Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 giugno 2020, n. 10539

Natura professionale della malattia, Risarcimento dei danni,
Prescrizione del diritto degli eredi, Decorrenza, Momento di
“esteriorizzazione” del danno

 

Ritenuto in fatto

 

con sentenza in data 23 gennaio 2017, la Corte
d’Appello di Venezia ha confermato la decisione di primo grado che aveva
respinto, dichiarando la prescrizione del diritto vantato, la domanda avanzata
da P. B., T. B., nonché L.B. e M. M. – queste ultime quali eredi di G. B. –
volta ad ottenere la condanna della Rete Ferroviaria S.p.A., al risarcimento
dei danni subiti da questi ultimi iure proprio, a causa del decesso di F. B.,
dipendente delle Ferrovie dello Stato con mansioni di macchinista dal 1945 al
1971, mancato per mesotelioma pleurico il 31 ottobre 1073.

La richiesta di risarcimento del danno era motivata
dalla circostanza che soltanto in data 15 febbraio 2011, P. B., ex dipendente
F. e figlio di F., recatosi presso il Servizio Prevenzione Igiene e Sicurezza
(Spisal) territorialmente competente per un controllo routinario ed avendo
riferito in sede anamnestica del decesso del proprio genitore, aveva appreso
della natura professionale della malattia dopo essere stato richiamato dal
medico di riferimento che aveva richiesto le cartelle cliniche relative al de
cuius onde procedere all’istruzione della pratica a lui relativa per malattia
professionale.

La Corte d’appello, condividendo, sul punto,
l’opzione interpretativa di primo grado, aveva ritenuto, con riguardo alla
decorrenza del termine prescrizionale, di dare attuazione alla giurisprudenza
delle Sezioni Unite conferendo rilievo al 
momento di “esteriorizzazione” del danno e cioè il momento in
cui la malattia può essere percepita usando l’ordinaria diligenza e, purtuttavia,
escludendo la prova di quest’ultima nel caso di specie alla luce delle
conoscenze diffusesi in tema di esposizione all’amianto almeno a decorrere
dall’entrata in vigore, nel 1992, della relativa normativa.

Avverso tale pronunzia hanno proposto ricorso per
cassazione P. B., T. S. B. e L. B., affidandolo a tre motivi.

Resiste, con controricorso, Rete Ferroviaria
Italiana S.p.A.

3. Entrambe le parti hanno presentato memorie.

 

Considerato in diritto

 

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione
e falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ.,
nella dichiarazione di inammissibilità del primo motivo di appello; con il
secondo motivo, si deduce la violazione dell’art.
2697 cod. civ. in relazione all’art. 2935 cod.
civ. per essere stati violati i principi di allegazione e prova  con riguardo all’exordium praescriptionis;
con il terzo motivo si deduce la nullità della sentenza per “motivazione apparente”
ovvero violazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.
in ordine alla ritenuta esistenza di fonti di consapevolezza della sussistenza
del credito asseritamente prescritto.

1. Giova muovere, preliminarmente, dal terzo motivo
di ricorso ed affermare che non può parlarsi di motivazione apparente,
considerato che, per consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr., sul
punto, Cass., n. 13977 del 23/05/2019), ricorre il vizio di motivazione
apparente della sentenza, denunziabile in cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., soltanto quando
essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il
fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente
inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione
del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di
integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture.

Nel caso di specie il Collegio reputa la decisione
ampiamente motivata ed argomentata.

1.2. Relativamente alla dedotta violazione dell’art. 2697 cod. civ., va rilevato che in tema di
ricorso per cassazione, la violazione dell’art.
2697 cod. civ. c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice
abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso
avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie
basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, (cfr., ex plurimis,
sul punto, Cass. 23/10/2018 n. 26769).

1.3. Per quanto concerne, poi, le censura relativa
al difetto di motivazione, va rilevato che, in seguito alla riformulazione
dell’art. 360, comma 1, n. 5 del cod. proc. civ.,
disposto dall’art. 54 co 1, lett.
b), del DL 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012 n. 134 che ha limitato la
impugnazione delle  sentenze in grado di
appello o in unico grado per vizio di motivazione alla sola ipotesi di
“omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto
di discussione tra le parti”, con la conseguenza che, al di fuori
dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane
circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel
suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato “in
negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi in
materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza
della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale;
motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione
perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano
la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di
validità ( fra le più recenti, Cass. n. 23940 del 2017).

D’altro canto, per costante giurisprudenza di
legittimità, (cfr., fra le più recenti, Cass. n. 20335
del 2017, con particolare riguardo alla duplice prospettazione del difetto
di motivazione e della violazione di legge) il vizio relativo all’incongruità
della motivazione di cui all’art. n. 360, n. 5,
cod. proc. civ., comporta un giudizio sulla ricostruzione del fatto
giuridicamente rilevante e sussiste solo quando il percorso argomentativo
adottato nella sentenza di merito presenti lacune ed incoerenze tali da
impedire l’individuazione del criterio logico posto a fondamento della
decisione, o comunque, qualora si addebiti alla ricostruzione di essere stata
effettuata in un sistema la cui incongruità emerge appunto dall’insufficiente,
contraddittoria o omessa motivazione della sentenza.

Attiene, invece, alla violazione di legge la
deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato,
della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando
necessariamente una attività interpretativa della stessa: nel caso di specie,
pur avendo la parte ricorrente fatto valere una violazione di legge, in realtà
mira ad ottenere una rivisitazione del fatto inammissibile in sede di
legittimità chiedendo una diversa valutazione delle risultanze istruttorie che
avrebbe condotto a sua detta a ritenere provato il danno subito, escluso,
invece, dal giudice di secondo grado anche in ordine alla mera allegazione di
elementi di fatto a sostegno di quanto asserito.

1.4. Passando ad esaminare il secondo motivo nella
parte in cui denunzia la violazione dell’art. 2935
cod. civ. deve escludersi, ad avviso del Collegio, sulla base della
motivazione della decisione di secondo grado che si sia verificato un vizio di
sussunzione della fattispecie nella disposizione in esame, secondo l’interpretazione
offertane dalla consolidata giurisprudenza di legittimità. Secondo il Collegio,
nel dichiarare prescritto il diritto azionato, la Corte territoriale si è,
infatti, attenuta correttamente al principio, più volte ribadito dalla
giurisprudenza di legittimità in tema di risarcimento del danno cagionato
dall’inosservanza da parte del datore di lavoro dei doveri di protezione delle
condizioni di lavoro posti a suo carico dall’art.
2087 cod. civ., secondo cui la prescrizione decennale, operante nel caso in
cui sia stata esercitata l’azione contrattuale, decorre dal momento in cui il
lavoratore ha potuto acquisire la piena consapevolezza non solo della malattia,
con un danno alla salute apprezzabile, ma anche dell’origine professionale
della stessa, indipendentemente da valutazioni meramente soggettive a lui
ascrivibili (cfr. Cass., Sez. lav., 31/05/2010, n. 13284; 11/09/2007, n. 19022;
29/05/1997, n. 4774). Relativamente all’exordium praescriptionis, la Corte
territoriale ha sottolineato il proprio compito consistente nel verificare la
fondatezza dell’eccezione di prescrizione dell’azione di risarcimento del danno
presentata iure proprio dagli eredi dopo trentotto anni dal decesso di F. B.,
nell’ottica di non lasciare i danneggiati privi di tutela effettiva e di
evitare che il danneggiato sia esposto sine die ad una azione risarcitoria, in
contrasto con il principio di certezza del diritto.

Muovendo dalla decisione delle Sezioni Unite n.
581/2008, la Corte territoriale ha ritenuto corretto l’approccio del primo
giudice secondo cui non doveva reputarsi documentato che il defunto ed in suoi
eredi si fossero attivati usando l’ordinaria diligenza ed alla luce delle
conoscenze scientifiche, per riscontrare con ragionevole certezza la causa
della malattia del lavoratore. Ha aggiunto la Corte a tali osservazioni, le
specifiche e particolari cautele per i lavoratori esposti all’amianto
introdotte per la prima volta con legge n. 277/91
nonché la circostanza che tutti i familiari, per loro stessa ammissione, erano
a conoscenza che il B. fosse da sempre esposto alle polveri di amianto avendo
lavorato per tanto tempo presso le Ferrovie dello Stato come macchinista.

D’altro canto, ha osservato la Corte, la stessa
condizione di P. B. più volte sottoposto a controlli per la propria esposizione
personale alle polveri di amianto in quanto dipendente della F., avrebbe dovuto
suggerirgli di collegare la malattia del padre a quella esposizione quanto meno
dal 1990 data in cui prendeva servizio presso F..

A tali considerazioni, secondo la Corte, deve
aggiungersi quella secondo cui senza dubbio il de cuius fosse stato informato
dai medici dell’epoca della sua malattia così come i familiari dello stesso.

In quanto imperniato sull’idoneità dei predetti
elementi ad evidenziare una conoscibilità non meramente soggettiva, ma fondata
sul possesso di competenze professionali adeguate al livello raggiunto dalla
ricerca scientifica e dall’esperienza clinica in materia di danni da esposizione
all’amianto, il predetto ragionamento resiste, ad avviso del Collegio, alle
critiche mosse dalla difesa dei ricorrenti, la quale, nell’insistere sulla
necessità di ancorare la decorrenza della prescrizione alla possibilità di
ricondurre la patologia ad un evento specifico idoneo a far sorgere il diritto
al risarcimento, oscilla tra il riferimento al grado di consapevolezza
raggiungibile dalla vittima, come si è detto non rilevante, e quello all’epoca
acquisito a livello scientifico, il cui intrinseco difetto di assolutezza non
consente di escluderne la ragionevole sicurezza (cfr., sul punto, Cass. 2
ottobre 2019, n. 2486).

Osserva il Collegio che, in sede nomofilattica, è
stato precisato che, ai fini della prova della conoscibilità dell’eziologia
professionale, pur richiedendosi qualcosa in più della semplice manifestazione
della patologia, occorre pur sempre restare in un ambito di oggettività
scientifica, nel senso che la conoscibilità da un lato va intesa in senso
diverso dalla conoscenza vera e propria, dall’altro postula la possibilità che
un determinato elemento (l’origine professionale della malattia) sia
riconoscibile in base alle conoscenze scientifiche del momento, restando invece
irrilevante, pena lo sconfinamento nel campo della pura soggettività, il grado
di conoscenze e di cultura del soggetto interessato dalla malattia (cfr. Cass.,
n. 2486 del 2/10/2019, cit.; Cass., 19355 del
18/09/2007).

Secondo il Collegio ha, quindi, correttamente
ritenuto la Corte che, almeno dall’entrata in vigore della legge 277/91 che ha predisposto cautele per i
lavoratori esposti all’amianto, l’oggettiva diligenza avrebbe imposto di
percepire la malattia come conseguenza del comportamento del datore di lavoro
che aveva esposto il dipendente all’inalazione di polveri così pericolose da
esserne vietata la lavorazione.

Orbene, ritiene il Collegio tale impostazione
decisoria conforme alla giurisprudenza di legittimità, (fra le più recenti, Cass. 06/02/2018, n. 2842) che da rilievo, a
seguito della sentenza della Corte Costituzionale
n. 206 del 1988 (dichiarativa della illegittimità costituzionale dell’art. 135, secondo comma, del
d.P.R. n. 1124 del 1965, nella parte in cui pone una presunzione assoluta
di verificazione della malattia professionale nel giorno in cui è presentata
all’istituto assicuratore la denuncia con il certificato medico), come
“dies a quo” per la decorrenza del termine triennale di prescrizione
dell’azione per conseguire dall’INAIL la rendita per inabilità permanente al
momento in cui l’interessato abbia avuto consapevolezza dell’esistenza della malattia,
della sua origine professionale e del suo grado indennizzabile, da intendersi,
tuttavia, in termini non strettamente soggettivi. (fra le altre, Cass. sent.
5090/2001, 4181/2003).

Quanto, d’altronde, alla “manifestazione”
della malattia, il Collegio evidenzia che la Corte ha di frequente rilevato
(cfr., sul punto, Cass. n. 11790 del 2003, Cass. n. 8249 del 2011, Cass. n. 14281 del 2011) che essa è la forma oggettiva
che assume il fatto, nel suo essere manifesto, e che consente allo stesso di
essere conosciuto; si estrinseca, in sostanza, nell’oggettiva possibilità che
il fatto sia conosciuto dal soggetto interessato e, cioè, la sua
“conoscibilità” ; tale conoscibilità coinvolge l’esistenza della
malattia, ed i suoi caratteri di professionalità ed indennizzabilità; la
conoscibilità, quindi, deve distinguersi dalla conoscenza ed altro non è che la
possibilità che un decerminato elemento (nella specie, l’origine professionale
della malattia) sia riconoscibile in base alle conoscenze scientifiche del
momento, possibilità che esclude anche che sia necessario che l’origine
professionale sia già stata conosciuta in sede giudiziaria od amministrativa.

1.4.1. Il Collegio reputa, poi, incensurabile, in
sede di legittimità in quanto oggetto di indagine fattuale il passaggio
motivazionale nel quale la Corte esclude che la conoscibilità dell’esposizione
all’amianto potesse configurarsi soltanto nel 2011 per la mancanza di conoscibilità
di essa nell’ambiente di lavoro; secondo il Collegio la Corte, infatti, compie
un accertamento di fatto, fondato in primo luogo sulla circostanza che lo
stesso de cuius, che svolgeva mansioni di macchinista di elettromotrici ed
eseguiva anche lavori di manutenzione, doveva sapere, in base all’ordinaria
diligenza, di essere esposto a polveri di amianto.

Analoga possibilità di conoscenza ritiene il
Collegio che la Corte abbia ravvisato nella condizione degli eredi e,
soprattutto di P. B., molto prima del 2011 in considerazione dello svolgimento
di attività lavorativa presso F..

1.5. Quanto accertato in tema di sussistenza dei
presupposti per la prescrizione del diritto azionato esime questa Corte
dall’esame del primo motivo di ricorso, inerente la dedotta erronea
inammissibilità del primo motivo di appello per non essere lo stesso
sufficientemente specifico – atteso che lo stesso concerneva proprio il
combinato disposto degli artt. 2697 e 2935 cod. civ., ritenuto infondato in
questa sede.

2. Alla luce delle suesposte argomentazioni, il
ricorso va respinto.

2.1. Si ravvisa la ricorrenza dei presupposti
rationae temporis per la compensazione integrale delle spese relative al
giudizio di legittimità ai sensi dell’art. 92 cod.
proc. civ.. Sussistono, altresì, i presupposti processuali per il
versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.
1 -bis dell’articolo 13 comma 1
quater del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.

 

P.Q.M.

 

respinge il ricorso. Compensa integralmente le spese
di lite. Ai sensi dell’art. 13
comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto
per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

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