Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 giugno 2020, n. 11896

Differenze retributive, Rapporto di lavoro domestico, Onere
di collaborare per entrambe le parti, Necessità che la parte prenda posizione
in maniera precisa rispetto alle affermazioni della parte onerata, Principio
di non contestazione applicabile, Poteri istruttori d’ufficio, Esclusione per
supplire ad una carenza probatoria totale sui fatti costitutivi della domanda,
Fine di colmare eventuali lacune delle risultanze di causa

Premesso

 

che M.R.L. ha agito in giudizio, avanti al Tribunale
di Firenze, nei confronti di L.M.L. per ottenerne la condanna al pagamento
della somma di euro 17.985,53 a titolo di differenze retributive maturate in
relazione al rapporto di lavoro domestico intercorso con la convenuta nel
periodo 2008-2011;

– che il giudice di primo grado ha respinto il
ricorso sul rilievo che la L. aveva tempestivamente allegato, nella memoria di
costituzione, di avere corrisposto alla lavoratrice somme maggiori di quelle
richieste, in aggiunta agli importi risultanti dalle buste paghe, e che tale
deduzione non era stata contestata dalla ricorrente nella sua prima difesa
utile e cioè all’udienza ex art. 420 cod. proc.
civ., rendendo in tal modo il fatto non più controverso e acquisita la
prova dell’avvenuta estinzione del credito;

– che tale decisione è stata integralmente riformata
dalla Corte di appello di Firenze con la sentenza n. 380/2015, depositata il 23
luglio 2015;

– che la Corte, ritenuto di dover esercitare i
propri poteri istruttori d’ufficio al fine di pervenire all’accertamento della
verità materiale, al di là di decadenze e preclusioni, ha rilevato come in
realtà non fosse stata acquisita alcuna prova del fatto estintivo, posto che, seppure
all’udienza successiva a quella di cui all’art. 420
cod. proc. civ., la ricorrente aveva prodotto in originale le ricevute già
allegate dalla convenuta con la memoria di costituzione in giudizio e
dimostrato che esse erano state oggetto di alterazione; ha, quindi, osservato
come in esito alla disposta istruzione della causa in grado di appello fossero
rimasti accertati il periodo, l’orario e quant’altro posto a base del conteggio
prodotto in primo grado, peraltro neppure contestato in modo specifico dalla
resistente;

– che avverso detta sentenza della Corte di appello
di Firenze ha proposto ricorso per cassazione la datrice di lavoro con quattro
motivi, assistiti da memoria, cui ha resistito la lavoratrice con controricorso;

 

Rilevato

 

che con il primo motivo viene dedotto il vizio di
cui all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. con
riferimento agli artt. 416, comma 3°, 421 e 437, comma 2°,
cod. proc. civ. per avere la Corte territoriale, acquisendo al giudizio
documenti tardivamente prodotti dalla ricorrente in primo grado, non
correttamente applicato la disciplina in materia di poteri d’ufficio, per il
cui esercizio è condizione di ammissibilità la preesistenza di altri mezzi
istruttori, ritualmente dedotti e acquisiti, meritevoli di approfondimento;

– che con il secondo motivo viene dedotto il vizio
di cui all’art. 360 n. 4 in relazione all’art. 112 cod. proc. civ., nonché violazione o
falsa applicazione dell’art. 2719 cod. civ. e
degli artt. 214 e 215
cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale omesso di pronunciare
sull’eccezione di mancato tempestivo disconoscimento, da parte della
ricorrente, delle copie fotostatiche delle ricevute di pagamento prodotte in
giudizio dalla convenuta, da ciò conseguendo il riconoscimento della conformità
di tali copie agli originali;

– che con il terzo motivo (violazione o falsa
applicazione degli artt. 416, comma 3°, 115 e 116 cod. proc.
civ.) e con il quarto (art. 360 n. 5 cod. proc.
civ.) la sentenza di appello viene censurata rispettivamente là dove ha
ritenuto che non fosse stato contestato (se non in parte e comunque
infondatamente) il conteggio delle proprie spettanze prodotto in primo grado
dalla lavoratrice e là dove ha omesso l’esame del fatto storico consistente
nell’archiviazione del procedimento penale per falsità delle ricevute di
pagamento;

 

Osservato

 

che il primo motivo è fondato;

– che il sistema di preclusioni su cui si fonda il
processo del lavoro comporta per entrambe le parti l’onere di collaborare, fin
dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa,
evidenziando con chiarezza gli elementi in contestazione; con la conseguenza
che ogni volta che sia posto a carico di una delle parti (attore o convenuto
che sia) un onere di allegazione (e di prova), il corretto sviluppo della
dialettica processuale impone che l’altra parte prenda posizione in maniera
precisa rispetto alle affermazioni della parte onerata, nella prima occasione
processuale utile (e perciò nel corso dell’udienza di cui all’art. 420 cod. proc. civ., se non ha potuto farlo
nell’atto introduttivo), atteso che il principio di non contestazione,
derivando dalla struttura del processo e non soltanto dalla formulazione dell’art. 416 cod. proc. civ., è applicabile,
ricorrendone i presupposti, anche con riguardo all’attore, ove oneri di
allegazione (e prova) gravino anche sul convenuto (Cass. n. 3245/2003);

– che è stato inoltre ripetutamente precisato nella
giurisprudenza di questa Corte che nel processo del lavoro l’esercizio dei
poteri istruttori d’ufficio in grado d’appello presuppone la ricorrenza di
alcune circostanze: l’insussistenza di colpevole inerzia della parte
interessata, con conseguente preclusione per inottemperanza ad oneri
procedurali, l’opportunità di integrare un quadro probatorio tempestivamente
delineato dalle parti, l’indispensabilità dell’iniziativa ufficiosa, volta non
a superare gli effetti inerenti ad una tardiva richiesta istruttoria o a
supplire ad una carenza probatoria totale sui fatti costitutivi della domanda,
ma solo a colmare eventuali lacune delle risultanze di causa (Cass. n.
17572/2004; conformi, fra altre: Cass. n. 154/2006;
Cass. n. 5878/2011);

– che è stato altresì ripetutamente precisato che i
poteri istruttori d’ufficio, di cui all’art. 421
cod. proc. civ., non possono sopperire alle carenze probatorie delle parti
così da porre il giudice in funzione sostitutiva degli oneri delle parti
medesime e da tradurre i poteri officiosi anzidetti in poteri d’indagine e di
acquisizione del tipo di quelli propri del procedimento penale (Cass. n.
11847/2009; conformi: Cass. n. 12002/2002; Cass. n. 17102/2009; Cass. n.
15899/2011);

– che è fondato anche il secondo motivo di ricorso,
non avendo la Corte territoriale pronunciato sull’eccezione formulata
dall’appellante ex art. 2719 cod. civ.;

– che nella materia oggetto dell’eccezione è
consolidato il principio, secondo il quale la norma di cui all’art. 2719 cod. civ. (che esige l’espresso
disconoscimento della conformità con l’originale delle copie fotografiche, cui
legittimamente vengono assimilate quelle fotostatiche) è applicabile tanto alla
ipotesi di disconoscimento della conformità della copia al suo originale (che,
pur tendente ad impedire l’attribuzione della stessa efficacia probatoria
dell’originale, non impedisce al giudice di accertare tale conformità aliunde,
anche tramite presunzioni), quanto a quella di disconoscimento dell’autenticità
di scrittura o di sottoscrizione (che, invece, preclude definitivamente
l’utilizzabilità del documento fotostatico come mezzo di prova, salva la
produzione, da parte di chi ebbe a presentarlo ed intenda comunque avvalersene,
del relativo originale, onde accertarne la genuinità all’esito della procedura
di verificazione – non ammessa per le copie – di cui all’art. 216 cod. proc. civ.). Nel silenzio della
norma citata in merito ai modi e ai termini in cui i due suddetti
disconoscimenti debbano avvenire, è da ritenere applicabile ad entrambi la
disciplina di cui agli artt. 214 e 215 cod. proc. civ., con la conseguenza che la
copia fotostatica non autenticata si avrà per riconosciuta (tanto nella sua
conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione) se la parte
comparsa non la disconosca, in modo formale, alla prima udienza, ovvero nella
prima risposta successiva alla sua produzione (Cass. n. 4661/2002, fra le molte
conformi);

– che il terzo e il quarto motivo restano assorbiti;

 

Ritenuto

 

pertanto che – accolti il primo e il secondo motivo
di ricorso, assorbiti gli altri – l’impugnata sentenza n. 380/2015 della Corte
di appello di Firenze deve essere cassata e la causa rinviata, anche per le
spese del presente giudizio, alla stessa Corte in diversa composizione, la
quale procederà a nuovo esame, pronunciando sull’eccezione ex art. 2719 cod. civ. e facendo applicazione dei
principi di diritto richiamati

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso,
assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti
e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Firenze in diversa
composizione.

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