Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 giugno 2020, n. 12713

lnfortunio sul lavoro, Risarcimento dei danni patrimoniali e
non, Sentenza penale di patteggiamento

 

Rilevato

 

Che la Corte di Appello di Palermo, con sentenza
depositata in data 16.1.2014, ha accolto parzialmente il gravame interposto da
A.S. di A.A. & C. S.a.s., in liquidazione, in persona del liquidatore
pro-tempore, A.A., e da N.A., nei confronti di G.S. e di G.A. S.p.A., avverso
la pronunzia del Tribunale di Sciacca n. 658/2009, resa il 25.11.2009, con la
quale, in accoglimento della domanda del lavoratore, era stata dichiarata la
responsabilità civile della società datrice, nonché del socio accomandatario
A.A. e del socio accomandante N.A. per l’infortunio sul lavoro occorso al S. il
21.12.2003 e, per l’effetto, i resistenti erano stati condannati, in solido, al
risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti dal dipendente,
commisurati ad una percentuale invalidante del 60% e liquidati in complessivi
Euro 712.246,83, una quota dei quali – quantificata in Euro 331.346,37 – posta
direttamente a carico della G.A. S.p.A., quale compagnia assicuratrice per la
responsabilità civile;

che, pertanto, in parziale riforma della sentenza
gravata, la Corte territoriale ha condannato la società datrice ed A.A., quale
socio illimitatamente responsabile, in solido, al risarcimento del danno patito
dal S., da quantificare nella somma di Euro 687.731,96, già attualizzata; ha
rigettato la domanda proposta nei confronti di N.A. e, conseguentemente, ha
annullato la condanna al pagamento delle spese del giudizio di primo grado,
pronunziata nei confronti di quest’ultimo, confermando, nel resto, la sentenza
impugnata; che per la cassazione della sentenza ricorre G.S. sulla base di tre
motivi, cui resiste con controricorso N.A.; che la A.S. di A.A. & C.
S.a.s., in liquidazione, A.A. e la S.p.A. G.A. non hanno svolto attività
difensiva; che il P.G. non ha formulato richieste.

 

Considerato

 

che, con il ricorso, si censura: 1) In riferimento
all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la
violazione e falsa applicazione dell’art. 416
c.p.c. e si deduce che <<nel primo scritto difensivo ex art. 416 c.p.c. … il convenuto A.N. non ha preso
posizione in maniera precisa sulla sua qualità di semplice socio accomandante
estraneo alla gestione della società, da contrapporre a quella di titolare
della A.S. s.a.s., così come detta contestazione e/o presa di posizione non è
avvenuta nel procedimento penale, ove A.N., quale titolare dell’A.S. s.a.s. è
stato tratto in giudizio…>>; 2) In riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione
o falsa applicazione degli artt. 116, 444 e 445 c.p.c.,
perché nella sentenza impugnata si esclude la responsabilità di N.A., in quanto
<<semplice socio accomandante dell’A.S. s.a.s.>>, senza alcun
riferimento alla sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., pronunziata nei confronti del
medesimo per le gravissime lesioni occorse al dipendente a seguito
dell’infortunio sul lavoro di cui è rimasto vittima, <<equiparabile ad
una sentenza di condanna>>, costituente, comunque, elemento di prova
importante, per disattendere il quale occorre argomentare adeguatamente; 3) in
riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.,
la violazione e falsa applicazione dell’art. 91
c.p.c., per asserita <<erronea compensazione integrale delle spese
dei due gradi di giudizio tra S.G. ed A.N.>>, in dipendenza del rigetto
della domanda risarcitoria nei confronti di quest’ultimo, sul presupposto della
insussistenza della responsabilità de( medesimo;

che il primo motivo non è meritevole di
accoglimento; al riguardo, va, innanzitutto, osservato che lo stesso presenta
profili di genericità, non essendo stata prodotta (e neppure indicata tra i
documenti offerti in comunicazione nel ricorso per cassazione), né trascritta,
la memoria di costituzione nella quale si assume che N.A. non avrebbe preso una
precisa posizione <<circa la sua qualità di semplice socio accomandante
estraneo alla gestione della società>>: e ciò, in violazione del
principio di specificità prescritto dall’art. 366,
primo comma, n. 6, del codice di rito – più volte ribadito da questa Corte
-, che definisce quale onere della parte ricorrente quello di indicare lo
specifico atto precedente cui si riferisce, in modo tale da consentire alla
Corte di legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie
asserzioni prima di esaminare il merito della questione (Cass. n. 14541/2014).
Il ricorso per cassazione deve, infatti, contenere tutti gli elementi necessari
a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di
merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza che
sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso e, quindi, ad elementi o
atti concernenti il pregresso grado di giudizio di merito (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013). Per la qual cosa, questa Corte non è
stata messa in grado di apprezzare la veridicità delle doglianze mosse al
procedimento di sussunzione operato dai giudici di seconda istanza, che si
risolvono, quindi, in considerazioni di fatto del tutto inammissibili e
sfornite di qualsiasi delibazione probatoria (cfr., ex plurimis, Cass. nn.
24374/2015; 80/2011);

che, ciò premesso, va, comunque, sottolineato che
l’attribuzione della qualità giuridica (implicante una qualificazione
valutativa) non può considerarsi <<fatto>> acquisito solo per la
mancanza di contestazione – con esonero, per la controparte, dall’onere della
prova -, quale conseguenza prevista dalla omessa precisa presa di posizione del
convenuto ex art. 416 c.p.c.(cfr., ex multis, Cass. nn. 6014/2018;12664/2012;
86/2012; 11477/2010);

che neppure il secondo motivo può essere accolto:
premesso, infatti, che non è stata prodotta (e neppure indicata tra i documenti
offerti in comunicazione nel ricorso per cassazione), né trascritta, la
sentenza di applicazione della pena su richiesta ex art.
444 c.p.p., in violazione del principio di specificità – per la qualcosa,
valgono, anche per il secondo mezzo di impugnazione, le considerazioni innanzi
svolte al riguardo si osserva che là sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., pur non implicando un
accertamento capace di fare stato nel giudizio civile, contiene pur sempre una
ipotesi di responsabilità (art. 445 c.p.p.) di
cui il giudice di merito non può escludere il rilievo senza argomentare
adeguatamente (cfr., tra le altre, Cass. nn.
13034/2017; 9456/2013; 23263/2011);

che, comunque, nella fattispecie, i giudici di
seconda istanza (a pag. 2 della sentenza impugnata) hanno dato atto
dell’accertamento compiuto dal Tribunale, sulla scorta essenzialmente della
sentenza penale di patteggiamento, in ordine alla responsabilità anche di N.A.,
ed hanno disatteso quell’accertamento reputando – con una argomentazione
sintetica, ma adeguata – che non fosse sufficiente, per affermare l’utile
gestione ai fini della sussistenza della responsabilità ex art. 2320 c.c. del socio accomandante N.A.,
l’unica circostanza accertata in sede penale della presenza in azienda al
momento dell’infortunio di cui si tratta;

che il terzo motivo è inammissibile, poiché – anche
a prescindere dal fatto che nella sentenza impugnata non è stata disposta
<<la compensazione integrale delle spese dei due gradi di giudizio tra
S.G. ed A.N.>>, come, invece, dedotto dal ricorrente -, alla stregua dei
costanti arresti giurisprudenziali di legittimità, la statuizione sulle spese
di lite è sindacabile in questa sede esclusivamente nell’ipotesi in cui le
stesse vengano poste a carico della parte totalmente vittoriosa (la qual cosa
non è avvenuta nella fattispecie) ed esulando dal potere di controHo della
Suprema Corte la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in
parte, sia nel caso di soccombenza reciproca che in quello in cui sussistano
altri giusti motivi, in quanto tale valutazione rientra nel potere
discrezionale del giudice di merito (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 24502/2017; 8421/2017; 15317/2013);

che, per le considerazioni innanzi svolte, il
ricorso va respinto; che le spese del giudizio di legittimità, liquidate come
in dispositivo, in favore di N.A., seguono la soccombenza; che nulla va
disposto per le spese nei confronti della A.S. di A.A. & C. S.a.s., in
liquidazione, della S.p.A. G.A. e di A.A., rimasti intimati;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla
data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R.
n. 115 del 2002.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore di N.A., liquidate
in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella
misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater del d.P.R.
n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributp unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13.

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