Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 giugno 2020, n. 17236

Infortunio sul lavoro occorso a un dipendente, Minimizzare i
danni della vittima, Tentativo di coprire le responsabilità datoriali e
ridurre al minimo le ripercussioni negative sull’azienda, Reato di omissione
di soccorso

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di
Brescia in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bergamo – che aveva
dichiarato M.T. colpevole di omissione di soccorso e frode processuale (così
riqualificata la condotta originariamente contestata quale favoreggiamento
personale), commessi il 3 settembre 2013, in occasione dell’infortunio sul
lavoro occorso a un dipendente della azienda dell’imputato, e, riconosciuta la
continuazione tra i reati, lo aveva condannato alla pena di anni uno e mesi
quattro di reclusione, nonché al risarcimento dei danni e alla rifusione delle
spese in favore delle costituite parti civili – lo ha assolto dal reato di cui
all’art. 374 cod. pen., perché non punibile ai
sensi dell’art. 384 cod. pen., e ha
rideterminato la pena in mesi otto di reclusione, con la revoca delle
statuizioni civili, a seguito della intervenuta rinuncia alla costituzione di
parte civile ( come da decreto di correzione del 14 marzo 2019)

2. Propone ricorso per cassazione M.T., con il
ministero del difensore, che svolge due motivi.

2.1. Denuncia, in primo luogo, violazione dell’art. 491 cod. proc. pen., con riferimento alla
ordinanza pronunciata dal giudice di primo grado in data 11 dicembre 2015 con
la quale era stata dichiarata la inammissibilità, per tardività, della
questione preliminare afferente al difetto di legittimazione attiva delle parti
civili costituite. Espone che, successivamente alla prima udienza, di mero
smistamento, e dopo il rinvio finalizzato all’accertamento dell’entità dei
postumi dell’infortunio, alla successiva prima udienza utile – dopo la
definizione, mediante accordo sulla pena, della posizione del fratello
dell’odierno ricorrente, imputato di lesioni aggravate, e lo stralcio della
relativa posizione – era stata posta la questione della estromissione, per
carenza di legittimazione attiva, delle costituite parti civili, nell’ambito
del processo a carico del ricorrente, imputato, come premesso, dei diversi
reati di omissione di soccorso e frode processuale. Detta istanza veniva,
tuttavia, erroneamente dichiarata tardiva dal Tribunale, pur non essendo stata
svolta, in prima udienza, alcuna attività processuale, per essere stata
disposta, invece, su richiesta dell’imputato (finalizzata al tentativo di
trovare un accordo risarcitorio con le persone offese), la sospensione del
processo, venendo affrontate solo alla successiva udienza, per la prima volta,
le questioni preliminari.

2.2. Con il secondo motivo viene denunciata I’
erronea applicazione dell’art. 593 cod. pen., e
il correlato vizio della motivazione, dolendosi la difesa dell’erroneo percorso
argomentativo seguito dalla Corte di appello nella valutazione dell’elemento
oggettivo del reato. Si lamenta, in particolare, che la sentenza gravata ha
fondato il proprio convincimento sulla base della ricostruzione dell’infortunio
e della condotta tenuta, in quel contesto, dall’imputato, come riferito dalla
persona offesa, avendo la Corte di appello affermato la inattendibilità della
testimonianza di altra dipendente della ditta, signora A., che, invece,
assistette l’infortunato dal primo momento e fino all’arrivo in ospedale, la
quale avrebbe, invece, riferito circostanze diverse circa la situazione di
fatto palesatasi dopo l’infortunio, tali da incidere significativamente sulla
sussistenza della condotta omissiva ascritta all’imputato. Il giudizio della
Corte in ordine a siffatta testimonianza è, però, rimesso a una motivazione
assertiva che non ha consentito il corretto vaglio della effettiva
percepibilità delle condizioni della persona ferita e della esigibilità della
condotta dell’agente.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso prospetta motivi inammissibili. Essi
costituiscono la riedizione di quelli declinati con l’appello, senza confutare
in modo critico gli argomenti utilizzati dalla Corte territoriale per
affermarne l’infondatezza.

2. Il primo motivo è stato ampiamente affrontato
dalla Corte di appello che l’ha ritenuto tardivo, perché non dedotto
tempestivamente, nella prima udienza, subito dopo la verifica, da parte del
Giudice, della regolare costituzione delle parti. In tale occasione, infatti,
si era registrata anche la costituzione della parte civile; solo dopo, su
richiesta dell’imputato, era stato disposto il rinvio finalizzato a consentire
una composizione bonaria delle istanze risarcitorie delle persone offese, con
sospensione dei termini di prescrizione. D’altro canto, la sentenza impugnata
ha anche dato atto della infondatezza, nel merito, della eccezione, ritenendo
sussistente la legitimatio ad causam, posto che i congiunti dell’infortunato
facevano valere, con la costituzione in giudizio, il maggior danno conseguito
all’aggravamento delle condizioni di salute per via dell’omissione di soccorso
contestato proprio all’odierno ricorrente. Nell’affermare ciò la Corte
territoriale ha anche espressamente richiamato il principio di diritto
declinato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui la legittimazione
all’azione civile nel processo penale va verificata esclusivamente alla stregua
della fattispecie giuridica prospettata dalla parte a fondamento dell’azione,
in relazione al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, e indipendentemente
dalla effettiva titolarità del vantato diritto al risarcimento dei danni, il
cui accertamento riguarda il merito della causa, investendo i concreti
requisiti di accoglibilità della domanda e, perciò, la sua fondatezza, ed è
collegato all’adempimento dell’onere deduttivo e probatorio incombente
sull’attore. (Sez. 4, n. 14768 del 18/02/2016, Rv. 266899).

3. Parimenti infondato il secondo motivo di ricorso,
che tende a stimolare, inammissibilmente, una rivalutazione del compendio
probatorio, invece puntualmente vagliato nei due gradi di giudizio, con ampie
argomentazioni che non soffrono affatto dei vizi motivazionali denunciati, non
potendosi ravvisare dalla loro congiunta lettura fratture logiche né manifeste
contraddittorietà.

La Corte territoriale ha condiviso gli argomenti
spesi dal giudice di primo grado, espressamente richiamandoli, sia quelli a
sostegno della piena credibilità della persona offesa, che nella parte relativa
alla valutazione della deposizione della A., di cui ha stigmatizzato il
tentativo di minimizzare i danni della vittima, perseguito dalla teste nel
processo, quando ha riferito che il povero Z. presentava solo un po’ di fiamme
attorno alle braccia e in fondo alle gambe, descrizione palesemente smentita,
oltre che da altri momenti della testimonianza della stessa A. (come quando ha
chiesto i soccorsi riferendo di una persona ustionata, così dimostrando piena
consapevolezza delle condizioni della persona offesa) e dalla descrizione fatta
dalla persona offesa – che ha riferito di peluria e capelli carbonizzati, di un
dolore devastante, di vestiti bruciati – anche dalla testimonianza del
dipendente S.O., che ha descritto la vittima come “una palla di
fuoco”, prima di avere l’idea di usare l’estintore, nonché dalle
dichiarazioni dello stesso imputato, che ha ricordato come la pelle ” si
spelava”, essendosi reso conto, seppure in ritardo, della gravità della
situazione. La valutazione è coerente con i risultati della prova, e non
risulta scalfita in alcun modo dalla prospettazione difensiva che tende a
ribadire, anche nel giudizio di legittimità, una versione dei fatti
clamorosamente smentita da tutte le altre fonti di prova, ovvero che l’imputato
fosse stato talmente scosso dal fatto da non essersi reso conto della gravità
delle condizioni del povero Z., laddove, invece, egli omise scientemente di
prestare l’immediato, necessario, soccorso al suo dipendente per tentare di
coprire le sue responsabilità datoriali e ridurre al minimo le ripercussioni
negative sull’azienda.

3.1. La sentenza impugnata non presta il fianco al
denunciato travisamento della prova, risultando, piuttosto, coerente con i
risultati del l’istruttoria e giuridicamente allineata a consolidati
orientamenti della giurisprudenza di questa Corte, con riferimento, per quanto
qui rileva, alla attendibilità della persona offesa, in ordine alla quale la
giurisprudenza di legittimità ha, da tempo, chiarito che le regole dettate
dall’art. 192 comma terzo cod.proc.pen.,
relativamente alla necessità dei riscontri esterni, non si estendono alle
dichiarazioni della persona offesa, le quali ben possono, legittimamente,
essere poste da sole alla base dell’affermazione di responsabilità
dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della
credibilità soggettiva del dichiarante e della attendibilità intrinseca del suo
racconto, valutazione che, comunque, deve essere, in tal caso, più penetrante e
rigoroso rispetto a quello che involge normalmente il propalato del semplice
testimone (Sez. U. n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214; Conf. Sez. 5
n. 1666 del 08/07/2014, Rv. 261730). Come si è già detto, alle generiche
deduzioni del ricorrente fanno da contrattare le specifiche e conferenti
motivazioni offerte dalla Corte nella sentenza impugnata che ha valorizzato
anche plurimi riscontri al narrato della vittima, e segnalato le contraddizioni
e incoerenze del racconto del teste A.. La decisione impugnata concretizza,
pertanto, una situazione di doppia conformità delle due pronunce di merito, in
ordine alla quale, nella giurisprudenza di questa Corte, si è chiarito il
valore specifico di maggiore tenuta motivazionale in sede di legittimità, e
indicate le condizioni di proponibilità e ammissibilità di un eventuale ricorso
che prospetti il vizio del travisamento della prova (ex multis, Sez. 5 n. 1927
del 20/12/2017, Rv. 273224; Sez. 2 n. 5336 del 09/01/2018, Rv. 272018).

3.2. Vale la pena di ricordare che, per pacifica
giurisprudenza di questa Corte, il vizio di travisamento della prova può essere
dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta ” doppia
conforme” – che, secondo un orientamento giurisprudenziale oramai
risalente, consente la reciproca integrazione delle due conformi motivazioni
che si siano espresse sullo stesso materiale probatorio – sia nell’ipotesi in
cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di
gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice
(circostanza non verificatasi nel caso di specie), sia quando entrambi i
giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze
probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da
imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle
motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio
acquisito nel contraddittorio delle parti. (ex plurimis Sez. 2 n. 5336 del 09/01/2018 rv. 272018 ). In punto di
diritto occorre rilevare che la sentenza di primo grado e quella di appello,
quando non vi è difformità sulle conclusioni raggiunte, si integrano
vicendevolmente, formando un tutt’uno organico ed inscindibile, una sola entità
logico-giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della
congruità della motivazione. Pertanto, il giudice di appello, in caso di
pronuncia conforme a quella appellata, può limitarsi a rinviare per relationem
a quest’ultima sia nella ricostruzione del fatto sia nelle parti non oggetto di
specifiche censure (Cass. Sez. 1^, Sentenza n. 4827 del 28/4/1994 – ud.
18/3/1994 – Rv. 198613; Sez. 6, Sentenza n. 11421 del 25/11/1995 – ud.
29/9/1995 – Rv. 203073).

4. Alla declaratoria di inammissibilità segue per
legge (art. 616 cod.proc.pen.) la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché, trattandosi di causa di
inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso (Corte Costituzionale n. 186 del 7-13 giugno 2000),
al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene
equo e congruo fissare in euro 3000,00.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000,00
in favore della Cassa delle Ammende.

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