Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 giugno 2020, n. 11701

Illegittimità del licenziamento disciplinare, Mancata
conciliazione dei mastri con gli estratti conto bancari, Reintegrazione del
dipendente, Giusta causa di licenziamento, quale clausola generale,
Molteplicità di elementi fattuali, la cui disapplicazione è deducibile in sede
di legittimità come violazione di legge, Combinazione e peso dei dati
fattuali, come definiti ed accertati dal giudice di merito, non devono
consentirne la riconduzione alla nozione legale

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza n. 1830/2018 la Corte di appello di
Roma, pronunziando in sede di reclamo, ha confermato la sentenza di primo grado
che aveva accertato la illegittimità del licenziamento disciplinare intimato ad
A.B. in data 16 dicembre 2014 e condannato la datrice di lavoro – Fondazione
Teatro dell’O. di Roma – alla reintegrazione del dipendente ai sensi dell’art. 18, comma 4, legge n. 300
del 1970 come novellato dalla legge n. 92 del
2012 ed al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata a dodici
mensilità della retribuzione globale di fatto.

1.1. Il giudice del reclamo, per quel che ancora
rileva, ha premesso che il licenziamento era stato intimato sulla base di
contestazione che addebitava al B., quale responsabile del Servizio Contabilità
e Bilancio della Fondazione, di avere, operando senza la necessaria diligenza,
portato nel bilancio preconsuntivo redatto nell’agosto 2014 come oneri
straordinari, per un importo di € 648,075,75, un rilevante numero di fatture
pervenute nel corso dell’anno 2014, prima ancora della chiusura del bilancio
2013, riferite a costi ordinari della produzione di competenza dell’esercizio
2013 in corso di chiusura ed, in alcuni casi, ad esercizi precedenti e di non
avere ancora effettuato la riconciliazione dei mastri accesi ai conti correnti
bancari con i relativi estratti conto,<< provocando un considerevole
danno economico alla Fondazione>>; ha quindi disatteso la eccezione della
Fondazione di inammissibilità del ricorso in opposizione e ritenuto la condotta
del dipendente non connotata da un livello di gravità ed importanza tali da
giustificare la sanzione espulsiva. In particolare ha osservato che la
contabilizzazione dei costi straordinari per i periodi pregressi, come rilevato
dal ctu della fase sommaria, non aveva inficiato la veridicità del bilancio
(considerando la valutazione di uno scostamento inferiore all’1% (0,84) per i
costi non contabilizzati sul totale dei costi 2013), che era totalmente mancata
la prova del considerevole danno economico per la Fondazione, che l’addebito
relativo alla mancata conciliazione dei mastri con gli estratti conto bancari
era stato sostanzialmente escluso dal ctu ed in conformità ritenuto
insussistente dalla sentenza impugnata con affermazione non specificamente
censurata dalla reclamante Fondazione.

1.2. Ha confermato l’applicabilità della tutela
reintegratoria, ai sensi del comma 4 dell’art. 18 della legge n. 300 del
1970 nel testo novellato dalla legge n. 92 del
2012, ravvisando nella concreta fattispecie il ricorrere di una ipotesi
sanzionata in via conservativa dal contratto collettivo o dal codice
disciplinare; ha ulteriormente osservato che alla luce di un’interpretazione
costituzionalmente orientata della novella del 2012 la tutela reale non
richiedeva anche che la norma collettiva prendesse in considerazione lo specifico
comportamento posto in essere dal dipendente, risultando applicabile anche
<<laddove dovesse esistere una ben precisa fattispecie disciplinare,
ancorché di carattere generale o “di chiusura”, nella quale il
comportamento contestato (obiettivamente esistente e, benché in misura minore
di quanto ritenuto dalla parte datoriale, disciplinarmente illecito) ben
potrebbe essere incasellato>>. Nel caso di specie, l’art. 33 c.c.n.I. non aveva
tipizzato alcun comportamento, neppure quello da sanzionare con il
licenziamento senza preavviso (lett. f), in quanto si era limitato a stabilire
che << il provvedimento di cui alla lettera f) si applica nei confronti
del lavoratore colpevole di mancanze relative a doveri anche non
particolarmente richiamati nel presente contratto che siano così gravi da non
consentire la prosecuzione neanche provvisoria del rapporto di lavoro>> e
che la punizione con sanzione conservativa trovava applicazione per
<<quelle mancanze le quali, anche in considerazione delle circostanze
speciali che le hanno accompagnate, non siano così gravi da rendere applicabile
una maggiore punizione … >>. In base a tali considerazioni, ritenuta la
condotta ascritta riconducibile ad ipotesi sanzionate in via conservativa dal
contratto collettivo, ha ritenuto doversi fare applicazione della tutela
reintegratoria (oltre quella indennitaria), in conformità della previsione di
cui al comma 4 dell’art. 18 legge
n. 300/1970 cit.

3. Per la cassazione della decisione ha proposto
ricorso la Fondazione Teatro dell’O. di Roma sulla base di tre motivi. La parte
intimata ha resistito con tempestivo controricorso.

4. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi
dell’art. 378 cod. proc. civ.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo parte ricorrente, deducendo
violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 51, legge n. 92 del
2012 e degli artt. 414 e 125 cod. proc. civ., censura la sentenza impugnata
per avere respinto la eccezione di inammissibilità del ricorso in opposizione.
Tale eccezione era stata fondata sulla carente allegazione delle necessarie
circostanze di fatto e degli elementi di diritto alla base dell’impugnativa di
licenziamento.

2. Con il secondo motivo, deducendo violazione e
falsa applicazione degli artt. 2119, 2104 e 2106 cod. civ.,
censura la sentenza impugnata per avere escluso la sussistenza della giusta
causa di licenziamento sul rilievo che la tardiva contabilizzazione delle
fatture relative a costi ordinari di competenza dell’anno 2013 (e anche di anni
precedenti) non aveva inficiato la complessiva veridicità del bilancio
preconsuntivo dell’anno 2014 e che non era stato provato il grave danno
economico sofferto dalla Fondazione. Sostiene che la circostanza della
sostanziale veridicità del bilancio, attenendo ad un profilo meramente formale,
non rientrava tra quelli (quali la posizione soggettiva delle parti, il grado
di affidamento esigibile in ragione delle mansioni espletate dal dipendente,
intensità dell’elemento soggettivo ecc. ) che il giudice era tenuto a prendere
in considerazione al fine della verifica di proporzionalità della sanzione;
osserva che l’assenza di danno patrimoniale risultava irrilevante laddove la
condotta del dipendente aveva determinato la lesione del vincolo fiduciario.

3. Con il terzo motivo, deducendo violazione e falsa
applicazione dell’art. 18,
comma 4, legge n. 300 del 1970 e dell’art. 33 c.c.n.I. per il personale
delle Fondazioni lirico-sinfoniche, censura la sentenza impugnata per
avere, in sintesi, riconosciuto la tutela ex art. 18 comma 4 cit., pur in
difetto di tipizzazione nelle previsioni collettive della condotta oggetto di
addebito.

4. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

La sentenza impugnata ha respinto la richiesta di
declaratoria di inammissibilità del ricorso in opposizione per difetto dei
requisiti prescritti dall’art. 414 cod. proc. civ.
osservando che tale richiesta, pur illustrata nel corpo del reclamo, non era
stata riprodotta nelle relative conclusioni dalle quali si evinceva che al
giudice del reclamo era stata formulata esclusivamente e specificamente una
domanda di decisione nel merito. Ha precisato che, in ogni caso, come chiarito
dal giudice di legittimità, la fase di opposizione ex art. 1, comma 51, legge n. 92 del 2012 non
rappresenta un giudizio impugnatorio ma una vera e propria fase a cognizione
piena del giudizio di primo grado, che con questo si completa; ciò rendeva
sufficiente l’individuazione degli elementi essenziali del ricorso, in fatto e
in diritto, attraverso l’esame complessivo dell’atto, anche alla luce della
documentazione allegata al ricorso e di contenuto dei mezzi istruttori
articolati; nel caso di specie nel ricorso in opposizione era riprodotto quasi
testualmente e comunque nei suoi elementi essenziali il contenuto del ricorso
della fase sommaria, con l’indicazione altresì della prova per testi articolata
e con allegata la relazione peritale di parte.

4.1. Le ragioni alla base del rigetto della
eccezione di inammissibilità del ricorso in opposizione non sono validamente
censurate dalla odierna ricorrente per la dirimente considerazione che, in
violazione del disposto dell’art. 366, comma 1, n.
6 cod. proc. civ., nel corpo del ricorso per cassazione non è trascritto il
contenuto del ricorso in opposizione, adempimento indispensabile al fine di
consentire al collegio la verifica, sulla base della sola lettura del ricorso
per cassazione, della fondatezza della censura articolata sia con riguardo alla
corretta interpretazione delle conclusioni spiegate dal reclamante sia con
riguardo alla conformità del ricorso in opposizione ai prescritti requisiti di
ammissibilità (Cass. 13/11/2018, n. 29093; Cass. 19/08/2015, n. 16900; Cass.
11/01/2016, n. 195; Cass. 12/12/2014 n. 26174; Cass. 24/10/2014 n. 22607, Cass.
Sez. Un. 25/03/2010, n. 7161).

5. Il secondo motivo di ricorso è infondato.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che la
giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione
degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare,
dell’elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità
dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e
soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e
all’intensità del profilo intenzionale, dall’altro, la proporzionalità fra tali
fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell’elemento
fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale,
in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare; quale evento
“che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”,
la giusta causa di licenziamento integra una clausola generale, che richiede di
essere concretizzata dall’interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni
relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla
norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui
disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge,
mentre l’accertamento della ricorrenza concreta degli elementi del parametro
normativo si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice
di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici (Cass. 26/04/2012 n. 6498; Cass. 02/03/2011 n.
5095).

5.1. L’attività di integrazione del precetto
normativo di cui all’art. 2119 cod. civ. (norma
c.d. elastica), compiuta dal giudice di merito – ai fini della individuazione
della giusta causa di licenziamento – mediante riferimento alla “coscienza
generale”, è sindacabile in cassazione a condizione che la contestazione
del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura
generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica
denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli
“standards”, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella
realtà sociale (Cass. 26/03/2018, n 7426; Cass. 04/05/2005 n. 9266). In questa prospettiva è
stato puntualizzato che la giusta causa di licenziamento, quale clausola
generale, viene integrata valutando una molteplicità di elementi fattuali, la
cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di
legge, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod.
proc. civ., solo ove si denunci che la combinazione ed il peso dei dati
fattuali, come definiti ed accertati dal giudice di merito, non ne consentono
la riconduzione alla nozione legale; al contrario, l’omesso esame di un
parametro, tra quelli individuati dalla giurisprudenza, avente valore decisivo,
nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto ad un diverso esito della
controversia, va denunciato come vizio di cui all’art.
360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., ferma, in tal caso, la possibilità di
argomentare successivamente che tale vizio avrebbe cagionato altresì un errore
di sussunzione per falsa applicazione di legge. (Cass.
23/09/2016, n. 18715).

5.2. Tanto premesso le deduzioni formulate con il
motivo in esame non individuano alcuno specifico standard, inteso quale
parametro di conformità ai valori presenti nella realtà sociale, rispetto al
quale denunziare l’incoerenza della valutazione operata dal giudice del merito
nell’escludere la lesione del vincolo fiduciario, valutazione essenzialmente
fondata sulla lieve entità del fatto ascritto e sull’assenza del considerevole
danno economico allegato dalla Fondazione. Le critiche articolate, infatti,
tendono, piuttosto, a contestare la valutazione di proporzionalità del
licenziamento sotto il profilo della mancata considerazione di alcune
circostanze di fatto, che – si sostiene- avrebbero condotto ad applicare la
sanzione espulsiva. In altri termini, ciò che viene in concreto criticato è
l’apprezzamento di fatto delle circostanze del caso concreto ed il giudizio di
proporzionalità, censurabile in sede di legittimità solo ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (v. tra le altre, Cass. 25/05/2012, n. 8293; Cass. 19/10/2007, n.
21965) e quindi, trovando applicazione, ratione temporis, il testo attualmente
vigente dell’art. 360 comma primo, n. 5 cod. proc.
civ., solo mediante la denunzia dell’omesso esame di un fatto decisivo e
controverso, oggetto di discussione tra le parti, omissione neppure formalmente
dedotta dalla odierna parte ricorrente.

6. Il terzo motivo di ricorso deve essere accolto in
coerenza con i condivisibili approdi ai quali è pervenuta la giurisprudenza di
questa Corte sul tema delle condizioni di accesso alla tutela reale di cui all’art. 18, comma 4, legge n. 300
del 1970 come novellato dalla legge n. 92 del
2012.

6.1. Secondo il giudice di legittimità la
valutazione di non proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato
ed accertato comporta l’applicazione della tutela di cui all’art. 18, quarto comma, solo
nell’ipotesi in cui la fattispecie accertata sia specificamente contemplata
dalle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari
applicabili, che ad essa facciano corrispondere una sanzione conservativa; al
di fuori di tale caso la sproporzione tra la condotta e la sanzione espulsiva
rientra nelle “altre ipotesi” in cui non ricorrono gli estremi del
giustificato motivo soggettivo o della giusta causa, per le quali l’art. 18, quinto comma prevede
la tutela indennitaria c.d. forte (Cass.
05/12/2019, n. 31839; Cass. 19/07/2019, n.
19578; Cass. 14/12/2018 n. 32500, in
motivazione, Cass. 12/10/2018, 25534; Cass.
25/05/ 2017, n. 13178, in motivazione).

In particolare, sul presupposto del carattere
eccezionale che la tutela reintegratoria assume nel contesto del novellato art. 18 legge cit., in
applicazione del principio generale secondo cui una norma che preveda una
eccezione rispetto alla regola generale deve essere interpretata
restrittivamente, è stata esclusa la possibilità di ricorso all’analogia con
riferimento alla norma collettiva ed ammessa la possibilità di interpretazione
estensiva solo nelle ipotesi in cui la norma collettiva appaia inadeguata per
difetto dell’espressione letterale rispetto alla volontà delle parti,
tradottasi in un contenuto carente rispetto all’intenzione (Cass. 19/07/2019, n. 19578).

6.2. La limitazione della tutela reintegratone alle
sole ipotesi di tipizzazione della condotta punita con sanzione conservativa
dalla previsione collettiva è coerente con la lettera dell’art. 18, quarto comma, che
vieta operazioni ermeneutiche che estendano l’eccezione della tutela
reintegratoria alla regola rappresentata dalla tutela indennitaria nonché, dal
punto di vista sistematico, con la chiara ratio nel nuovo regime, in cui la
tutela reintegratoria presuppone l’abuso consapevole del potere disciplinare,
che implica, a sua volta, una sicura e chiaramente intellegibile conoscenza
preventiva, da parte del datore di lavoratore, della illegittimità del provvedimento
espulsivo derivante o dalla insussistenza del fatto contestato oppure dalla
chiara riconducibilità del comportamento contestato nell’ambito della
previsione della norma collettiva fra le fattispecie ritenute dalle parti
sociali inidonee a giustificare l’espulsione del lavoratore (Cass. n. 19578/2019 cit., Cass. 09/05/ 2019, n. 12365).

6.3. Né la opzione ermeneutica qui condivisa
prospetta profili di incostituzionalità, come sembra implicitamente affermare
la Corte di merito laddove pone a fondamento dell’applicazione della tutela
reintegratoria, pur in presenza di una fattispecie non specificamente tipizzata
dalle parti collettive, la necessità di un’interpretazione <<costituzionalmente
orientata>>; non è dato, infatti, ravvisare in ipotesi di c.c.n.I. che
rimetta al giudice la valutazione dell’esistenza di un rapporto di
proporzionalità con applicazione, quindi, della tutela indennitaria, una
disparità di trattamento – connessa alla tipizzazione o meno operata dalle
parti collettive delle condotte di rilievo disciplinare – bensì l’espressione
di una libera scelta del legislatore, fondata sulla valorizzazione
dell’autonomia collettiva in materia (Cass. 20/05/2019 n. 13533).

7. All’accoglimento del terzo motivo consegue la
cassazione con rinvio ad altro giudice di secondo grado per il riesame della
fattispecie alla luce del principio sopra affermato; al giudice del rinvio è,
altresì, demandato il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il primo ed il secondo motivo e accoglie il
terzo.

Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo
accolto e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, alla
quale demanda il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 giugno 2020, n. 11701
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