Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 giugno 2020, n. 12428

Rapporto di lavoro, Superiore inquadramento, Accertamento,
Differenze retributive

 

Rileva che

 

la Corte d’Appello di Trieste con sentenza n. 294 in
data 12 giugno – 8 agosto 2014, pronunciando sul gravame interposto da G.A.,
L.F. e da E.S., in riforma dell’impugnata emessa dal giudice del lavoro di
Pordenone il 26 luglio 2012, accertava e dichiarava che l’attore A. aveva
diritto all’inquadramento quarto livello dall’ottobre 2002 a tutto il 2005
nonché dall’aprile 2006 poi al quarto livello B, che l’attore S. aveva diritto
all’inquadramento al quarto livello dal dicembre 2002 e dal livello quattro A
da giugno 2003 in poi e che l’attore F. aveva diritto all’inquadramento quarto
livello dal gennaio 1997 nonché dal giugno 2003 in poi al quarto livello A.
Condannava, di conseguenza, la convenuta G. S.p.A., appellata costituita in
giudizio, al pagamento agli attori delle differenze retributive maturate per
effetto dell’accertato superiore inquadramento dal 15 settembre 2002 quanto
alla posizione di A., dal 26 maggio 2003 per F. e da quinquennio anteriore alla
data di notifica del ricorso introduttivo del giudizio per S., oltre accessori
di legge. Condannava, infine, la società appellata al pagamento delle spese
relative ad entrambi gradi del giudizio;

avverso l’anzidetta pronuncia ha proposto ricorso
per cassazione la S.p.A. G. – con sede in Pordenone, come da atto notificato il
9 febbraio 2015, affidato cinque motivi, cui hanno resistito i soli L.F. ed
E.S. mediante controricorso del 19 marzo 2015, rimanendo intimato l’A..
Soltanto la società ricorrente ha depositato memoria illustrativa;

 

Considerato che

 

con il primo motivo parte ricorrente ha denunciato
violazione e falsa applicazione dell’articolo
10 -sub livello terzo nonché livello quarto- e dell’articolo 11 del c.c.n.I. per i
lavoratori delle aziende municipalizzate di igiene urbana, in data 31 ottobre
1995, in relazione agli articoli 1362, 1363, 1365 e 2103 c.c.;

con la seconda doglianza alla società ricorrente ha
dedotto nullità della sentenza impugnata e del relativo procedimento per
violazione falsa e applicazione degli articoli 112,
324, 342 e 434 c.p.c. anche in relazione all’articolo 2909 c.c., poiché nulla avevano dedotto
gli appellanti in ordine agli altri requisiti ai quali correttamente la
sentenza di primo grado aveva fatto riferimento (disponibilità a turni di
servizio 24 ore su 24 con variazioni di impiego anche nell’arco della stessa
giornata di lavoro unitamente alla imprescindibile idoneità psico-fisica,
possesso delle varie previste certificazioni amministrative professionale in
ordine alla conduzione di tutti i mezzi di trasporto, raccolta spiazzamento
etc. del parco mezzi aziendali per i quali occorreva il necessario possesso
della patente di grado C o superiore; rendicontazione giornaliera scritta del
servizio; svolgimento di compiti di piccola manutenzione riparativa dei mezzi
affidati). In relazione a detti requisiti, nulla essendo stato dedotto degli
appellati, era stata eccepita quindi l’inammissibilità del gravame con
conseguente formazione di giudicato interno, posto che in difetto dei suddetti
requisiti gli interessati, ancorché in possesso di patente C, non potevano
ottenere l’inquadramento nel quarto livello. Tuttavia, la Corte d’Appello non
si era pronunciata sull’anzidetta eccezione, in violazione quindi delle
succitate disposizioni di legge;

con il terzo motivo parte ricorrente, ai sensi dell’articolo 360, comma primo, n. 4 c.p.c., ha
denunciato la nullità della sentenza impugnata e del relativo procedimento per
violazione e falsa applicazione degli articoli 112,
414, 416, 342, 434 e 436 c.p.c. anche in relazione all’articolo 2697 c.c.. La Corte d’Appello avrebbe
dovuto rigettare l’impugnazione, così come richiesto dall’appellata, per
intervenuta decadenza e preclusione della prova sui fatti costitutivi delle
domande, qualora avesse correttamente considerato, in base anche al testo della
norma contrattuale sull’inquadramento, che il possesso della patente C non era
condizione sufficiente per integrare il diritto al conseguimento del quarto
livello. La motivazione al riguardo fornita dalla Corte distrettuale risultava
meramente apparente, poiché non spiegava che la guida avrebbe dovuto riguardare
tutti i mezzi per i quali i lavoratori necessariamente avrebbero dovuto essere
in possesso delle relative autorizzazioni e abilitazione. L’impugnata pronuncia
nulla aveva detto in ordine agli altri requisiti, che avrebbero dovuto essere
comunque provati dai lavoratori istanti, quali fatti costitutivi delle loro
domande di inquadramento del superiore livello;

con il quarto motivo è stato denunciato l’omesso
esame di un fatto decisivo per il giudizio, che era stato oggetto di
discussione tra le parti. Gli intimati, infatti, non avevano condotto tutti i
mezzi del parco aziendale e, comunque, non avevano allegato né dimostrato di
possedere le necessarie certificazioni amministrative e professionali per
farlo. Inoltre, gli intimati non essendo abilitati a condurre, né avendo
effettivamente condotto, tutti i mezzi del parco macchine aziendale, non erano
stati sottoposti a visita di idoneità per la turnazione di 24 ore su 24, né
avevano provveduto alla rendicontazione giornaliera del servizio svolto e
nemmeno avevano disimpegnato compiti di piccola manutenzione riparativa dei
mezzi loro affidati. Il terzo fatto decisivo omesso riguardava l’assegnazione
alla guida di tutti i mezzi del pacco aziendale, laddove la sentenza impugnata
si era limitata ad osservare la singolarità della adibizione alla guida di
detti mezzi “invito domino”. Pure sotto questo profilo la sentenza de
qua non poteva dirsi correttamente motivata, muovendo dall’errato presupposto
che gli intimati fossero stati occupati nella guida di tutti i mezzi, che
invece non avevano mai guidato. Neppure era stato mai chiesto loro di
frequentare corsi professionali appositi per conseguire le necessarie
certificazioni amministrative e professionali attestanti la capacità di
condurre tutti i mezzi di trasporto aziendali. In secondo luogo, si era
trascurato di considerare -per evidente violazione e falsa applicazione di
legge e del contratto collettivo nazionale di lavoro- come già spiegato nel
primo motivo, che il diritto al superiore inquadramento derivava soltanto dal
verificarsi di quanto previsto dall’articolo
11 n. 3 c.c.n.I. 1995 in tema di mutamento di azione. Il fatto costitutivo
riguardava nella specie l’assegnazione espressa alla conduzione di tutti i
mezzi da parte datoriale e quindi il possesso dell’idonea relativa
abilitazione, circostanza tuttavia che non era stata assolutamente allegata, né
dedotta nemmeno a fronte di espressa eccezione formulata con la memoria
difensiva di costituzione in prime cure; con il quinto motivo è stata
denunciata la nullità della sentenza impugnata, ai sensi dell’articolo 360 n. 4 c.p.c., per violazione e falsa
applicazione degli articoli 414, 416, e 425 c.p.c.
anche in relazione all’articolo 2697 c.c., non
essendo state accolte le richieste della società di acquisire informazioni ex art. 425 c.p.c. sul fatto, tra l’altro, che G.
aveva limitato solo a tre dipendenti l’autorizzazione – e la conseguente
verifica delle capacità – alla guida di tutti i mezzi della flotta aziendale,
nonché per aver conculcato il diritto della società di dare prova contraria ex art. 425 rispetto a quanto poi dalla stessa
sentenza impugnata erroneamente statuito, cioè che le parti contrattuali
avevano stabilito che il lavoratore in possesso della patente C ha diritto ad
essere inquadrato nel quarto livello a condizioni date, perché, diversamente
-come peraltro riportato nell’esempio del livello 4°- doveva essere inquadrato
nel terzo livello come correttamente G. aveva fatto;

tanto premesso, il ricorso va disatteso per le
seguenti ragioni, dovendosi in primo luogo rilevare l’insindacabilità in questa
sede, di legittimità, dei motivati accertamenti in punto di fatto operati dalla
Corte di merito. Invero, quest’ultima con la sentenza impugnata ha osservato,
quanto agli istanti A. e F., che vi era prova del possesso da parte di costoro
della patente di categoria C. In merito poi alle tre posizioni, inclusa perciò
quella del S., risultava dimostrato come detti ricorrenti avessero condotto
automezzi del tipo più disparato, inclusi quelli di classe C (notoriamente gli
autocarri di peso superiore a pieno carico oltre 35 q.li), ciò che risultava
dalle deposizioni dei testi C.C., B. e F. (S. e A. erano stati adibiti alla
conduzione di tutti i tipi di automezzi in dotazione all’azienda, mentre il F.
era stato adibito alla guida dell’autocompattatore-spazzatrice). Di
conseguenza, secondo la Corte di merito, una volta provata l’adibizione alla
guida di detti automezzi, sarebbe stato invero singolare se ciò fosse avvenuto
“invito domino” e, fatto ancor più grave, senza abilitazione ed in
mancanza dei requisiti di idoneità. Quanto poi alla declaratoria di cui al contratto
collettivo, la Corte distrettuale ha osservato che il quarto livello competeva
ai lavoratori in grado di condurre tutti i mezzi di trasporto, raccolta e
spazzamento del parco mezzi aziendale per i quali fosse necessario il possesso
di patente di grado C.

Nel caso di specie risultavano dimostrati il
possesso dell’abilitazione e lo svolgimento dell’attività di condotta, mentre
la contrattazione operava una valutazione riferita soltanto all’idoneità a
condurre determinati mezzi, senza aver riguardo alla misura, ai tempi e alla
frequenza di tali mansioni (“… siano in grado di condurre…”),
avendo evidentemente le parti sociali valutato meritevole di considerazione il
dato del “saper fare” e così di poter fornire il proprio apporto
anche in attività di lavoro più complesse ed implicanti diverse nonché maggiori
conoscenze; pertanto, non è ravvisabile alcun errore di interpretazione, nei
sensi invece prospettati con il primo motivo di ricorso, laddove il c.c.n.I.
nell’ambito dei profili e delle funzioni esemplificativi per il 4° livello,
indica in particolare / lavoratori in possesso delle previste certificazioni
amministrative e professionali, acquisite se necessario con appositi corsi
professionali, che siano in grado di condurre tutti i mezzi di trasporto,
raccolta e spazzamento etc. del parco mezzi aziendali per i quali sia
necessario il possesso della patente C o di grado superiore, circostanze tutte
come si è visto insindacabilmente accertate dalla Corte di merito, la cui
decisione, peraltro, è l’unica processualmente rilevante, siccome adottata dal
giudice di grado superiore e soggetta quindi al mezzo d’impugnazione previsto e
disciplinato dall’art. 360 c.p.c.;

non assume valenza dirimente, poi, il fatto che il
contratto collettivo si limiti a precisare che lo svolgimento delle anzidette
mansioni implica inoltre la completa idoneità fisica debitamente certificata,
comprese le turnazioni di servizio 24 ore su 24 e così via, trattandosi appunto
di requisiti ed attività accessori di carattere soggettivo e oggettivo inerenti
alla posizione ed agli obblighi del lavoratore da inquadrare nell’anzidetto
livello e che non differiscono, peraltro, nemmeno in modo significativo da
quanto in proposito richiesto per il III livello (lavoratori che svolgono con
continuità ed organicità, [n maniera contestuale e promiscua, mansioni
riferibili a più aree funzionali e che abbiano idoneità fisica a tutte le
mansioni, debitamente certificata, possesso della partente di grado B,
disponibilità sottoscritta all’atto dell’inquadramento all’effettuazione di
tutti i turni di servizio previsti dall’organizzazione aziendale, compresi quei
turni che si attuano 24 ore su 24 e alle variazioni d’impiego nell’arco della
stessa giornata lavorativa. Tali aree funzionali sono comprensive, oltre che
delle mansioni di cui alla declaratoria di 2° livello, anche di quelle relative
alla guida e utilizzo di tutti i mezzi conducibili con la patente B a
disposizione dell’Azienda … ESEMPI …autista conduttore di automezzi e macchine
operatrici per la guida dei quali è richiesta la partente di grado C o
superiore). Al riguardo, dunque, le censure mosse con il primo motivo di
ricorso (pagg. 3/9) appaiono inconferenti a fronte del dato testuale
valorizzato dalla Corte territoriale circa l’idoneità richiesta dalla
contrattazione collettiva sul punto (il saper fare), unitamente
all’accertamento, in punto di fatto, nel merito circa il possesso di tutte le
certificazioni ed abilitazioni occorrenti ed in ordine alla corrispondente
adibizione, in concreto, evidentemente da parte datoriale, dei tre appellati
alla conduzione di tutti gli automezzi del parco macchine aziendale. Inoltre,
la Corte di merito ha considerato anche inverosimile che tutto ciò sia avvenuto
invito domino, ossia senza il consenso, ancorché tacito, da parte della stessa
datrice di lavoro (fatto ancor più grave nell’ipotesi che tale desunta
adibizione fosse per avventura intervenuta senza abilitazione ed in assenza dei
requisiti di idoneità). Del tutto infondato, poi, appare anche il rilievo della
mancanza di un puntuale incarico al dipendente, quale ulteriore fatto
costitutivo del diritto all’inquadramento superiore, in relazione all’art. 11 del c.c.n.I. 1995 in tema
di mutamento di mansioni, laddove diversamente opinando non potrebbe mai
trovare pratica applicazione la disciplina, inderogabile, di cui all’art. 2103 c.c. (secondo il testo nella specie
ratione temporis applicabile), visto che la norma prevede espressamente la
nullità di ogni patto contrario. Ne deriva che l’adibizione, utile ai fini del
superiore inquadramento ex cit. art. 2103, può,
evidentemente, avvenire anche per fatti concludenti, senza bisogno perciò di un
espresso e/o formale incarico, come in effetti appare accertato nel caso di
specie qui in esame dalla Corte di merito, esclusivamente competente al
riguardo, sicché sono anche inammissibili, in relazione al vizio denunciato ai
sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., le
contestazioni fattuali mosse sul punto (la sentenza, però, muove dall’arretato
presupposto che gli intimati siano stati occupati nella guida di tutti i mezzi
che, per contro, non hanno mai condotto – così a pag. 9 del ricorso per
cassazione.

Cfr. Cass. lav. n. 11938
del 7/8/2003: l’attribuzione al lavoratore di una qualifica superiore in
relazione all’esercizio di fatto, per un determinato periodo, delle mansioni
corrispondenti, ai sensi dell’art. 2103 cod. civ.,
non esige che l’assegnazione delle mansioni avvenga mediante un provvedimento
formale, essendo sufficiente a tal fine che di fatto detta assegnazione avvenga
ad opera del datore di lavoro. V. analogamente Cass.
lav. n. 7018 del 27/5/2000, secondo cui l’attribuzione al lavoratore di una
qualifica superiore in relazione all’esercizio di fatto, per un determinato
periodo, delle mansioni corrispondenti, ai sensi dell’art. 2103 cod. civ., non esige che l’assegnazione
delle mansioni avvenga mediante un provvedimento formale, essendo sufficiente a
tal fine che il datore di lavoro, anche mediante un comportamento concludente,
manifesti il consenso all’espletamento delle mansioni superiori. Parimenti si è
pronunciata questa Corte con la sentenza n. 11710 del 10/11/1995, secondo cui a
norma dell’art. 2103 cod. civ. -come modificato
dall’art. 13 della legge 30
maggio 1970 n. 300- applicabile anche agli enti pubblici economici, il
diritto alla promozione alla categoria superiore non viene meno per il fatto
che, in base a norme regolamentari o convenzionali, l’ente datore di lavoro sia
tenuto a ricoprire i posti vacanti mediante concorso. In senso conforme anche Cass. lav. n. 251 del 10/01/2007, tenuto conto
che, ove il datore di lavoro abbia natura giuridica privata, le norme che
prevedono la selezione interna per le promozioni hanno portata di norme
convenzionali di diritto privato, tali da non poter costituire idonea fonte
derogatrice rispetto all’art. 2103 cod. civ.);

le precedenti considerazioni, circa l’infondatezza e
l’inammissibilità delle censure formulate con il primo motivo di ricorso, sono
evidentemente assorbenti rispetto alle questioni poste con doglianze mosse con
il secondo motivo, peraltro senza nemmeno riprodurre ex art. 366 n. 6 c.p.c. la <<memoria
autorizzata dd. 20.5.2012 – di compendio del primo grado», rispetto alla quale
si assumono carenti allegazioni da parte degli attori – appellanti, sicché non
è possibile neanche verificare ricorrenza dei pretesi errores in procedendo ivi
dedotti, peraltro da escludere in base alla complessiva motivazione della
sentenza d’appello, che decidendo nel merito sulle reiterate domande dei
lavoratori istanti ha in tal modo implicitamente superato anche le questioni
poste con la suddetta non meglio indicata memoria del 20 maggio 2012 (non è
stato infatti precisato se si sia trattato di autorizzazione ex art. 420, 1 co., ultimo periodo, c.p.c. <<Le
parti possono, se ricorrono gravi motivi, modificare le domande, eccezioni e
conclusioni già formulate, previa autorizzazione del giudice>>, a fronte
degli oneri di precisa contestazione imposti dall’art.
416 dello stesso codice, ovvero di mere note difensive consentite dal
giudicante ai sensi del sesto comma del medesimo articolo
420, ovvero delle note, anch’esse però di carattere meramente illustrativo,
previste dal secondo comma dell’art. 429 c.p.c.

Per altro verso, cfr. anche Cass. I civ. n. 13425
del 30/06/2016, secondo cui in sede di impugnazione, non rileva né l’omessa
pronuncia su di un’eccezione di inammissibilità, né l’omessa motivazione su
tale eccezione, atteso che solo l’effettiva esistenza dell’inammissibilità
denunciata sarebbe idonea a determinare la decisione del giudice del gravame
che, accogliendo le richieste in relazione alle quali l’eccezione è stata
formulata, l’ha implicitamente rigettata. V. analogamente Cass. n. 15843 del
28/07/2015: l’inammissibilità è una invalidità specifica delle domande e delle
eccezioni delle parti ed è pronunciata nel caso in cui manchino dei requisiti
necessari a renderle ritualmente acquisite al tema del dibattito processuale.
Pertanto, se il giudice di merito omette di pronunciarsi su un’eccezione di
inammissibilità, la sentenza di merito non è impugnabile per l’omessa pronuncia
o per la carenza di motivazione, ma unicamente per l’invalidità già vanamente
eccepita, in quanto ciò che rileva non è il tenore della pronuncia impugnata,
bensì l’eventuale esistenza appunto di tale invalidità.

Cass. I civ. n. 17956/2015: la decisione di
accoglimento della domanda della parte comporta anche la reiezione
dell’eccezione d’inammissibilità della domanda stessa, avanzata dalla
controparte, senza che, in assenza di specifica argomentazioni, sia
configurabile un vizio di omessa motivazione, dovendosi ritenere implicita la
statuizione di rigetto ove la pretesa o l’eccezione non espressamente esaminata
risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia.
Parimenti, secondo Cass. II civ. n. 20311 del 4/10/2011, ad integrare gli
estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa
statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il
provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto:
ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della
pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica
argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando
la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti
incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia. In senso analogo
v. anche Cass. nn. 16788 del 2006 e 10696 del
2007);

le stesse precedenti argomentazioni valgono anche in
relazione alle doglianze formulate con il terzo motivo di ricorso, laddove in
pratica si ripropongono le medesime questioni prospettate con le prime due
censure, dovendosi quindi escludere i prospettati errores in procedendo, alla
stregua delle complessive argomentazioni poste a sostegno della pronuncia di
merito, di certo peraltro non inferiori al minimo costituzionale occorrente ex artt. 111
Cost., 132
n. 4 c.p.c.e 118 disp. att. dello stesso codice (cfr. sul punto
in part. Cass. sez. un. civ. nn. 8053 e 8054
del 2014, nonché successiva conforme giurisprudenza di legittimità in
proposito), laddove inoltre del tutto inconferente appare anche il richiamo
dell’art. 2697 c.c., norma che disciplina unicamente
l’onere probatorio delle parti in ordine a contrapposte pretese, ma non già il
libero apprezzamento delle risultanze processuali e probatorie, comunque
acquisite agli atti, da parte del giudice di merito, esclusivamente competente
al riguardo, valutazioni pertanto insindacabili in sede di legittimità, il cui
controllo, come pure è noto, non si estende anche al fondamento, o meno, del
ragionamento decisorio del provvedimento impugnato (v. tra le altre Cass. I
civ. n. 16526 del 5/8/2016: in tema di ricorso per cassazione per vizi della
motivazione della sentenza, il controllo di logicità del giudizio del giudice
di merito non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia
dell’opzione che ha condotto tale giudice ad una determinata soluzione della
questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe, pur a fronte di un possibile
diverso inquadramento degli elementi probatori valutati, in una nuova
formulazione del giudizio di fatto.

Parimenti, secondo Cass.
sez. 6 – 5, ordinanza n. 91 del 7/1/2014, il controllo di logicità del
giudizio di fatto -nella specie ivi esaminata in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.,
secondo il testo previgente allora ratione temporis applicabile, che ammetteva
anche la valutazione di una carente motivazione in ordine ad un punto decisivo
della controversia- non equivale alla revisione del “ragionamento
decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad
una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si
tradurrebbe in una nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con
la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità. Ne consegue
che, ove la parte abbia dedotto un vizio di motivazione, la Corte di Cassazione
non può procedere ad un nuovo giudizio di merito, con autonoma valutazione
delle risultanze degli atti, né porre a fondamento della sua decisione un fatto
probatorio diverso od ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice di
merito. In senso conforme, v. altresì Cass. nn.
15489 del 2007 e 5024 del 2012); è inammissibile anche il quarto motivo,
per tutte le considerazioni sopraenunciate riguardo alle prime tre censure, cui
di conseguenza si rimanda integralmente per brevità al fine di evitare
superflue ripetizioni, non ravvisandosi in sintesi alcun fatto, in senso
storico, e decisivo (soprattutto per le ragioni indicate con riferimento alla
prima doglianza), di cui sia stato omesso l’esame, mentre le circostanze
all’uopo dedotte (v. pagine da 14 a 19 del ricorso per cassazione), attengono
più che altro a questioni di diritto inerenti all’applicazione della
contrattazione collettiva nel caso di specie, alla corretta portata dell’art. 2103 c.c. ed agli accertamenti in punto di
fatto compiuti dalla Corte di merito, da questa giudicati in senso favorevole
alle pretese azionate dai lavoratori istanti;

parimenti deve osservarsi, infine, per il quinto e
ultimo motivo di ricorso, la cui doglianza non appare per nulla pertinente, in
particolare, rispetto alle previsioni dell’art. 425
c.p.c., concernente le richieste di informazioni e osservazioni alle
associazioni sindacali, associazioni però neppure indicate dalla parte
interessata, contrariamente a quanto invece richiesto sul punto dal primo comma
dello stesso art. 425, mentre d’altro canto gli
ultimi due commi della medesima norma prevedono soltanto il potere
(“può”) del giudice di provvedere al riguardo, perciò chiaramente del
tutto discrezionale, laddove se ne ravvisi la necessità, attesa per contro
nella specie la non controversa formulazione della contrattazione collettiva di
riferimento, perciò assolutamente pacifica tra le parti, per quanto concerne le
declaratorie del III e IV livello, con relativi profili. Del resto, la
possibilità di richiedere informazioni ex cit. art.
425 non è di certo equiparabile ad un vero e proprio mezzo di prova, sicché
appare del tutto fuori luogo l’affermazione della ricorrente circa l’asserito
conculcamento del suo diritto a dare prova contraria ex art. 425, tenuto conto per giunta dell’anzidetta omessa
indicazione dell’organizzazione sindacale cui la richiesta si sarebbe dovuta
rivolgere, nonché dell’assoluta genericità del riferimento alla limitata
autorizzazione a soli tre dipendenti per la guida di tutti i mezzi della flotta
aziendale, autorizzazione per contro evidentemente ritenuta dalla Corte di
merito in base all’adizione di fatto degli appellanti, attuali intimati, da
parte datoriale alla conduzione in concreto di tutti i macchinari in possesso
della società. Peraltro, proprio le deduzioni contenute nelle pagine 21 e 22
del ricorso (6.a il negato diritto al 4° livello per il fatto di non aver
guidato tutti i mezzi del parco aziendale – 6.b limitazione da parte di G. solo
a tre dipendenti dell’autorizzazione -con conseguente verifica delle capacità-
alla guida di tutti i mezzi della flotta aziendale … scelta insindacabile ex art. 41 Cost, frutto di intese a livello sindacale
mai disdettate) confermano, ancorché indirettamente, la corretta applicazione
della normativa di riferimento operata nella specie dalla Corte di merito, la
quale, nell’accertare in concreto la suddetta adibizione, da parte della stessa
datrice di lavoro, presupponendo con ciò pure la positiva verifica dei
requisiti e delle capacità professionali, altrimenti inverosimile per la
gravità di un tale comportamento, ha tratto le dovute conseguenze a norma della
disciplina inderogabile di cui al cit. art. 2103,
indipendentemente dalla libertà d’iniziativa economica privata riconosciuta
dall’art. 41 Cost. però anche secondo le
limitazioni ivi previste unitamente pure alle tutele di cui agli artt. 35 e 36 della
stessa Carta, in base altresì alla contrattazione collettiva così come
interpretata, però in modo non del tutto difforme da quanto sopra dedotto dalla
stessa ricorrente. Invero, sul punto quest’ultima, in definitiva, contestava il
diritto ex adverso preteso per il solo fatto che gli attori non avrebbero
guidato tutti i mezzi del parco aziendale (però in contrasto con quanto
appurato insindacabilmente dalla Corte triestina) a differenza degli altri tre
dipendenti, a tale scopo autorizzati dalla stessa datrice di lavoro sulla
scorta di non meglio indicate intese raggiunte a livello sindacale;

dunque, il ricorso deve essere respinto, senza alcun
regolamento delle spese limitatamente al solo intimato A., per il quale
comunque non vi è stata alcuna specifica difesa in suo favore. Per contro, la
società, rimasta soccombente, deve rimborsare le spese in favore dei
controricorrenti;

infine, stante l’esito integralmente negativo
dell’impugnazione qui proposta, ricorrono i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 2002.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna la società ricorrente al pagamento delle
spese relative a questo giudizio, che liquida, in favore dei soli
controricorrenti, in complessivi 5000,00 euro per compensi professionali ed in
euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per
legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n.
115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis,
dello stesso art. 13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 giugno 2020, n. 12428
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