Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 giugno 2020, n. 10411

Personale ATA della scuola, Plurimi contratti a termine
ripetuti nel tempo, Diritto agli scatti di anzianità

 

Fatti di causa

 

1. La sentenza della Corte d’appello di Ancona
attualmente impugnata (depositata il 30 gennaio 2014) respinge sia l’appello
principale di I.V. e gli altri indicati in epigrafe sia l’appello incidentale
del Ministero della Istruzione, dell’Università e della Ricerca (d’ora in poi:
MIUR) avverso la sentenza n. 352/2013 del Tribunale di Ancona, che conferma
integralmente, così riconoscendo agli appellanti – tutti docenti o appartenenti
al personale ATA della scuola sulla base di plurimi contratti a termine
ripetuti nel tempo – il solo diritto agli scatti di anzianità (come
risarcimento del danno), escludendo la possibilità di riconoscere altre voci
retributive e in particolare quelle derivanti da un ricalcolo comprensivo anche
dei periodi non lavorati (luglio e agosto).

2. Il ricorso del MIUR domanda la cassazione della
sentenza per un unico motivo cui, con controricorso, I.V. e gli altri indicati
in epigrafe, i quali propongono anche un autonomo ricorso (successivo rispetto
a quello del Ministero) per quattro motivi.

3. Entrambe le parti depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ.

 

Ragioni della decisione

 

I – Profili preliminari

1. Va, preliminarmente, ricordato il consolidato e
condiviso indirizzo di questa Corte secondo cui il principio dell’unicità del
processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta
avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono
essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di
ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso, fermo restando
che tale modalità non é essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si
converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a
sé stante, in ricorso incidentale (Cass. SU 20 ottobre 2017, n. 24876; Cass. 17
febbraio 2004, n. 3004; Cass. 13 dicembre 2011, n.
26723; Cass. 4 dicembre 2014, n. 25662).

Nella specie deve, pertanto, essere considerato
principale il ricorso del Ministero della Istruzione, dell’Università e della
Ricerca (d’ora in poi:MIUR) perché risulta notificato e depositato prima del
ricorso di I.V. e dei suoi litisconsorti.

Quest’ultimo ricorso deve essere, pertanto,
considerato incidentale.

II – Sintesi del ricorso del MIUR (principale!

2. Con l’unico motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e
falsa applicazione di numerose disposizioni di legge, rilevandosi l’erroneità
del disposto riconoscimento degli scatti di anzianità in favore anche degli
attuali ricorrenti incidentali, assunti con plurimi contratti a termine, perché
gli incarichi di supplenza non danno luogo ad un unico rapporto e quindi
mancano i presupposti perché sussista il diritto del supplente ad una
progressione economica nei sensi stabiliti nella sentenza impugnata.

IlI – Sintesi del ricorso di I.V. e altri
(incidentale)

3. Il presente ricorso è articolato in quattro
motivi.

3.1. Con il primo motivo si denunciano: a) omessa
pronuncia circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione fra le parti; b) violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della direttiva
1999/70/CE e degli artt. 1, 2 e 5
dell’allegato Accordo Quadro CES-UNICE-CEEP; c) violazione e falsa
applicazione di numerosi artt. del d.lgs. n. 368
del 2001, dell’art. 36
del d.lgs. n. 165 del 2001, anche in relazione alla citata direttiva, degli
artt. 3, 33,
quarto comma, 34 Cost.

Si sottolinea l’erroneità dell’affermazione della
Corte d’appello secondo cui non avrebbe carattere decisivo stabilire se
l’apposizione del termine ai contratti di cui si discute sia o meno legittima,
rilevandosi che il giudice nazionale è tenuto a garantire la piena efficacia
del diritto UE.

Si ribadiscono poi le altre richieste precisandosi
che il quadro normativo interno non risulta rispettoso della normativa
comunitaria come interpretata dalla CGUE e che comunque i contratti stipulati
dagli attuali ricorrenti incidentali sono tutti illegittimi perché carenti
delle “ragioni obiettive” richieste dall’art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001
e privi di temporaneità e urgenza.

Infine si osserva che la Corte d’appello non si è
pronunciata in modo diretto sulla richiesta di accertamento dell’illegittimità
di apposizione dei termini e della conseguente conversione, avendo respinto la
domanda in modo indiretto e poco chiaro.

3.2. Con il secondo motivo si denuncia omessa
pronuncia circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione fra le parti, in relazione all’applicazione del termine
quinquennale di prescrizione e della data di decorrenza della stessa in
riferimento al riconoscimento del diritto dei ricorrenti ad ottenere le
differenze retributive derivanti dall’applicazione degli aumenti collegati
all’anzianità di servizio.

Si rileva che il giudice di primo grado aveva
accolto la domanda sul punto riconoscendo le differenze retributive con
riguardo alle voci corrisposte ai colleghi a tempo indeterminato, consistenti o
meno in aumenti di anzianità o scatti biennali, ma con decorrenza dalla data di
costituzione in giudizio dell’Amministrazione o dalla data della prima udienza
del giudizio, in applicazione della prescrizione quinquennale.

La Corte d’appello non si è pronunciata in ordine
all’impugnazione della sentenza di primo grado sul punto, che era stata
sostenuta per molteplici ragioni: a) erronea applicazione della prescrizione
quinquennale in quanto si discute di un illecito contrattuale del datore di
lavoro (lesione del principio di non discriminazione); b) comunque decorrenza
del termine dalla data dell’avvenuta notifica del ricorso, che è il momento in
cui l’Amministrazione è venuta a conoscenza delle domande dei ricorrenti.

3.3. Con il terzo motivo si denunciano: a)
violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del d.lgs. n. 368 del 2001,
della Clausola 4 dell’Allegato alla
direttiva 1999/70/CE, dell’art. 4 della legge
n. 124 del 1999; b) omessa pronuncia circa un fatto decisivo per il
giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, con riguardo alle
retribuzioni non corrisposte nei mesi estivi non lavorati, nonché alla tredicesima
mensilità e al trattamento di fine rapporto.

La Corte d’appello si è limitata a riconoscere gli
scatti di anzianità ma ha respinto tutte le altre domande, in particolare
quelle riferite ai periodi non lavorati.

3.4. Con il quarto motivo si denuncia omessa
pronuncia circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione fra le parti, sul diritto al risarcimento del danno da abusiva
reiterazione dei contratti a tempo determinato.

La Corte d’appello non ha esaminato la censura
proposta al riguardo contro la sentenza di primo grado.

IV – Esame delle censure

3. L’esame delle censure porta all’accoglimento di
entrambi i ricorsi per le ragioni e nei limiti di seguito esposti.

Ricorso principale

4. Il ricorso principale deve essere accolto in
quanto il riconoscimento disposto dalla Corte d’appello degli scatti di
anzianità, come forma di risarcimento del danno, a fronte di una domanda che
non risulta specificamente diretta ad ottenere tale risultato, si pone in
contrasto con i consolidati orientamenti espressi da questa Corte in materia.

4.1. La suddetta questione è stata infatti più volte
esaminata da questa Corte e, a partire dalla sentenza
n. 22558 del 7 novembre 2016 (seguita da numerose successive pronunce
conformi, vedi, per tutte: Cass. n. 14675 del 2017, Cass. n. 15997 del 2017,
Cass. n. 26108 del 2017), è stato affermato che, in tema di retribuzione del
personale scolastico, l’art. 53 della legge 11 luglio 1980, n. 312, che
prevedeva scatti biennali di anzianità per il personale non di ruolo, non è
applicabile ai contratti a tempo determinato del personale del Comparto Scuola,
in quanto in base agli artt.
69, comma 1, e 71 del
d.lgs. n. 165 del 2001 nonché al CCNL 4 agosto
1995 e ai contratti collettivi successivi del Comparto Scuola, la
perdurante vigenza del suddetto art.
53 (nel solo comma 6) poteva riguardare solo gli insegnanti di religione
altre particolari categorie di docenti.

Nell’ambito del suddetto indirizzo si è precisato,
tra l’altro, che a far tempo dalla contrattualizzazione dell’impiego pubblico,
gli scatti biennali non hanno più fatto parte della retribuzione del personale
di ruolo della scuola, docente, tecnico ed amministrativo, richiamandosi la
sentenza della Corte costituzionale n. 146 del 20 giugno 2013, ove è stato
chiarito che la norma in questione è ormai riferibile solo a determinate
categorie di docenti, in quanto la possibilità per l’Amministrazione di
stipulare contratti a tempo indeterminato non di ruolo venuta meno con
l’approvazione della legge 20 maggio 1982, n. 270 e non poteva rivivere ad
opera della contrattazione collettiva.

Deve essere precisato che proprio in base alla
richiamata sentenza della Corte costituzionale (cui hanno fatto seguito, in
senso conforme, Corte cost., ordinanza n. 101 del 2014 e sentenza n. 192 del
2016) nella successiva giurisprudenza di questa Corte è stato stabilito che al
momento della contrattualizzazione del rapporto di impiego del personale della
scuola l’art. 53 della legge n. 312 del 1980 poteva dirsi vigente ed efficace
solo relativamente ai docenti di religione (il cui status mantiene indubbie
peculiarità anche dopo la legge n. 186 del 2003 istitutiva di un ruolo dei
docenti di religione cattolica) e ad alcune particolari categorie di insegnanti
che, sebbene non immessi nei ruoli, prestavano attività sulla base, non di
supplenze temporanee o annuali, bensì in forza di contratti a tempo
indeterminato previsti in via eccezionale dall’art. 15 della legge n. 270 del
1982 (è il caso dei docenti di educazione musicale il cui rapporto è stato
ritenuto a tempo indeterminato da Cass. n. 8060 dell’8 aprile 2011, che ha
ribadito in motivazione la non spettanza degli scatti biennali di cui all’art.
53 ai supplenti ed al personale “il cui rapporto di servizio trova
fondamento in incarichi attribuiti di volta in volta e si interrompe
nell’intervallo tra un incarico e l’altro”).

Alla base dei richiamati arresti vi è anche
l’affermazione secondo cui il riconoscimento degli scatti biennali finirebbe
per assicurare alle persone assunte a tempo determinato un trattamento
economico di miglior favore rispetto a quello riservato al personale della
scuola definitivamente immesso nei ruoli, senza che questo trattamento possa
certamente trovare giustificazione nella clausola 4 dell’Accordo quadro sul
rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE.

È stato anche precisato che la suddetta la clausola
4, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio
maturata al personale del Comparto Scuola assunto con contratti a termine, ai
fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i
dipendenti a tempo indeterminato dai CCNL succedutisi nel tempo e questo
comporta la disapplicazione delle disposizioni dei pertinenti CCNL che,
prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione
degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto
per i dipendenti a tempo indeterminato.

Nella specie, se è indubbio che la Corte d’appello
abbia – in contrasto con il suddetto indirizzo – riconosciuto ai ricorrenti gli
scatti biennali di anzianità di cui all’art. 53 della legge n. 312 del 1980, va
anche aggiunto che dalla lettura della sentenza impugnata e degli atti di causa
non risulta con certezza che non sia stata proposta, magari in via subordinata,
la diversa e autonoma domanda vertente sul riconoscimento della progressione
stipendiale per effetto del riconoscimento dell’anzianità di servizio,
questione che, come si è detto, nella medesima sentenza
n. 22558 del 7 novembre 2016 (e nelle altre conformi pronunce successive) è
stata risolta in senso favorevole per gli interessati, nei suddetti termini.

4.2. Pertanto, il ricorso principale deve essere
accolto in applicazione del seguenti principi di diritto già affermati da
questa Corte in analoghe fattispecie (vedi, per tutte: Cass. 22 novembre 2019, n. 30573; Cass. 28
novembre 2019, n. 31149):

a) “in tema di retribuzione del personale
scolastico assunto con reiterati contratti a termine, a seguito della
contrattualizzazione del lavoro pubblico, gli scatti biennali di anzianità
previsti dall’art. 53 della legge n. 312 del 1980 possono essere concessi solo
a determinate categorie di docenti la cui situazione è del tutto peculiare
(vedi: sentenza della Corte costituzionale n. 146 del 20 giugno 2013), mentre
in base alla clausola 4 dell’accordo
quadro, allegato alla direttiva 99/70/CE del 28 giugno 1999, di diretta
applicazione, anche ai dipendenti assunti con reiterati contratti a termine va
riconosciuta la progressione stipendiale derivante dall’anzianità di servizio
nella stessa misura prevista per i dipendenti a tempo indeterminato. Per
distinguere correttamente le suddette due ipotesi è essenziale stabilire con
precisione – al di là delle espressioni letterali usate – quale sia l’oggetto
della domanda azionata che è da identificare secondo il criterio del c.d.
petitum sostanziale”;

b) “in tema di riconoscimento dell’anzianità di
servizio dei docenti a tempo determinato poi definitivamente immessi nei ruoli
dell’amministrazione scolastica, l’art. 485 del d.lgs. n. 297 del
1994 deve essere disapplicato, in quanto si pone in contrasto con la clausola 4 dell’Accordo quadro allegato
alla direttiva 1999/70/CE, nei casi in cui l’anzianità risultante
dall’applicazione dei criteri dallo stesso indicati, unitamente a quello
fissato dall’art. 489 dello
stesso decreto, come integrato dall’art. 11, comma 14, della I. n. 124
del 1999, risulti essere inferiore a quella riconoscibile al docente
comparabile assunto “ab origine” a tempo indeterminato; il giudice
del merito, per accertare la sussistenza di tale discriminazione, dovrà
comparare il trattamento riservato all’assunto a tempo determinato poi immesso
in ruolo, con quello del docente ab origine a tempo indeterminato, senza
valorizzare, pertanto, le interruzioni fra un rapporto e l’altro, né applicare
la regola dell’equivalenza fissata dal richiamato art. 489, e, in caso di
disapplicazione, computare l’anzianità da riconoscere ad ogni effetto al
docente assunto a tempo determinato, poi immesso in ruolo, sulla base dei
medesimi criteri che valgono per l’assunto a tempo indeterminato”.

4.3. Deve, peraltro, essere altresì considerato che
fra gli attuali ricorrenti è compresa anche S.G. che nel ricorso è qualificata
come docente di religione cattolica nella scuola primaria, per la quale quindi
è perdurante la vigenza dell’art. 53, comma 6, cit.

4.4. Gli stessi principi valgono per il personale
ATA (amministrativo, tecnico, ausiliario) della scuola – al quale, dal presente
ricorso, risultano appartenere, tra gli originari ricorrenti per cassazione,
S.S. ed E.F. – le cui regole di progressione di carriera sono analoghe a quelle
proprie dei docenti.

Ricorso incidentale

5. I motivi del ricorso incidentale, nel loro
complesso, devono essere accolti per il profilo di censura della sostanziale
assenza e, quindi, apparenza della motivazione in ordine alle questioni che
formano oggetto dei motivi.

5.1. Va precisato che tale profilo di censura si può
considerare presente in tutti i motivi essendo agevolmente desumibile dalle
relative argomentazioni giuridiche ed in fatto, senza che vi osti la
configurazione formale delle rubriche dei motivi stessi, la quale è priva di
contenuto vincolante, perché è soltanto l’esposizione delle ragioni di diritto
della impugnazione l’elemento che chiarisce e qualifica, sotto il profilo
giuridico, il contenuto delle censure (vedi, per tutte: Cass. SU 24 luglio
2013, n. 17931; Cass. 20 febbraio 2014, n. 4036; Cass. 7 novembre 2017, n.
26310).

6. In particolare, il suddetto vizio si riscontra
con riguardo a tutte le questioni che sono oggetto di contestazione da parte
dei ricorrenti, già incluse nel thema decidendum – e che oggi vanno esaminate
alla luce della intervenuta stabilizzazione degli interessati, come riferita
dal MIUR – visto che l’unica statuizione pertinente, chiara e motivata
(ancorché erronea per quanto si è detto) contenuta nella sentenza impugnata è
quella relativa al riconoscimento generalizzato degli scatti di anzianità, come
misura risarcitoria. Mentre per il rigetto di tutte le altre domande, la
motivazione della sentenza risulta del tutto inidonea ad esplicitare le ragioni
logico-giuridiche poste a base della relativa decisione, in quanto essa si
risolve in una generica critica della pratica dell’assunzione a termine nella
scuola nonché della relativa legislazione che la consente, senza tuttavia
esaminare le plurime domande proposte dagli interessati e spiegare le ragioni
della relativa decisione di rigetto.

6.1. Deve essere ricordato al riguardo che, per
costante giurisprudenza di questa Corte – pur dopo la modifica dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. ad
opera dell’art. 45, comma 17,
della legge 18 giugno 2009, n. 69, che ha portato alla sostituzione della
“concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto
e in diritto della decisione” con la “concisa esposizione delle
ragioni di fatto e di diritto della decisione” – è pacifico che un
elemento indispensabile della sentenza (o di altro provvedimento decisorio come
l’attuale decreto) – nel suo complesso e con riguardo alle singole decisioni
ivi assunte – sia la definizione del fatto da cui nasce il diritto preteso, che
va comunque narrato, non in termini prolissi, ma nei suoi elementi rilevanti
per la decisione, quali risultanti al termine dell’istruttoria, considerato che
lo stesso legislatore, nel modificare l’art. 132
cit., ha espressamente stabilito un collegamento di tipo logico e funzionale
tra l’indicazione dei fatti di causa e le ragioni poste dal giudice a fondamento
della decisione (vedi per tutte: Cass. 11 novembre 2010, n. 22845; Cass. 10 dicembre 2015, n. 24940).

Con indirizzi altrettanto fermi la giurisprudenza di
questa Corte ha precisato che, in tema di contenuto della sentenza (o del
provvedimento di carattere decisorio), la concisa esposizione dei fatti
rilevanti della causa non costituisce un elemento meramente formale, bensì un
requisito da apprezzare esclusivamente in funzione dell’intelligibilità della
decisione e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, la cui
assenza configura motivo di nullità della sentenza quando non sia possibile
individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione
(Cass. 20 gennaio 2015, n. 920; Cass. 22 giugno 2015, n. 12864).

6.2. La sentenza è nulla ai sensi dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., se
manchi del tutto l’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda
ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non
idonee a rivelare la ratio decidendi (Cass. 8 gennaio 2009, n. 161; Cass. 15
marzo 2002, n. 3828).

È stato altresì affermato che il canone della
chiarezza e della sinteticità espositiva degli atti processuali (di parte e di
ufficio) è uno dei pilastri su cui si basa il giusto processo, ai sensi dell’art. 111, secondo comma, Cost. e in coerenza con
l’art. 6 CEDU (arg. ex Cass. 4
luglio 2012, n. 11199; Cass. 30 aprile 2014, n. 9488).

6.3. Infine, secondo la consolidata giurisprudenza
di questa Corte, si è in presenza di una «motivazione apparente» allorché la
motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente,
come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende
tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di
argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito
per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun
effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del
giudice. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella
perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero – e purché il vizio risulti
dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le
risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di
legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto
tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (vedi: Cass.
SU 5 agosto 2016 n. 16599; Cass. sez. un. 7 aprile
2014, n. 8053 e ancora, ex plurimis, Cass. civ. n. 4891 del 2000; n. 1756 e
n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n.
871 e n. 20112 del 2009).

7. La sentenza qui impugnata risulta priva non solo
di una specifica descrizione delle varie domande proposte ma anche di una
giustificazione dell’autonoma valutazione effettuata in sede giudiziaria in
ordine alle domande stesse.

8. Ciò si traduce, in primo luogo, nella carenza
della concisa definizione del fatto da cui nasce il diritto preteso – che, come
si è detto, è un elemento che non può mancare in una sentenza così come in generale
in un provvedimento decisorio essendo essenziale per la comprensione del
ragionamento logico-giuridico che ha portato alla decisione – la cui assenza
già rende, di per sé, viziato il provvedimento.

9. Ma a ciò va aggiunto che la – pur graficamente esistente
– motivazione della sentenza (lunga 6 pagine) risulta poco appagante in quanto
è limitata ad approfondire una serie di argomenti metagiuridici sul sistema
scolastico nazionale e sulla sua organizzazione senza alcun esame delle domande
sub judice e quindi senza alcuna precisazione delle ragioni per le quali nella
specie si è giunti alla conclusione del loro rigetto.

9.1. Pertanto, la motivazione stessa risulta di
fatto omessa, visto che, per un costante e condiviso indirizzo di questa Corte,
non adempie il dovere di motivazione il giudice che non formuli alcuna
specifica valutazione sui fatti rilevanti di causa e quindi non ricostruisca la
fattispecie concreta ai fini della sussunzione in quella astratta. Infatti, in
un caso del genere la motivazione risulta meramente assertiva e quindi viziata
per apparenza (vedi per tutte: Cass. 30 maggio 2019, n. 14762).

9.2. Nella specie tale difetto è ancora più evidente
per il fatto che a supporto della decisione assunta manca altresì ogni
riferimento a “principi giurisprudenziali asseritamene acquisiti”
affermati dalla copiosa giurisprudenza di questa Corte in materia.

10. Per le indicate ragioni la motivazione contenuta
nella sentenza impugnata risulta nulla perché priva sia della concisa ma chiara
ed esauriente esposizione sia delle ragioni di fatto della decisione
(descrizione sintetica della fattispecie esaminata) sia delle ragioni di
diritto della decisione stessa, cioè di una esposizione logica e adeguata al
caso di specie che consenta di cogliere l’iter logico-giuridico seguito e
comprendere se le tesi prospettate dalle parti siano state tenute presenti nel
loro complesso.

11. Si tratta, quindi, di una motivazione che
corrisponde perfettamente alla suindicata nozione di “motivazione
apparente”.

V – Conclusioni

12. In sintesi, sia il ricorso principale sia il
ricorso incidentale devono essere accolti, nei suindicati limiti.

Di conseguenza, la sentenza impugnata deve essere
cassata con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione,
alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, che si atterrà,
nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su
affermati.

 

P.Q.M.

 

Accoglie entrambi i ricorsi, nei limiti di cui in
motivazione.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le
spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Ancona, in
diversa composizione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 giugno 2020, n. 10411
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: