Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 giugno 2020, n. 10606

Negazione della trasformazione del proprio rapporto di lavoro
da tempo parziale a tempo pieno, Inadempimento contrattuale della società
datrice, con riferimento agli obblighi assunti con il verbale di conciliazione
– Danno conseguito all’inadempimento, Quantificazione sulla base della
differenza tra quanto percepito e quanto sarebbe spettato con orario full time,
anche con riferimento alla contribuzione pensionistica ed assicurativa, Motivo
del ricorso teso ad ottenere un nuovo esame del merito, Nuova valutazione
degli elementi delibatori, estranea al giudizio di legittimità

 

Rilevato

 

che la Corte di Appello di Milano, con sentenza
pubblicata in data 10.12.2015, ha respinto il gravame interposto da F.A.G., nei
confronti di V.S. S.p.A., avverso la sentenza del Tribunale di Lecco n.
68/2011, depositata il 9.6.2011, che aveva rigettato il ricorso del lavoratore,
diretto ad ottenere l’accertamento della illegittimità della negazione della trasformazione
del proprio rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno, nonché
(l’accertamento) dell’inadempimento contrattuale della società datrice, con
riferimento agli obblighi assunti con il verbale di conciliazione del 7.6.2006;
ed altresì, la condanna della medesima alla trasformazione del detto rapporto a
tempo pieno, con l’accertamento del danno conseguito all’inadempimento
verificatosi dall’1.1.2007, da quantificarsi sulla base delle differenza tra
quanto percepito e quanto sarebbe spettato se lo stesso avesse lavorato con un
orario full time, anche con riferimento alla contribuzione pensionistica ed
assicurativa; che per la cassazione della sentenza ricorre il G. sulla base di
due motivi, cui resiste con controricorso V.S. S.p.A.; che il P.G. non ha
formulato richieste;

che, con il ricorso, si censura: 1) in riferimento
all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.,
<<la nullità della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo per il
giudizio che è stato oggetto di discussione>>, per avere la Corte
territoriale erroneamente ritenuto che la domanda proposta dal lavoratore fosse
coincidente con la richiesta formulata nel giudizio conclusosi con un verbale
di conciliazione <<e, quindi, non più discutibile o possibile oggetto di
gravame>>, senza considerare che <<ciò che è stato contestato a
V.S. S.p.A. avanti il Tribunale di Lecco e, poi, avanti la Corte d’Appello, è
l’inadempimento di un accordo conciliativo, mai ottemperato dalla
società>>; 2) in riferimento all’art. 360,
primo comma, n. 5, c.p.c., la <<nullità della sentenza e del
procedimento per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per erronea lettura delle dichiarazioni
dei testi. Omessa valutazione di prova decisiva>>, per errata valutazione
degli elementi probatori da parte dei giudici di seconda istanza, che, a parere
del ricorrente, avrebbero <<disatteso le risultanze testimoniali che, se
considerate, avrebbero dovuti condurre a conclusioni diverse>>;

che il primo motivo è inammissibile, in quanto, come
sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della
riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia
motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente
rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il
vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto
con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella
<<mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e
grafico>>, nella <<motivazione apparente>>, nel
<<contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili>> e nella
<<motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile>>,
esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ccsufficienza>> della
motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio
specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto
storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della
sentenza o dagli atti processuali (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 13459/2017; 476/2017) che abbia costituito oggetto di
discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se
esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Orbene,
poiché la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata, come
riferito in narrativa, in data 10.12.2015, nella fattispecie si applica,
ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360,
comma 1, n. 5), come sostituito dall’art. 54, comma 1, lettera b), del
decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la
sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa
un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le
parti. Ma, nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio
motivazionale non indica il fatto storico (cfr. Cass. n. 21152/2014), con
carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti
e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare, posto che il G. lamenta
che i giudici di merito sarebbero incorsi in una erronea lettura delle domande
formulate: doglianza che esula dal paradigma dell’art.
360, primo comma, n. 5, c.p.c., che attribuisce rilievo, come sottolineato,
all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza
risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali; ne, tanto meno, fa
riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio
della sentenza <<così radicale da comportare>> in linea con
<<quanto previsto dall’art. 132, n. 4, c.p.c.,
la nullità della sentenza per mancanza di motivazione>> (cfr. Cass. n.
13459/2017, cit.) E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del
2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il
controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso
motivazionale dei giudici di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229/2015), che, nella specie, è stato
condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche del
tutto congrue, anche con riferimento alle risultanze probatorie poste a
fondamento della decisione impugnata;

che il secondo motivo è inammissibile per tutte le
considerazioni svolte relativamente al primo mezzo di impugnazione, dovendosi,
altresì, precisare che <d’omesso esame di elementi istruttori non integra,
di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto
storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal
giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze
probatorie>> (v. Cass., S.U., n. 8053/2014,
cit.); inoltre, il motivo appare, all’evidenza, teso ad ottenere un nuovo esame
del merito attraverso una nuova valutazione degli elementi delibatori,
pacificamente estranea al giudizio di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014),
poiché <<il compito di valutare le prove e di controllarne
l’attendibilità e la concludenza spetta in via esclusiva al giudice di
merito>>; per la qual cosa, <<la deduzione con il ricorso per
cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata, per omessa,
errata o insufficiente valutazione delle prove, o per mancata ammissione delle
stesse, non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il
merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì solo la
facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della
coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito>>
(cfr., ex multis, Cass., S.U., n. 24148/2013;
Cass. n. 14541/2014 citt.; Cass. n. 2056/2011);
e, nella fattispecie, la Corte distrettuale, come innanzi precisato, è
pervenuta alla decisione impugnata attraverso un iter motivazionale del tutto
condivisibile dal punto di vista logico-giuridico, anche in ordine alla
valutazione dei mezzi istruttori addotti dalle parti;

che, per le considerazioni innanzi svolte, il
ricorso va dichiarato inammissibile;

che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono
la soccombenza;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla
data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R.
n. 115 del 2002.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso; condanna il
ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in
Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella
misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello
stesso articolo 13.

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