Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 giugno 2020, n. 11370

Rapporto di lavoro, Trattamento di premio di fine servizio,
Anzianità calcolata in relazione all’intera vita lavorativa, Accertamento

Rilevato che

 

I ricorrenti in epigrafe adivano il Tribunale di
Bologna e chiedevano accertarsi – nei confronti del competente istituto
previdenziale e della Regione Emilia Romagna – il proprio diritto ad ottenere
l’indennità premio servizio commisurata alla intera anzianità maturata alle
dipendenze dell’Ente D.P. e successivamente, dell’Ente Regionale di Sviluppo
Agricolo – E. – al quale era succeduta la Regione Emilia Romagna ex l.r. n.18
del 1993.

Ritualmente instaurato il contraddittorio, il
Tribunale felsineo – per quanto ancora qui rileva – con sentenza n.533/2008
respingeva le domande proposte dai ricorrenti, i quali avevano in precedenza
agito innanzi al giudice amministrativo, in ragione del giudicato formatosi
inter partes.

Detta pronuncia veniva confermata dai giudici della
Corte distrettuale i quali, nel pervenire a tale convincimento, rimarcavano
come fra i giudizio instaurato in sede amministrativa e quello instaurato in
sede ordinaria, vi fosse identità di soggetti, nonché di petitum e di causa
petendi: nel primo caso, essi avevano chiesto, previo annullamento del
provvedimento amministrativo, delibera E. del 1990, di accertare il loro
diritto ad essere iscritti all’Inadel con anzianità di servizio utile, ai fini
del trattamento di premio di fine servizio, decorrente dall’assunzione presso
l’Ente D.P.; nel secondo, avevano chiesto al giudice del lavoro di accertare il
diritto alla liquidazione della indennità di anzianità calcolata in relazione
all’intera vita lavorativa, detratto l’acconto percepito.

In entrambi i giudizi la causa petendi era legata al
presupposto della infrazionabilità dell’anzianità maturata, ed il petitum
all’accertamento del diritto ad ottenere la corresponsione dell’I.P.S.
commisurata alla intera anzianità maturata.

Avverso tale decisione interpongono ricorso per
cassazione i lavoratori, sulla base di due motivi illustrati da memoria ex art. 380 bis c.p.c.

Resiste con controricorso la Regione Emilia Romagna.
L’inps, quale successore dell’Inpdap, non ha svolto attività difensiva.

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo si deduce violazione degli artt. 2909 c.c. e 112
c.p.c. in relazione all’art. 360 comma primo
nn. 3 e 5 c.p.c.

Si osserva che per alcuni dipendenti era stata
pronunciata sentenza in sede amministrativa che rigettava le rispettive domande
per carenza di contraddittorio, sicché in relazione ad esse, non poteva
configurarsi alcuna decisione nel merito dotata di attitudine a divenire cosa
giudicata.

Si deduce quindi che la Corte distrettuale avrebbe
dovuto esaminare il fatto decisivo ex art.360 comma
1 n.5 c.p.c. relativo alla individuazione di coloro in relazione ai quali
era stata respinta la domanda per mancata integrazione del contraddittorio.

2. Il secondo motivo prospetta violazione dell’art.2909 c.c.

Si argomenta, in estrema sintesi, in ordine alla
insussistenza, nello specifico, dei presupposti di legge idonei a configurare
la sussistenza di una res iudicata, dal momento che il giudizio in sede
amministrativa, aveva riguardato la legittimità dell’atto, e quello proposto in
via ordinaria, l’esistenza del diritto.

3. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi
per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, palesano
evidenti profili di inammissibilità.

La tesi accreditata dai lavoratori a sostegno della
critica si presenta evidentemente carente sotto il profilo della specificità,
giacché omette di riportare integralmente il tenore delle sentenze emesse in
sede di giurisdizione amministrativa, poste dalla Corte di merito a fondamento
del decisum.

La giurisprudenza di questa Corte, da tempo, ha
infatti posto in evidenza il necessario coordinamento tra il principio secondo
cui l’interpretazione del giudicato esterno può essere effettuata direttamente
dalla Corte di Cassazione con cognizione piena, e il principio della necessaria
autosufficienza del ricorso. E’ stato, infatti, affermato che “l’interpretazione
di un giudicato esterno può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di
cassazione con cognizione piena, nei limiti, però, in cui il giudicato sia
riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza del principio di
autosufficienza di questo mezzo di impugnazione, con la conseguenza che,
qualora l’interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta
scorretta, il predetto ricorso deve riportare il testo del giudicato che si
assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e
del dispositivo, atteso che il solo dispositivo non può essere sufficiente alla
comprensione del comando giudiziale”, (vedi in motivazione Cass. 31/7/2012
n. 13658, Cass. 15/10/2012 n. 17649, cui adde Cass. 13/12/2006, n. 26627, Cass.
Sez. Un. 27/1/2004 n. 1416).

Tale orientamento ha rimarcato come i motivi di
ricorso per cassazione fondati su giudicato esterno, debbano rispondere ai
dettami di cui all’art. 366 n.6 c.p.c., che del
principio di autosufficienza rappresenta il precipitato normativo (cfr. Cass.
18/10/2011 n. 21560, Cass.13/3/2009 n. 6184; Cass. 30/4/2010 n.10537); tanto
sia sotto il profilo nella riproduzione del testo della sentenza passata in
giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il riassunto sintetico della
stessa (cfr. Cass. 11/02/2015 n.2617), sia
sotto il profilo della specifica indicazione della sede in cui essa sarebbe
rinvenibile ed esaminabile in questo giudizio di legittimità (vedi Cass. cit.
n.21560/2011, cui adde Cass. 23/6/2017 n.15737, Cass. 31/5/2018 n. 13988).

Conclusivamente deve ritenersi che la modalità della
tecnica redazionale, adottata nella stesura del ricorso, ridondi in termini di
genericità del ricorso medesimo, palesandosi del tutto inidonea ad enucleare le
effettive carenze motivazionali che connotano la pronuncia impugnata, in quanto
il suo vaglio richiede l’esame di atti processuali ultronei rispetto allo
stesso ricorso, che, per quanto sinora detto, non risultano riportati nella loro
interezza, né prodotti in coerenza con le prescrizioni di cui all’art.369 c.p.c. (sulla necessità che i requisiti di
contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366, comma 1, c.p.c., nn. 3, 4 e 6, debbano
essere assolti necessariamente con il ricorso, vedi anche Cass. 13/11/2018
n.29093).

Le considerazioni sinora esposte inducono, quindi,
alla declaratoria della inammissibilità del ricorso.

Per il principio della soccombenza i ricorrenti
vanno condannati al pagamento delle spese inerenti al presente giudizio nei
confronti della Regione Emilia Romagna, nella misura in dispositivo liquidata.

Nessuna statuizione va emessa nei confronti
dell’Inps che non ha svolto attività difensiva.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente
al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto ai sensi del comma 1
quater dell’art. 13 DPR 115/2002,
della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i
ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio nei confronti della
Regione Emilia Romagna, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00
per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del
2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del
comma 1 bis dello stesso articolo
13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 giugno 2020, n. 11370
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: