Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 maggio 2020, n. 9803

Obbligo di iscrizione e contribuzione presso la Cassa Edile,
Attività di montaggio e smontaggio dei ponteggi nel cantiere inerente ai lavori
di ordinaria manutenzione di strade, Società classificata come commerciale
presso la CCIAA e ai fini previdenziali presso l’Inps, Attività ausiliaria a
quella edile, Funzione accessoria che non avrebbe alcuna possibilità di utile
applicazione se scissa dalla impresa ausiliata

 

Rilevato che

 

Si controverte dell’obbligo di iscrizione e
contribuzione presso la Cassa Edile di Bolzano della società E. V. s.r.l. che
ha adito il Tribunale di Bolzano per far accertare l’insussistenza di tale
obbligo con condanna alla restituzione dei contributi versati;

ciò sulla base della considerazione che l’attività
svolta (esecuzione in regime d’appalto per conto dell’appaltatrice M. s.p.a. –
chiamata in causa da Cassa Edile di Bolzano quale obbligata solidale –
dell’attività di montaggio e smontaggio dei ponteggi nel cantiere inerente ai
lavori di ordinaria manutenzione della galleria e del viadotto Tosch) non
poteva fondare l’obbligo predetto in quanto la società era classificata come
commerciale presso la Camera di commercio di Vicenza con il codice 7732 e così
anche ai fini previdenziali presso l’INPS : la stessa applicava nei confronti
dei propri dipendenti il contratto collettivo del settore commercio; la Corte
d’appello di Trento, Sez. Dist. Bolzano, confermando la sentenza di primo grado
di rigetto della domanda, in ragione della natura edile dei lavori svolti dalla
ricorrente e dalla sussistenza del vincolo di solidarietà in capo alla M.
s.p.a., ha rigettato l’impugnazione proposta da E. V. sulla base di quanto
segue: 1) non poteva porsi alcun automatismo tra il codice assegnato dagli enti
previdenziali, secondo astratte previsioni tipologiche, ed il concreto
accertamento dell’attività svolta, che dai riscontri documentali in atto,
doveva ritenersi appartenente all’area dell’edilizia (progettazione, smontaggio
e manutenzione e riparazione di ponteggi); 2) l’art. 49 della I. n. 88 del 1989
induceva a ritenere che rientrasse nell’attività edile anche l’attività ad essa
accessoria o ausiliaria quale quella svolta da E.; 3) doveva, altresì, darsi
rilevanza all’art. 118 d.lgs. n.
163 del 2006 ( cod. appalti) che, nel disciplinare il sub appalto, obbliga
l’affidatario ad osservare il c.c.n.l relativo al settore ed alla zona nella
quale si eseguono le prestazioni; ciò in relazione al contenuto del contratto
di sub appalto del 10.8.2009 ed alla generale indicazione dell’appartenenza
all’area del CCNL delle imprese edili delle opere provvisionali di ogni genere,
oggetto dell’attività svolta dalla ricorrente come risultante dalla modulistica
dalla stessa compilata ove si riferiva pure dell’utilizzo di manodopera nei
lavori oggetto d’appalto per l’80%; 4) del tutto irrilevante, una volta
accertato quanto sopra, era la nota INAIL del 29 gennaio 2010 che si basava
sulle mere classificazioni tipologiche e non sul concreto atteggiarsi del
contenuto dell’appalto, così come la nota dell’Inps del 10.3.2009 o l’esito
degli accertamenti dell’Ufficio ispettivo del lavoro della Provincia di Trento
giacché lo stesso riguardava altro appalto; la memoria di costituzione di M.
s.p.a. – poi C. s.p.a. – contenente la richiesta di estromissione dal giudizio,
configurava un appello incidentale mai notificato e, quindi, improcedibile;

avverso tale sentenza, ricorre per cassazione E. V.
s.r.l. sulla base di due motivi: 1) violazione dell’art. 29 d.l. n. 244 del 1995
conv. in I. n. 341 del 1995, dell’art. 49 I. n. 88 del 1989 con
riguardo all’art. 118 d.lgs. n.
163 del 2006 in ragione del fatto che l’obbligo di iscriversi alla Cassa
edile sarebbe limitato ai datori di lavoro soggetti all’applicazione del
c.c.n.I. in virtù del citato art.
29 che prevede l’obbligo dei datori di lavoro, individuati dai codici ISTAT
da 45.1 a 45.45.2, di versare la contribuzione commisurata ad un numero di ore
settimanali non inferiore all’orario di lavoro normale stabilito dai cc.nn.II
stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative sul territorio
nazionale e dai relativi accordi integrativi territoriali di integrazione, con
esclusione delle voci ivi indicate, senza alcuna possibilità di accertare in
concreto lo svolgimento di attività edilizia; 2) omesso esame circa fatti
decisivi per il giudizio che si ravvisano in diversi documenti acquisiti agli
atti dai quali emergerebbe una percentuale di manodopera inferiore a quella
tenuta in considerazione dalla Corte territoriale;

resiste Cassa Edile con controricorso illustrato da
memoria;

 

Considerato che

 

il primo motivo è infondato;

la ricorrente deduce la violazione delle disposizioni
sopra riportate in ragione, essenzialmente, di una lettura della sentenza di
questa Corte di cassazione n. 17316 del 2003 dalla quale ricava la sussistenza
di una regola applicativa secondo la quale l’obbligo di iscrizione alla Cassa
edile esiste solo per le imprese che, ai sensi dell’art. 29 d.l. n. 244 del 1995,
sono indicate dai codici Istat da 45.1 a 45.45.2. e da tale regola, essendo il
proprio codice Istat 71.32, fa derivare il fondamento della propria pretesa a
non essere considerata soggetta all’obbligo di iscrizione dei propri lavoratori
alla Cassa edile;

la tesi non è condivisibile e non coglie pienamente
né la ratio decidendi sottesa alla sentenza impugnata, né quella della sentenza
di questa Corte di cassazione n. 17316 del 2003;

in particolare, va osservato che con quest’ultima
sentenza questa Corte di cassazione ha affrontato la questione, differente
rispetto alla presente, della corretta individuazione delle imprese edili
destinatarie degli sgravi contributivi e della fiscalizzazione degli oneri
sociali (ai sensi dell’art. 6
D.L. n. 383 del 1989 conv. nella L. n. 389 del
1989), in ipotesi di datore di lavoro che ne aveva beneficiato senza aver
iscritto i propri dipendenti alla Cassa Edile, non provvedendo agli
accantonamenti presso la stessa e versando, invece, su conti individuali quanto
agli stessi dovuto per ferie, festività, mensilità aggiuntive ecc.;

in tale contesto si è affermato il principio,
espresso dalla massima ufficiale, secondo il quale l’art. 29 del decreto – legge 23
giugno 1995, n. 244, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1995, n. 341, il quale detta
criteri per la determinazione della retribuzione minima imponibile, si applica
ai datori di lavoro esercenti attività edili, anche se in economia, indicati dai
codici ISTAT da 45.1 a 45.45.2., i quali sono tenuti alla iscrizione alla Cassa
edile e per i quali soltanto è prevista, ai sensi del comma terzo, la perdita
degli sgravi contributivi e della fiscalizzazione degli oneri sociali per i
lavoratori non denunciati alla Cassa edile. Ne consegue che, avendo il
legislatore prescelto il criterio della tipologia tassativa dei datori di
lavoro tenuti alla iscrizione alla cassa, non hanno alcun rilievo, ai fini di
tale obbligo, né la vincolatività del contratto collettivo nazionale, per
appartenenza alle associazioni sindacali che lo hanno sottoscritto, né la
spontanea applicazione dello stesso da parte del datore di lavoro. (In
applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che
aveva ritenuto sussistente l’obbligo di una impresa esercente attività di
produzione e distribuzione di calcestruzzo prefabbricato alla iscrizione alla
cassa in ragione della applicabilità ad essa, per affinità, del contratto
collettivo nazionale per gli edili, facendo discendere la perdita degli sgravi
contributivi dal mancato assolvimento dell’obbligo suddetto, senza tuttavia
accertare se quella impresa appartenesse, per tipologia, a quelle individuate
dall’art. 29 del decreto –
legge n. 244 del 1995, convertito dalla legge
n. 341 del 1995);

dunque, la questione oggetto del presente giudizio
relativa all’accertamento dell’obbligo di iscrizione dei dipendenti alla Cassa
edile è solo in parte coincidente con quella esaminata dal citato precedente di
questa Corte di legittimità;

peraltro, in quella sede e per quanto ora di
interesse, si è proceduto a cassare la sentenza impugnata perché la stessa non
aveva proceduto ad effettuare in sede giudiziale l’accertamento di effettiva
sussumibilità dell’attività dell’impresa fruitrice degli sgravi nell’ambito di
quelle indicate nei codici Istat da 45.1 a 45.45.2, accontentandosi di ritenere
applicabile il c.c.n.I. per il settore edilizio, e ciò proprio in ragione del
principio di necessaria verifica giudiziale della effettiva sussistenza dei
caratteri dell’attività d’impresa corrispondenti a tale tipologia di
classificazione; proprio tale accertamento, invece, ha compiuto la Corte
d’appello di Bolzano che ha negato che il rapporto tra classificazione
amministrativa Istat ed obbligatorietà dell’obbligo di iscrizione dei
dipendenti alla Cassa edile sia retto da presunzione assoluta e, ritenendo non
corretto l’inquadramento operato dagli istituti previdenziali, ha esaminato la
concreta fattispecie oggetto di causa;

in tale contesto, dunque, la Corte territoriale, con
valutazione di merito non censurabile in sede di legittimità, ha accertato che
gli elementi documentali in atti deponessero per l’inclusione dell’attività
svolta dalla società E. nell’ambito edile ed a tal fine ha esaminato la visura
camerale e l’oggetto dell’attività sociale ivi indicato al cui interno è
indicato il noleggio e lo smontaggio di ponteggi; da ciò ha tratto il
convincimento che si tratti di attività ausiliaria a quella edile in quanto
realizzatrice di una funzione accessoria che non avrebbe alcuna possibilità di
utile applicazione se scissa dalla impresa ausiliata;

andando, poi, all’esame concreto della fattispecie,
la sentenza impugnata ha riferito che l’obbligo di iscrizione era riferito
all’attività svolta in esecuzione dell’appalto pubblico dei lavori di
manutenzione ordinaria per il risanamento di una galleria e di un viadotto
autostradali, regolato dall’art.
118 d.lgs. n. 163 del 2006 (Codice degli Appalti) e dal contratto di sub
appalto del 10.8.2009, laddove era prevista l’attività < di montaggio e
smontaggio di ponteggio standard … sospeso … trabatelli su ruote …carro
ponte>; si tratta, dunque, ad avviso della Corte di merito, di sicura
attività ausiliaria di quella edile svolta dalla sub appaltante M. s.p.a.,
anche in ragione della espressa indicazione in tal senso, con la voce <opere
provvisionali> nella premessa al c.c.n.I. dei settore edilizia e della
risultanza del modulo datato 24.2.2010 (allegato alla lettera del 4.5.2010
inviata dalla ricorrente all’A.B. s.p.a.) ove l’attività svolta è descritta
come <servizio specialistico di montaggio e smontaggio opere provvisionali
ponteggi> ed in considerazione dell’incidenza percentuale della mano d’opera
impiegata nel sub appalto pari all’80% dell’importo dei lavori che dimostra la
preponderanza del montaggio dei ponteggi rispetto al loro noleggio;

tale analitica valutazione delle complessive
risultanze istruttorie sostiene la motivazione che, dunque, non è incorsa nel
vizio denunciato di omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra
le parti; tale motivo di ricorso è peraltro inammissibile in quanto non conforme
al canone imposto dall’art. 360, primo comma n. 5,
c.p.c. , riformulato dall’art.
54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in I. n. 134
del 2012, che introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile
per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o
secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti
processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia
carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito
diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori
(come adombra la ricorrente indicando varia documentazione utile a sostenere la
propria tesi circa l’incidenza della manodopera) non integra, di per sé, il
vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante
in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza
non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. n. 27415 del
2018; Cass. SS.UU. n. 8053 del 2014);

in definitiva, il ricorso va rigettato e le spese
seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3500,00
per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi; spese forfetarie nella misura
del 15% e spese accessorie di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art.
13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato
D.P.R., ove dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 maggio 2020, n. 9803
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