Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 giugno 2020, n. 11381

Lavoro, Procedimento disciplinare, Reato di concorso in
falso ideologico, Prescrizione, Ricostituzione della posizione giuridica ed
economica

 

Rilevato che

 

1. la Corte di appello di Napoli confermava la
decisione del locale Tribunale che aveva accolto la domanda proposta nei
confronti dell’Agenzia delle Entrate da A.M.C. intesa ad ottenere la
‘restitutio in integrum’ per il periodo di sospensione cautelare (quattro anni
e sei mesi) eccedente la misura della sospensione (sei mesi) disposta a seguito
di procedimento disciplinare.

2. A.M.C. era stata sospesa una prima volta in data
12/5/1998 in conseguenza del suo rinvio a giudizio decretato dal G.I.P. del
Tribunale di Napoli il 5/2/1997 ma tale provvedimento era stato definitivamente
annullato dal T.A.R. Campania con sentenza n. 143/2001;

la predetta, quindi, era stata nuovamente sospesa
cautelarmente ai sensi dell’art.
27, comma 2, del c.c.n.I. Comparto Ministeri del 1995 a partire dal
27/7/2001 ed in relazione ad altro procedimento penale, con attribuzione in
favore della stessa di un’indennità del 50% della retribuzione fissa mensile;

decorsi i termini di cui all’art. 70, comma 10, del c.c.n.I.
delle Agenzie Fiscali, la C. era stata riammessa in servizio in data 27/7/2006;

a seguito del deposito della sentenza penale della
Corte di Cassazione (di conferma della condanna per il reato di concorso in
falso ideologico – artt. 110, 81 cpv. 479 cod. pen.- e della pronuncia di non doversi
procedere per intervenuta prescrizione per gli altri reati: tentata truffa ai
danni dello Stato e corruzione) l’Agenzia aveva avviato nei confronti della
predetta il procedimento disciplinare che si era concluso con l’irrogazione del
provvedimento disciplinare della sospensione di sei mesi dal servizio;

la C. aveva quindi agito per ottenere la ‘restitutio
in integrum’ per tutto il periodo di cui alla seconda sospensione cautelare per
la parte eccedente la sospensione di sei mesi irrogata in sede disciplinare ed
in subordine per ottenere il risarcimento del danno subito per non essere stata
posta in condizione di espletare la propria attività lavorativa;

3. il Tribunale riteneva sussistente il diritto
della ricorrente alla ricostituzione della posizione giuridica ed economica per
il periodo dal 27/7/2001 al 27/7/2006, detratto da questo il periodo di anni
uno e mesi due;

4. la Corte territoriale condivideva il decisum di
prime cure respingendo le doglianze dell’Agenzia secondo la quale la pronuncia
di non doversi procedere per intervenuta prescrizione avesse fatto venir meno
il sinallagma contrattuale non determinando, perciò, alcuna ‘restitutio in
integrum’ e la sospensione cautelare per tutto il periodo di decorrenza della
stessa fosse giustificata proprio dalla mancanza di una assoluzione con formula
piena, significativa del permanere delle esigenze cautelari, stante anche la
pendenza di altri procedimenti penali a carico della C.;

ritenevano i giudici di appello che anche nel caso
di sentenza di non doversi procedere per prescrizione andasse riavviato il
procedimento disciplinare con la conseguenza che fosse sussistente il diritto
al conguaglio del dipendente nell’ipotesi che l’Amministrazione avesse ritenuto
di infliggere una sanzione diversa dal licenziamento;

5. per la cassazione di tale sentenza l’Agenzia
delle Entrate ha proposto ricorso affidato a due motivi;

6. A.M.C. ha resistito con controricorso;

7. non sono state depositate memorie;

 

Rilevato che

 

1. con il primo motivo l’Agenzia delle Entrate
denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 70, commi 8, 9 e 10 del
c.c.n.I. 28.5.2008 (ndr art.
70, commi 8, 9 e 10 del c.c.n.I. 28.5.2004) Comparto Agenzie Fiscali come
modificato dall’art. 5 del
c.c.n.I. Comparto Agenzie fiscali 2006-2009 (art.
360, n. 3, cod. proc. civ.);

richiama la sentenza di questa Corte n. 15941 del 25 giugno 2013 e la regola da
questa posta (disattesa dalla Corte territoriale) secondo la quale a norma
dell’art. 27, comma 7, c.c.n.I.
del 1995 cit., quanto corrisposto a titolo di indennità al pubblico
impiegato nel periodo di sospensione cautelare dal servizio dev’essere
conguagliato con quanto dovuto se il lavoratore fosse rimasto in servizio, solo
in caso di proscioglimento con formula piena e perciò non necessariamente in
caso di proscioglimento per prescrizione;

sempre sulla base di tale precedente di legittimità
sostiene che qualora sia stata inflitta la sanzione disciplinare della
sospensione di durata inferiore alla sospensione cautelare sofferta, il mancato
conguaglio può essere discrezionalmente disposto dall’Amministrazione, con
motivazione riferita alla gravità dell’illecito nei suoi elementi oggetti e
soggettivi;

assume che non possa essere imputata
all’Amministrazione la mancata esecuzione della prestazione lavorativa stante
la complessiva valutazione di gravità del comportamento della C. e che, nella
specie, l’interruzione del sinallagma sarebbe imputabile all’illiceità della
condotta del dipendente, sanzionata in sede penale;

2. Il motivo è infondato;

2.1. all’orientamento di legittimità citato dalla
ricorrente se ne è contrapposto un altro (poi consolidatosi nel tempo)
evidenziandosi che la mancanza di una espressa previsione del diritto al
conguaglio, anche nella ipotesi di condanna disciplinare ad una sanzione
diversa dal licenziamento, non è sufficiente per escludere il diritto
dell’impiegato a ottenere il pagamento delle somme che avrebbe percepito ove
fosse rimasto in servizio, giacché detto diritto, poi espressamente
riconosciuto dall’art. 15 del
c.c.n.I. 12.6.2003 per il Comparto Ministeri (coincidente con la analoga
previsione contenuta nell’art.
70, comma 9, del c.c.n.I. 28.5.2004 per il Comparto Agenzie Fiscali),
discende dai principi generali e dalla natura stessa della sospensione
cautelare, che rendono ingiustificata la perdita della retribuzione dovuta ad
una iniziativa unilaterale del datore di lavoro (Cass. 1° marzo 2013, n. 5147; Cass. 22 maggio 2014, n. 11391 che ha
interpretato, valorizzando i medesimi principi, l’analoga disciplina dettata
dall’art. 32 del c.c.n.I. 1.9.1995 per il Comparto sanità; Cass. 25 giugno 2015, n. 13160 che, sempre in
relazione all’art. 27 del c.c.n.I.
1995 per il Comparto ministeri, ha escluso il diritto al conguaglio nel
solo caso in cui il procedimento disciplinare si concluda con il licenziamento
dell’impiegato);

a detto ultimo orientamento (ripreso anche dalla più
recente Cass. 11 aprile 2017, n. 9304) il Collegio intende dare continuità,
poiché la interpretazione della normativa contrattuale non può prescindere
dalla natura della sospensione che, in quanto misura cautelare e interinale,
«ha il carattere della provvisorietà e della rivedibilità, nel senso che solo
al termine e secondo l’esito del procedimento disciplinare si potrà stabilire
se la sospensione preventiva applicata resti giustificata e debba sfociare
nella destituzione o nella retrocessione, ovvero debba venire caducata a tutti
gli effetti» (v. Corte Cost. 6 febbraio 1973, n. 168);

2.2. la sospensione facoltativa, infatti, è solo
finalizzata a impedire che, in pendenza di procedimento penale, la permanenza
in servizio del dipendente inquisito possa pregiudicare l’immagine e il
prestigio dell’Amministrazione di appartenenza, la quale, quindi, è tenuta a
valutare se nel caso concreto la gravità delle condotte per le quali si procede
giustifichi l’immediato allontanamento dell’impiegato;

ove l’Amministrazione, valutati i contrapposti
interessi in gioco, opti per la sospensione, in difetto di una diversa espressa
previsione di legge o di contratto, opera il principio generale secondo cui
«quando la mancata prestazione dipenda dall’iniziativa del datore di lavoro
grava su quest’ultimo soggetto l’alea conseguente all’accertamento della
ragione che ha giustificato la sospensione» (v. Corte Cost. n. 168/1973 cit.);

la verifica della effettiva sussistenza di ragioni
idonee a giustificare l’immediato allontanamento è indissolubilmente legata
all’esito del procedimento disciplinare, perché solo qualora quest’ultimo si
concluda con una sanzione di carattere espulsivo potrà dirsi giustificata la
scelta del datore di lavoro di sospendere il rapporto, in attesa
dell’accertamento della responsabilità penale e disciplinare;

viceversa difetta la necessaria strumentalizzazione
della misura cautelare rispetto alla sanzione definitiva non solo nei casi di
proscioglimento dell’impiegato ma anche ogniqualvolta l’addebito disciplinare,
pur se sussistente, venga ritenuto di gravità tale da potere essere sanzionato
con una misura conservativa, posto che in detta ipotesi finisce per essere
priva di fondamento la decurtazione della retribuzione subita dal dipendente
per un fatto unilaterale del datore di lavoro;

2.3. la circostanza che la contrattazione collettiva
non abbia espressamente disciplinato la fattispecie che qui viene in rilievo e,
quindi, non abbia previsto il diritto al conguaglio, non è sufficiente a far
ritenere che si sia voluto derogare ai principi generali sopra sinteticamente
riportati, posto che l’attribuzione alla sospensione di una natura non
meramente cautelare ma anche sanzionatoria, avrebbe richiesto una espressa
qualificazione in tal senso;

3. con il secondo motivo l’Agenzia delle Entrate
denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 70, commi 8, 9 e 10 del
c.c.n.I. 28.5.2008 (ndr art.
70, commi 8, 9 e 10 del c.c.n.I. 28.5.2004) Comparto Agenzie Fiscali come
modificato dall’art. 5 del
c.c.n.I. Comparto Agenzie fiscali 2006-2009 (art.
360, n. 3, cod. proc. civ.);

censura la sentenza impugnata per la quantificazione
della ‘restitutio in integrum’ sostenendo la non correttezza della decurtazione
operata dal Tribunale e deducendo che dal periodo complessivo occorresse
detrarre un anno e sei mesi di cui alla pronuncia di condanna oltre ai sei mesi
di cui alla sospensione disciplinare e ad altri dieci giorni di cui all’atto
direttoriale del 2/8/2005;

4. il motivo è inammissibile;

4.1. la ricorrente non ha trascritto alcuno degli
atti cui fa riferimento (e così, in particolare, la sentenza di primo grado,
quanto meno nella parte relativa alla quantificazione dell’operata
decurtazione, l’atto di appello, nella parte relativa ai rilievi eventualmente
mossi in sede di gravame rispetto a tale decurtazione, la sentenza penale
determinativa della condanna, l’atto direttoriale applicativo dell’ulteriore
sospensione di dieci giorni);

4.2. si ricorda che il ricorso per cassazione deve
essere redatto nel rispetto dei requisiti imposti, a pena di inammissibilità,
dall’art. 366 cod. proc. civ. che al comma 1,
n. 6, richiede “la specifica indicazione degli atti processuali, dei
documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si
fonda”;

è, quindi, necessario che il ricorrente, oltre a
riportare nel ricorso il contenuto del documento, quanto meno nelle parti
essenziali, specifichi in quale fase processuale è avvenuta la produzione ed in
quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione;

va precisato, al riguardo, che il requisito di cui
al richiamato art. 366 n. 6 cod. proc. civ. è
imprescindibile ed autonomo e non può essere confuso con quello di
procedibilità (egualmente richiesto) previsto dall’art.
369, n. 4, cod. proc. civ. in quanto il primo risponde all’esigenza di
fornire al giudice di legittimità tutti gli elementi necessari per avere la
completa cognizione della controversia, senza necessità di accedere a fonti
esterne, mentre la produzione (laddove effettuata) è finalizzata a permettere
l’agevole reperibilità del documento la cui rilevanza è invocata ai fini
dell’accoglimento del ricorso (v. fra le più recenti, sulla non
sovrapponibilità dei due requisiti, Cass. 28 settembre 2016, n. 19048);

5. conclusivamente il ricorso deve essere respinto;

6. la regolamentazione delle spese segue la
soccombenza;

7. non può trovare applicazione nei confronti
dell’Amministrazione dello Stato l’art.
13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto
dall’art. 1, comma 17, legge 24
dicembre 2012, n. 228, atteso che la stessa, mediante il meccanismo della
prenotazione a debito, è esentata dal pagamento delle imposte e tasse che
gravano sul processo (cfr. Cass. 29 gennaio 2016, n. 1778).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al
pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio
di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per
compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura
del 15% da corrispondersi all’avv. A.I., antistatario.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della non sussistenza dei presupposti per il
versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 giugno 2020, n. 11381
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