Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 giugno 2020, n. 10527

Differenze retributive, Domanda volta ad ottenere il
pagamento di lavoro straordinario per ciascuna settimana, Potere-dovere del
giudice di qualificare giuridicamente l’azione ed attribuire al rapporto
dedotto in giudizio un nomen iuris diverso da quello indicato dalle parti,
Nessuna sostituzione della domanda proposta e modifica dei fatti costitutivi

 

Rilevato

 

che la Corte di Appello di Palermo, con sentenza
pubblicata in data 14.12.2015, ha respinto il gravame interposto dalla S.r.l.
S.R., nei confronti di A.M. (dipendente con mansioni di autista-operatore di
pompa per calcestruzzo), avverso la pronunzia del Tribunale di Agrigento n.
2031/2013, con la quale, in parziale accoglimento del ricorso del lavoratore,
la società datrice era stata condannata a versare, in favore del medesimo, la
somma di Euro 37.801,84 a titolo di differenze retributive, 13^ mensilità,
indennità sostitutiva pari a cinque giorni di ferie all’anno, differenze di TFR,
oltre accessori, come per legge;

che per la cassazione della sentenza ricorrono la
S.r.l. S.R. e C.R. e L.R., in qualità di soci illimitatamente responsabili,
articolando tre motivi; che A.M. resiste con controricorso; che il P.G. non ha
formulato richieste.

 

Considerato

 

che, con il ricorso, si censura: 1) in riferimento
all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., la
violazione dell’art. 112 c.p.c., perché la
Corte di Appello non avrebbe esaminato il motivo di gravame con il quale si
chiedeva la compensazione delle spese di lite del primo grado di giudizio,
vista la parziale soccombenza reciproca; 2) in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione
degli artt. 2697, 2948
c.c.; 115, 166
e 345 c.p.c., per non avere i giudici di merito
ritenuto provato il requisito dimensionale di oltre 15 lavoratori assunti,
negli anni 1996-2003, nonostante le prove documentali offerte dai ricorrenti;
3) in riferimento all’art. 360, primo comma, nn. 3
e 5, c.p.c., perché i giudici di merito avrebbero errato laddove hanno
ritenuto fondata la domanda volta ad ottenere il pagamento di otto ore di
lavoro straordinario per ciascuna settimana; che, preliminarmente, deve darsi
atto che, come rilevato dal controricorrente, dalla procura rilasciata a
margine del ricorso per cassazione non è dato comprendere chi abbia conferito
la procura, né a quale avvocato la stessa sia stata conferita e neppure a chi
appartengano le firme, illeggibili, apposte in calce (al riguardo, cfr., ex
plurimis, Cass. n. 25036/2013); che, ciò premesso, dovendosi, comunque
rigettare il ricorso per i motivi di seguito esplicitati, è assorbente tale
soluzione, in base alla quale la questione può decidersi, per il principio
della <<ragione più Iiquida>> (cfr., per tutte, Cass., Sez. Un., n.
26242/2014), senza che sia necessario esaminare previamente tutte le altre,
secondo l’ordine previsto dall’art. 276 del
codice di rito e 118 Disp. Att.;

che il primo motivo non è fondato; ed invero, perché
possa utilmente dedursi in sede di legittimità la violazione dell’art. 112 c.p.c. – fattispecie riconducibile ad una
ipotesi di error in procedendo ex art. 360, n. 4,
c.p.c. – sotto il profilo della mancata corrispondenza tra il chiesto ed il
pronunziato, deve prospettarsi, in concreto, la pronunzia su una domanda non
proposta, ovvero la mancata pronunzia: attività, quest’ultima, che integra un
accertamento in fatto, tipicamente rimesso al giudice di merito, insindacabile
in Cassazione, se non sotto il profilo della correttezza della motivazione
della decisione impugnata sul punto (cfr., tra le molte, Cass. nn. 7932/2012;
20373/2008). Il giudice, infatti, ha il potere-dovere di qualificare
giuridicamente l’azione e di attribuire al rapporto dedotto in giudizio un
nomen iuris diverso da quello indicato dalle parti, purché non sostituisca la
domanda proposta con una diversa, modificando i fatti costitutivi e fondandosi
su una realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio; la qual cosa non si
profila nel caso di specie, in cui, all’evidenza, vi è un rigetto implicito,
nella sentenza impugnata, del motivo di gravame con cui si chiedeva la integrale
compensazione delle spese di lite di primo grado (cfr., ex multis, Cass. ord. n. 32258/2018; Cass. nn. 1972/2014; 4605/2008);

che il secondo ed il terzo motivo – che possono
essere esaminati congiuntamente, in quanto, nella sostanza, tendono entrambi ad
ottenere un nuovo esame delle risultanze processuali, non consentito in questa
sede (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n.
24148/2013; Cass. n. 14541/2014) – non sono meritevoli di accoglimento,
poiché <<il compito di valutare le prove e di controllarne
l’attendibilità e la concludenza spetta in via esclusiva al giudice di
mento>>; per la qual cosa <<la deduzione con il ricorso per cassazione
della omessa, errata o insufficiente valutazione delle prove, o della mancata
ammissione delle stesse, non conferisce al giudice di legittimità il potere di
riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio,
bensì solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza
giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal
giudice di merito>> (cfr., ex multis, Cass.,
S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014 citt.; Cass.
n. 2056/2011); e, nella fattispecie, la Corte distrettuale è pervenuta alla
decisione impugnata attraverso un ¡ter motivazionale del tutto condivisibile
dal punto di vista logicogiuridico, anche in ordine all’ammissione o meno dei
mezzi istruttori addotti dalle parti;

che, infine, la seconda censura del terzo mezzo di
impugnazione è inammissibile per la formulazione non più consona con le
modifiche introdotte al n. 5 del primo comma
dell’art. 360 c.p.c.dall’art. 54, comma 1, lett. b), del D.L.
22/6/2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7/8/2012, n. 134, applicabile, ratione
temporis, al caso di specie, poiché la sentenza oggetto del giudizio di
legittimità è stata pubblicata, come riferito in narrativa, il 14.12.2015;

che per tutto quanto in precedenza esposto, il
ricorso va respinto;

che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono
la soccombenza;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla
data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R.
n. 115 del 2002.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.200,00,
di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed
accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 giugno 2020, n. 10527
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