970 era  stata
effettivamente corrisposta – credito che, per le considerazioni innanzi svolte,
non sussiste -, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 del codice di rito, con la revoca del
decreto ingiuntivo stesso, rigettata la domanda proposta dal lavoratore in via
monitoria;

che, dato l’esito della controversia ed il
superamento del contrasto interno alla Sezione lavoro di questa Suprema Corte
in epoca successiva al deposito della sentenza oggetto del presente giudizio,
possono essere compensate interamente tra le parti le spese dell’intero
processo;

 

P.Q.M.

 

accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e,
decidendo nel merito, accoglie l’opposizione, revoca il decreto ingiuntivo
opposto e rigetta la domanda azionata in via monitoria.

Compensa le spese dell’intero processo.

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