Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 giugno 2020, n. 12031

Licenziamento disciplinare, Ritiro dei rifiuti con metodo di
raccolta differenziata, Omessa registrazione degli svuotamenti dei cassonetti
e mancata attribuzione del volume ai fini del calcolo della tariffa applicata
all’utente, Non veridicità delle giustificazioni rese dai dipendenti,
Consapevolezza di violare le disposizioni aziendali, Giudizio di non
proporzionalità, Disparità di trattamento tra i lavoratori coinvolti

Fatti di causa

1. La Corte di appello di Trento, con sentenza n.
47/2018, riformando la pronuncia di primo grado, dichiarava l’illegittimità dei
licenziamenti intimati da D.A. s.r.l. a M.V. e a F.V. e, dichiarati risolti i
rapporti di lavoro con effetto dal 27 febbraio 2018, condannava la società
Dolomiti Ambiente al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva
determinata rispettivamente in diciotto e in dodici mensilità dell’ultima
retribuzione globale di fatto, con rivalutazione monetaria ed interessi dal 27
febbraio 2018.

1.1. Ai due dipendenti era stato addebitato di
avere, quali addetti al ritiro dei rifiuti con metodo di raccolta
differenziata, omesso la registrazione degli svuotamenti dei cassonetti, con
conseguente mancata attribuzione del relativo volume ai fini del calcolo della
quota variabile della tariffa applicata all’utente, per prelievi effettuati
presso il mobilificio E. T. e presso l’azienda autotrasporti F.lli N. s.n.c.,
nonché per avere fruito, in occasione dei prelievi presso quest’ultima, di
pause di lavoro non autorizzate. Il giudice di primo grado aveva ritenuto
sussistente e grave la condotta e proporzionata la sanzione.

2. La Corte territoriale, premesso che l’istruttoria
in sede disciplinare (distinta da quella penale) era stata condotta nel
rispetto del contraddittorio di tutte le parti, osservava che:

– dal tenore delle lettere di contestazione tutti
gli episodi addebitati avevano ad oggetto la condotta di riversamento nel
compattatore di rifiuti senza lettura del microchip che avrebbe dovuto eseguire
la registrazione del prelievo al fine dell’addebito in bolletta (se superiore
al numero minimo compreso in tariffa);

 vi era
corrispondenza tra le contestazioni e il licenziamento disciplinare; il recesso
era stato motivato con riguardo alla non veridicità delle giustificazioni rese
dai dipendenti circa le ragioni delle soste, il malfunzionamento dei
dispositivi e l’esistenza di direttive che avrebbero imposto tali condotte;

– i fatti ascritti, così come contestati, erano
stati pienamente provati, in quanto tutti i testi escussi nella fase sommaria e
nel corso del dibattimento penale li avevano confermati per conoscenza diretta,
per avere partecipato al servizio di controllo sulle attività della squadra o
per avere partecipato all’attività della squadra; in particolare, avevano
riferito che entrambi i reclamanti, unitamente al F. o talvolta unitamente ad
altri colleghi, avevano inserito nel compattatore, come residuo, rifiuti di
polistirolo della ditta E.T. senza lettura del microchip del cassonetto e che
analoga condotta era stata tenuta nei giorni indicati nella contestazione
presso la ditta autotrasporti F.lli N.;

– era irrilevante la circostanza che si trattasse di
polistirolo per il quale lo smaltimento sarebbe stato in ogni caso gratuito,
atteso che tale materiale doveva essere smaltito in altri giorni e con altre
modalità, mentre l’averlo riversato nel compattatore come residuo secco, senza
la lettura dei dispositivi dei cassonetti per la registrazione, integrava
sicuramente la condotta contestata;

– in merito ai prelievi presso la ditta
autotrasporti F.lli N., era accreditabile quanto riferito dai testi quanto alla
fruizione di pause non autorizzate; i testi avevano pure confermato che era
funzionante il rilevatore per la lettura dei microchip; – non era provata la
giustificazione resa dei ricorrenti circa l’esistenza di disposizioni aziendali
ricevute in merito all’immissione del polistirolo senza alcuna registrazione
del prelievo; i testi escussi avevano anzi chiesto spiegazioni di fronte
all’anomala modalità di raccolta, sentendosi rispondere che queste erano
disposizioni ricevute, ma tale circostanza non era risultata provata ed anzi
era stata esplicitamente esclusa da tutti i dipendenti, oltre che dai
responsabili indicati;

– risultava “poco verosimile anche che vi sia
stata una convinzione soggettiva, non si sa da cosa determinata, dell’esigenza
di un trattamento particolare per la E.T. s.r.l.”, atteso che l’anomalia
della condotta riferita anche dei testi avrebbe richiesto una precisa
giustificazione;

– i ricorrenti “erano ben consapevoli di
violare le disposizioni aziendali”, non essendovi tuttavia elementi da cui
poter desumere che da questa condotta gli stessi abbiano tratto vantaggi
personali.

2.1. Quanto all’apprezzamento della giusta causa e
della proporzionalità della sanzione, osservava la Corte di appello che erano
da accogliere alcuni rilievi mossi dagli appellanti alla sentenza di primo
grado, in quanto:

– in merito all’accordo, accettato dal F. e
rifiutato dai ricorrenti, inteso a sospendere il procedimento disciplinare fino
all’esito del procedimento penale, si trattava di circostanza non idonea a
giustificare la disparità di trattamento tra i ricorrenti, da un lato, e il F.,
dall’altro; – vi era stata la violazione del principio di tempestività della
contestazione relativamente alle condotte riguardanti la E.T. s.r.I., poiché,
una volta che le indagini penali si erano chiuse con il deposito degli atti nel
luglio 2014 (di cui la D.A. era conoscenza in quanto parte civile) e una volta
estratta la  copia di tali atti nel
settembre 2014, non vi erano elementi che giustificassero l’attesa fino all’8
gennaio 2015, quando venne notificata la citazione degli imputati a
dibattimento, per procedere alla contestazione del 5 febbraio 2015, con
conseguente violazione della disposizione del contratto collettivo e del codice
disciplinare che impone la contestazione dell’addebito appena il datore di
lavoro sia venuto a conoscenza della condotta;

– tale tardività costituisce una mera violazione
formale, che non ha sostanzialmente leso il diritto di difesa dei lavoratori né
ha ingenerato un affidamento su una valutazione di indifferenza del datore di
lavoro per l’illecito o comunque su di una sua scelta di non dare seguito
all’inadempimento; la violazione, come tale, rientra del  disposto di cui all’art. 18 comma 6, legge n. 300 del
1970;

– tuttavia, la tardività viene in rilievo sotto un
altro profilo, ossia quello della sussistenza della giusta causa di recesso,
perché l’attesa e il prolungamento del rapporto per altri cinque o sei mesi
rispetto a fatti compiutamente accertati sono incompatibili con un’ipotesi di
lesione irreparabile del vincolo fiduciario tale da determinare l’impossibilità
di prosecuzione anche solo provvisoria del rapporto di lavoro;

– tale ragione porta ad escludere la sussistenza
della giusta causa di recesso, occorrendo poi valutare se le condotte
addebitate e ritenute sussistenti, sotto il profilo della gravità avrebbero
reso legittimo il licenziamento per proporzione tra illecito e sanzione;

– seppure in astratto la condotta contestata, in
quanto consistente nella violazione di modalità operative specifiche essenziali
per la raccolta differenziata, che costituisce il cuore dell’attività
aziendale, possa essere qualificata come grave violazione degli obblighi
contrattuali, suscettibili di legittimare il recesso senza necessità di una
esplicita previsione della fattispecie da parte della contrattazione collettiva,
tuttavia la gravità dell’illecito disciplinare va giudicato in concreto con
riferimento “al contesto lavorativo in cui la condotta è stata tenuta,
alla tolleranza da parte aziendale di condotte simili, all’elemento psicologico
e sotto tutti e tre questi profili l’addebito mosso ai due appellanti va
ritenuto non di tale gravità da giustificare, nella fattispecie concreta, il
licenziamento, anziché una sanzione conservativa”.

2.2. Il giudizio di non proporzionalità è stato
argomentato con i seguenti rilievi:

– la circostanza che per ben altri ventotto
dipendenti fossero state riscontrate condotte identiche evidenzia che tra il
personale non era ancora sufficientemente diffusa la consapevolezza
dell’importanza della rigorosa osservanza delle regole per la raccolta del
residuo;

– né appare dirimente il rilievo che per gli altri
ventotto dipendenti la condotta in contestazione fosse risultata occasionale,
“poiché ciò che è risultato occasionale è il riscontro di tale condotte,
che non esclude affatto che anche da parte degli altri dipendenti vi siano
state reiterazioni. In ogni caso il numero degli addetti che ha posto in essere
le stesse violazioni è sufficiente a dimostrare quanto sopra osservato”;

– “sintomatico sotto questo profilo è anche
l’atteggiamento dei dipendenti che sono stati inseriti di volta in volta,
secondo necessità, nella squadra….”; costoro “di fronte all’anomala
modalità di raccolta del polistirolo si sono tranquillamente accontentati della
giustificazione che veniva loro data senza alcuna perplessità”; si era in
presenza di una sorta di “tolleranza” verso la “solita”
utenza, rientrante “in questo generale contesto di scarsa
consapevolezza”;

– tali circostanze depongono per “una minore
gravità della condotta anche per quanto riguarda l’elemento psicologico dei due
lavoratori, considerato che, pur trattandosi di un comportamento volontario, ne
risulta attenuata la percezione del disvalore”;

– del resto, se la condotta addebitata ai due
ricorrenti fosse stata così grave da ledere la fiducia nella correttezza
dell’esatto adempimento in futuro della prestazione di lavoro, “non si
vede perché A.F. sia stato mantenuto in servizio (fino al pensionamento) anche
dopo la sentenza penale”.

3. La sentenza ha dunque concluso per
l’illegittimità dei licenziamenti perché sproporzionati, con conseguente
applicazione del regime di tutela di cui all’art. 18, comma 5, legge 300/70.

4. Per la cassazione di tale sentenza la società
D.A. s.r.l. ha proposto ricorso affidato a cinque motivi. Hanno resistito M.V.
e F.V., quest’ultima quale erede di F.V..

5. La società ricorrente ha altresì depositato
memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

 

Ragioni della decisione

 

1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa
applicazione dell’art. 2119 cod. civ. in
relazione agli artt. 2104 e 2106 cod. civ. e all’art. 1 legge 604 del 1966, in
combinato disposto con la violazione degli artt.
115 e 116 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ. laddove la Corte di appello, da un
lato, ha ritenuto l’illegittimità del licenziamento pur a fronte del fatto che
era risultata pacifica la sussistenza delle plurime violazioni da parte dei
ricorrenti delle direttive aziendali e della gravità delle stesse e,
dall’altro, ha inteso valorizzare elementi insussistenti quali: a) una presunta
disparità di trattamento tra i lavoratori coinvolti; b) un, non meglio
identificato, peculiare “contesto lavorativo”; c) un’asserita, ma non
risultante in causa, “tolleranza” da parte della società rispetto
condotte ritenute (erroneamente) analoghe; d) un elemento psicologico
caratterizzato da una “attenuata percezione del disvalore”. I
ricorrenti avevano commesso in maniera consapevole gravi violazioni delle
direttive aziendali, fornendo giustificazioni rivelatesi palesemente false, sia
in ordine alla tesi della sussistenza di problemi tecnici per la rilevazione
dei rifiuti, sia in merito ad una presunto accordo tra la società e la E. circa
le modalità della raccolta del polistirolo, sia infine in ordine alla tesi
secondo cui sarebbero state impartite presunte direttive volte a realizzare
tale accordo. La stessa Corte di appello aveva evidenziato che i ricorrenti
erano ben consapevoli di violare le disposizioni aziendali.

In merito alla presunta disparità di trattamento
rispetto al F., premesso che anche i ricorrenti furono destinatari della
medesima proposta di sospensione del procedimento disciplinare in attesa
dell’esito di quello penale, la circostanza che il F. non fosse stato
destinatario di una sanzione disciplinare era dovuto al suo pensionamento
avvenuto in epoca (31.8.2016) anteriore alla sentenza penale (gennaio 2017),
per cui non sarebbe stato possibile in alcun modo sanzionare il lavoratore dopo
tale data, essendosi nel frattempo risolto il rapporto di lavoro.

Il riferimento al particolare “contesto
lavorativo” era rimasta affermazione criptica, per non dire
incomprensibile”.

Quanto alla circostanza che altri dipendenti
avrebbero commesso analoghe mancanze, il fatto non era a conoscenza della
società in quanto emerso solo in giudizio attraverso le deposizioni
testimoniali, per cui mancava il presupposto stesso per affermare una
tolleranza verso comportamenti simili.

Se i lavoratori erano consapevoli di violare
disposizioni aziendali, ciò è sufficiente a ledere il rapporto fiduciario.

2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa
applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e art.
2697 cod. civ., nella parte in cui la sentenza ha affermato che non era
ancora sufficientemente diffusa la consapevolezza dell’importanza della
rigorosa osservanza delle regole per la raccolta dei rifiuti, nonostante
l’inequivocabile tenore delle dichiarazioni rese dai testi escussi.

Dalle deposizioni testimoniali (trascritte da pag.
25 a pag. 28 del ricorso) può evincersi che, allorquando i testi assistettero
alla condotta degli allora reclamanti, gli stessi chiesero spiegazioni circa il
loro operato e ciò denotava come vi fosse in tutto il personale, anche quello
non impiegato a pieno regime nelle squadre, la piena consapevolezza circa le
corrette modalità di raccolta. D’altra parte, gli originari ricorrenti si erano
difesi non già adducendo una ipotetica mancata consapevolezza circa le modalità
di raccolta da eseguire, ma assumendo di avere ricevuto dai propri superiori
gerarchici direttive di operare in quel modo, direttive la cui esistenza era
stata poi categoricamente smentita nel corso dell’istruttoria. Non vi erano
quindi elementi atti a ad avvalorare l’attenuazione nella percezione del
disvalore della condotta inadempiente.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e
falsa applicazione dell’art. 3
legge n. 604 del 1966 laddove il giudice di appello, dopo avere
riconosciuto l’insussistenza della giusta causa ed avere comunque ravvisato un
notevole inadempimento di obblighi contrattuali, ha applicato la tutela di cui
al quinto comma dell’articolo
18 novellato, anziché riconoscere l’indennità sostitutiva del preavviso ex art. 3 legge 604 del 1966 per
giustificato motivo soggettivo.

4. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa
applicazione degli artt. 99, 101 e 112 cod. proc.
civ. laddove il giudice di appello ha ritenuto decisivo, al fine di escludere
che il comportamento fosse di gravità tale da giustificare il licenziamento,
l’elemento psicologico caratterizzato da una non piena consapevolezza circa il
disvalore del comportamento tenuto in violazione delle regole aziendali in
materia di raccolta rifiuti, oltre che il dato formale della tardività
valorizzato sotto il profilo sostanziale di elemento indicatore di un’assenza
di giusta causa. Si deduce che gli stessi ricorrenti non ebbero mai a
contestare la legittimità del licenziamento sotto tali profili.

5. Il quinto motivo denuncia omessa motivazione o
motivazione apparente o motivazione insanabilmente contraddittoria, violazione
e falsa applicazione dell’art. 111, comma 6, Cost.
e dell’art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ.,
in quanto il processo decisionale risulta viziato da insanabili contraddizioni:

a) da un lato, si afferma che gli originari
ricorrenti erano ben consapevoli di violare disposizioni aziendali e, dall’altro,
si assume che la sanzione era sproporzionata rispetto all’elemento psicologico
che aveva sorretto la condotta ;

b) contraddittoriamente si afferma che talune
tolleranze nei confronti di una determinata utenza rientravano in un contesto
di scarsa consapevolezza circa la percezione del disvalore, mentre si sostiene
poco verosimile la tesi della convinzione soggettiva dell’esigenza di un
trattamento particolare per E. T.;

c) da un lato, si parla di una tardività della
contestazione, violazione solo formale, rientrante nell’ipotesi di cui al comma
6 dell’art. 18 legge 300 del
1970, come novellato dalla legge n. 92 del
2012, e dall’altro contraddittoriamente si afferma che la tardività
determina insussistenza la giusta causa, con applicazione del comma 5 del
medesimo art. 18;

d) con riguardo al comportamento tenuto da ventotto
operatori jolly che parteciparono alla raccolta insieme alla squadra, si
afferma che ciò che era risultato occasionale era solo il riscontro delle
infrazioni e che ciò non consentiva di escludere che anche da parte degli altri
dipendenti vi fossero state delle reiterazioni. Tuttavia, le circostanze non si
conoscono non sono comprovate e quindi non possono essere poste a fondamento
della decisione;

e) l’argomentazione secondo cui la scarsa
consapevolezza da parte dei dipendenti circa la necessità di applicare
rigorosamente la procedura era desumibile dal fatto che gli operatori jolly
esternarono perplessità rispetto alle modalità di raccolta eseguite dagli
originari ricorrenti, accontentandosi poi della giustificazione loro data,
costituisce un’argomentazione viziata da illogicità, poiché è mera illazione
del giudice quella di ritenere che detti operatori fossero rimasti
tranquillizzati della risposta e privi di ulteriori perplessità, situazione
soggettiva non verificabile e priva di alcun fondamento.

6. Il quinto motivo è fondato, restando assorbito nel
relativo accoglimento l’esame dei restanti.

7. La Corte di appello ha ritenuto il licenziamento
illegittimo per insussistenza della giusta causa e per sproporzione della
sanzione. Per stabilire se sussiste la giusta causa di licenziamento, con
specifico riferimento al requisito della proporzionalità della sanzione,
occorre accertare in concreto se – in relazione alla qualità del singolo
rapporto intercorso tra le parti, alla posizione che in esso abbia avuto il
prestatore d’opera e, quindi, alla qualità e al grado del particolare vincolo
di fiducia che quel rapporto comportava – la specifica mancanza commessa dal
dipendente, considerata e valutata non solo nel suo contenuto obiettivo, ma
anche nella sua portata soggettiva, risulti obiettivamente e soggettivamente
idonea a ledere in modo irreparabile la fiducia del datore di lavoro (Cass. n. 12798 del 2018). Rientra nell’attività
sussuntiva e valutativa del giudice di merito la verifica della sussistenza
della giusta causa, anche con riferimento alla scala valoriale recepita dal
contratto collettivo, che può costituire uno dei parametri cui fare riferimento
per riempire di contenuto la clausola generale di cui all’art. 2119 cod. civ., attraverso un accertamento in
concreto della proporzionalità tra sanzione ed infrazione sotto i profili
oggettivo e soggettivo (cfr Cass. 9396 del 2018).

7.1. Il risultato della valutazione cui è pervenuto
il giudice di merito in ordine alla 
riconducibilità, in concreto, della condotta contestata nel paradigma
del giustificato motivo di recesso ovvero della giusta causa, è sindacabile in
sede di legittimità sotto il profilo della corretta interpretazione delle
previsioni contrattuali e del giudizio di sussunzione nelle stesse della
condotta addebitata (Cass. 14505 del 2019).

8. Nel caso in esame, non risulta che la Corte di
appello abbia fatto riferimento alle scale valoriali di cui al CCNL e del
codice disciplinare per valutare la sproporzione della sanzione.

9. E’ noto che in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.,
disposta dall’art. 54 del d.l. n.
83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n.
134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le
censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza
di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione
resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo
costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma
6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione
dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e
danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione
quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di
“motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile
contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od
incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può
essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia
formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una
diversa soluzione della controversia (Cass. n. 23940 del 2017; v. pure Cass. S.U. n. 8053 del 2014). L’obbligo di
motivazione previsto in via generale dall’art. 111,
sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall’art.
132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. è violato qualora la motivazione
sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto
inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della
decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni
inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in
tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità
ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod.
proc. civ. (Cass. n. 22598 del 2018).

9.1. In tale contesto, è denunciabile in cassazione
l’anomalia motivazionale che si concretizza nel “contrasto irriducibile
tra affermazioni inconciliabili”, quale ipotesi che non rende percepibile
l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, di conseguenza,
non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento
del giudice (Cass. n. 12096 del 2018).

10. Tutto ciò premesso, deve osservarsi che la
sentenza impugnata, pur nelle sue ampie argomentazioni, risulta inficiata dal
punto di vista logico-giuridico dai vizi denunciati dalla attuale ricorrente
per cassazione per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili,
quale ipotesi che non rende percepibile l’iter logico seguito per la formazione
del convincimento e, di conseguenza, non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza
e sulla logicità del ragionamento del giudice.

10.1. La sentenza impugnata, da un lato, ha ritenuto
sussistenti ed effettivamente commessi tutti i fatti ascritti, come pure la
reiterazione degli stessi. Sempre sul fronte oggettivo ha ritenuto irrilevanti
le difese svolte dai ricorrenti circa la gratuità dello smaltimento del
polistirolo, essendo invece rilevante il fatto in sé della violazione delle
regole aziendali circa le modalità della sua raccolta. Ha pure evidenziato la
gravità dell’inadempimento degli obblighi aziendali, laddove ha osservato che
la corretta raccolta dei rifiuti costituiva il nucleo fondamentale
dell’attività economica della società datrice di lavoro. Sul fronte
dell’elemento psicologico, ha ritenuto che le giustificazioni rese dai
lavoratori, relative a presunte direttive impartite dai preposti e al
malfunzionamento dei dispositivi, si erano rivelate infondate e che inoltre era
poco verosimile che i due lavoratori nutrissero un convincimento circa
l’esigenza di un trattamento particolare per la E. T. s.r.I., proprio in quanto
l’anomalia della condotta riferita anche dei testi avrebbe richiesto una
precisa giustificazione. E dunque i ricorrenti erano consapevoli di violare le
disposizioni aziendali, pur non essendovi elementi da cui poter desumere che da
questa condotta avessero tratto vantaggi personali.

10.2. Dall’altro lato, per escludere la
proporzionalità della sanzione, la sentenza ha addotto argomenti che appaiono
in contraddizione tra loro e rispetto ai precedenti assunti. Innanzitutto, la
tardività della contestazione disciplinare, che avrebbe potuto giustificare la
diversa tutela di cui al comma 6 dell’art. 18 legge n. 300 del 1970,
è l’argomento che viene utilizzato per escludere la giusta causa, pur
affermandosi al contempo che il ritardo non era circostanza idonea ad
ingenerare un affidamento, in capo ai lavoratori, tale cioè da fare
legittimamente supporre una indifferenza del datore di lavoro per l’illecito o
comunque una sua scelta di non dare seguito alla sanzione. Inoltre, una volta
esclusa la sussistenza della giusta causa e pur riconoscendo espressamente il
notevole inadempimento degli obblighi lavorativi, l’implicita esclusione del
giustificato motivo soggettivo non è sorretta da alcuna motivazione.

10.3. L’argomentazione secondo cui vi sarebbe stata
scarsa consapevolezza da parte dei dipendenti circa la necessità di applicare
rigorosamente la procedura appare contraddetta dall’altro dato oggettivo di cui
la sentenza ha dato atto, consistente nella perplessità esternata dai testi
sulle anomale modalità di raccolta osservate dai due dipendenti. Del pari,
l’affermazione per cui talune tolleranze nei confronti di una determinata
utenza rientravano in un contesto di scarsa consapevolezza circa la percezione
del disvalore è contraddetta dall’altra affermazione, cui sopra si è fatto
cenno, di non verosimiglianza della convinzione soggettiva circa l’esigenza di
un trattamento particolare per la E. T. s.r.I..

10.4. L’affermazione relativa alla disparità di
trattamento rispetto al collega F. richiederebbe la dimostrazione della mancata
riattivazione del procedimento disciplinare pur ricorrendone i presupposti e
dunque la prova della cessazione del periodo di sospensione (per intervenuta
sentenza penale) anteriormente al pensionamento, da cui potere inferire una
colpevole tolleranza dimostrata dalla società nei confronti del terzo
componente del nucleo operativo. La sentenza non chiarisce il dato di fatto,
invece decisivo per la valutazione della legittimità dell’operato datoriale,
relativo al momento del pensionamento del F., se anteriore o posteriore alla
sentenza penale.

10.5. Riguardo all’affermazione secondo cui ciò che
era risultato occasionale, rispetto alle inadempienze di altri lavoratori, era
solo il riscontro delle infrazioni, poggia su una mera illazione in merito alla
reiterazione, di cui la stessa sentenza ammette l’assenza di riscontro
giudiziale.

11. In conclusione, la Corte territoriale, pur
ritenendo pienamente provata la condotta contestata e non dimostrate le
giustificazioni rese dei ricorrenti, ha giudicato il licenziamento illegittimo,
argomentando in ordine alla tardività della contestazione disciplinare, alla
diversità di trattamento riservato al collega F., coinvolto negli stessi fatti,
e alla tolleranza verso altri lavoratori che avevano sporadicamente commesso
altre analoghe mancanze, anche a dimostrazione del fatto che tra il personale
non era ancora sufficientemente diffusa la consapevolezza dell’importanza della
rigorosa osservanza delle regole per la raccolta del residuo. Tutte circostanze
che, nel contesto della motivazione della stessa sentenza, risultano
contraddette da altre affermazioni che ne smentiscono la portata logica,
integrando un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili.

12. Va dunque cassata la sentenza impugnata, con
rinvio alla Corte di Trento in diversa composizione, che provvederà nuovamente
sull’appello e alla quale è demandata anche la regolazione delle spese del
giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

accoglie il quinto motivo, assorbiti gli altri.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello
di Trento in diversa composizione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 giugno 2020, n. 12031
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