Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 giugno 2020, n. 11547

Lavoro, Accertamento dell’avvenuto svolgimento di mansioni di
corrispondente estero, Compenso

 

Rilevato che

 

1. La Corte di appello di Roma ha confermato la
sentenza del Tribunale della stessa città che, in parziale accoglimento del
ricorso proposto da P.P., aveva accertato che nel periodo dal 1.12.1991 al
31.5.2008 tra il ricorrente e la R. S.p.A. era intercorso un rapporto
ascrivibile a quello di collaboratore ordinario, ai sensi dell’art. 1 del c.c.n.I. con diritto
del P. a percepire il compenso spettante al capo servizio e con condanna della
società al pagamento della somma di € 587.556,76 a titolo di differenze
retributive maturate ivi compresa l’indennità di residenza nei limiti della
maturata prescrizione.

2. Il giudice di appello, al pari di quello di primo
grado, ha ritenuto che sussistesse l’interesse del lavoratore all’accertamento
in fatto dell’avvenuto svolgimento di mansioni di corrispondente estero.
Quindi, in esito ad un’analisi delle declaratorie collettive e delle prove
acquisite al giudizio, ha ritenuto provato, perché non contestato
specificatamente, lo stabile inserimento del P. nell’ufficio R. di Parigi – nel
quale era presente giornalmente per otto ore, con una postazione lavorativa
dotata di telefono computer e posta elettronica – dove si era occupato di
materie diverse rispetto a quelle elencate nella lettera di assunzione,
svolgendo oltre 16 servizi e sostituendo il giornalista M. Inoltre ha accertato
che dalla documentazione depositata era emerso lo svolgimento di non meno di
150 ore mensili di lavoro a fronte delle 36 ore settimanali convenute e la
qualifica di corrispondente R., quest’ultima confermata dalle dichiarazioni
rese dai testi escussi. Ha poi sottolineato che la conciliazione intervenuta
tra le parti nel 1995 non poteva riguardare attività svolte successivamente al
31.5.2002. Quanto al luogo di assunzione ha evidenziato che dalla
documentazione prodotta risultava che il P. era stato assunto con contratto
sottoscritto a Roma il 29.11.1991 e dunque ne risultava documentalmente
smentita l’assunzione direttamente a Parigi.

3. Per la cassazione della sentenza propone ricorso
la R. S.p.A. affidato a due motivi ai quali resiste con controricorso P.P..
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380 bis.1 cod. proc.civ.

 

Considerato che

 

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la
violazione e falsa applicazione dell’art. 100 cod.
proc. civ. in relazione all’art. 360 primo
comma n. 3 cod. proc. civ.

4.1. Sostiene la ricorrente che la Corte ha
erroneamente ritenuto sussistente un interesse qualificato del P. ad agire in
giudizio sebbene, in adesione alla ricostruzione operata dal giudice di primo
grado, abbia escluso l’esistenza della qualifica di corrispondente dall’estero
da rivendicare in giudizio. La circostanza che il lavoratore aveva agito per
ottenere un trattamento economico parametrato a quello previsto dal contratto
collettivo non era, ad avviso della ricorrente, sufficiente per legittimare
l’azione proposta.

5. Con il secondo motivo di ricorso, poi, è
denunciata l’insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza circa
un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art.
360 primo comma n. 5 cod. proc. civ.

5.1. Osserva la ricorrente che contraddittoriamente
la sentenza assevera l’insussistenza della qualifica di corrispondente estero
e, per attribuire il trattamento economico rivendicato, sussume le mansioni
svolte in quelle di capo servizio.

5.2. Rileva che, anche a ritenere che le mansioni
fossero quelle tipiche del corrispondente estero non sarebbe sostenibile
l’assunto che tutti i componenti di un ufficio estero sono qualificabili
corrispondenti all’estero e, in base all’equiparazione adottata, tutti capi
servizio.

6. Con il terzo motivo la società ricorrente deduce
che erroneamente la sentenza ha ritenuto che, in quanto assunto a Roma, il P.
avrebbe avuto diritto a percepire l’indennità di residenza estera ai sensi
dell’art. 22 del c.c.n.I.g.

6.1. Osserva infatti che la causa dell’indennità è
collegata alla temporaneità dell’incarico non ravvisabile quando, come nella
specie, il giornalista risiedeva da sempre a Parigi ed il suo compenso era
stato fissato tenendo conto di tale circostanza e senza vincolo di esclusività
previsto per gli altri giornalisti.

7. Il ricorso non può essere accolto.

7.1. Le censure che possono essere esaminate
congiuntamente in quanto investono per vari aspetti la decisione della Corte di
merito di confermare il diritto del P. ad essere pagato con una retribuzione
parametrata a quella del caposervizio ed a percepire l’indennità di residenza
estera, sono per taluni aspetti infondate e per altri inammissibili.

7.2. Questa Corte, nell’esaminare un caso per molti
aspetti sovrapponibile a quello oggi sottoposto all’attenzione del Collegio, ha
ritenuto che al redattore che svolga la sua attività presso una determinata
sede estera spetti il trattamento economico di capo servizio ponendo in rilievo
che non è affatto necessario che il corrispondente da una delle maggiori
capitali, e nel caso di specie da Parigi, debba essere isolato per fruire
dell’equiparazione al capo servizio atteso che la ragione del trattamento
privilegiato così stabilito per tali corrispondenti (qualora operanti in uffici
articolati, data l’importanza della sede) è ravvisabile “nell’esperienza
professionale occorrente e nella natura della prestazione svolta preso sedi di
corrispondenza di particolare rilievo (principali capitali estere o grandi
metropoli) che rende congrua l’equiparazione quoad mercedem al capo servizio,
senza l’automatico conferimento della relativa qualifica” (cfr. Cass. 27/11/2018 n. 30684). Condizione per
l’attribuzione del trattamento economico di capo servizio è che il redattore
corrispondente operi e sia residente presso una delle nelle seguenti città:
Parigi, Londra, Bruxelles, Washington, Mosca, Pechino, Tokyo, New York, Berlino
e Ginevra (cfr. art. 11 del
c.n.I.g) e tale condizione è pacificamente sussistente nella specie atteso
che, come risulta dalla sentenza impugnata, l’odierno controricorrente ha
svolto compiti di redattore presso la sede estera di Parigi dove era residente.

7.3. Tanto premesso non vi è dubbio che il P. avesse
un interesse qualificato ad agire in giudizio per conseguire le prestazioni
economiche ricollegabili all’attività svolta presso la sede R. di Parigi.

7.4. Quanto alla denunciata contraddittorietà ed
insufficienza della motivazione va rilevato che la censura, per come è
formulata, prima ancora che infondata, è inammissibile.

7.5. In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012,
conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012,
non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di
contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito
impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta
circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo
costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma
6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione
dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno
luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale
requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di
“motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile
contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od
incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può
essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia
formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una
diversa soluzione della controversia (cfr. tra le altre Cass. 12/10/2017 n.
23940 conf. a Sez. U. 07/04/2014 n. 8053).

7.5. Con riguardo poi alla lamentata erronea
attribuzione dell’indennità di residenza la censura, contenuta nel terzo motivo
di ricorso, non investe la statuizione della Corte territoriale che ha
accertato che il P. aveva diritto all’indennità intanto in quanto la sua
assunzione era avvenuta in Italia. Inoltre è inammissibile poiché si trascura
di riprodurre nel ricorso il contenuto della clausola collettiva che la
prevede, non si produce in allegato il contratto collettivo né si specifica
dove questo sia rinvenibile nel fascicolo processuale.

8. In conclusione, per le ragioni esposte, il
ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate in dispositivo, vanno poste
a carico della società soccombente. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato
d.P.R., se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità che si liquidano in € 6.000,00 per compensi
professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli
accessori dovuti per legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato
d.P.R., se dovuto.

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