Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 luglio 2020, n. 13283

Medici iscritti a corsi di specializzazione per le professioni
sanitarie in anni accademici successivi al 1999 ed anteriori al 2006/2007,
Borsa di studio, Compenso previsto dal D.Lgs. 17
agosto 1999 n. 368, Riconoscimento della differenza economica

 

Fatti di causa

 

S.C., A.Z., R.L., M.L.C. e R.T., medici iscritti a
corsi di specializzazione per le professioni sanitarie in anni accademici
successivi al 1999 ed anteriori al 2006/2007, hanno agito in giudizio nei
confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, del Ministero dell’Economia e
delle Finanze, del Ministero della Salute, nonché dell’Università Politecnica
delle Marche per ottenere il riconoscimento della differenza economica tra la
borsa di studio percepita, ai sensi del decreto legislativo 8 agosto 1991 n.
257, ed il compenso previsto dal decreto
legislativo 17 agosto 1999 n. 368, con il quale erano state recepite
nell’ordinamento italiano le direttive comunitarie n. 75/362, n. 82/76 e n.
93/16 (con le successive integrazioni), ma la concreta operatività dei cui
effetti economici era stata differita fino all’anno accademico 2006/2007,
ovvero il danno per la mancata percezione di adeguata remunerazione e della
relativa copertura assistenziale, assicurativa e previdenziale.

La domanda è stata rigettata dal Tribunale di Roma.

La Corte di Appello di Roma ha confermato la
decisione di primo grado.

Ricorrono la C., la Z., la L., il L.C. e la T.,
sulla base di cinque motivi.

Resistono con controricorso la Presidenza del
Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della
Ricerca, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Ministero della Salute,
nonché l’Università Politecnica delle Marche.

È stata disposta la trattazione in camera di
consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380 bis c.p.c.,
in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere
dichiarato in parte inammissibile ed in parte manifestamente infondato.

È stata quindi fissata con decreto l’adunanza della
Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della
proposta.

I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis, comma 2, c.p.c..

Il Collegio ha disposto che sia redatta motivazione
in forma semplificata.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia «Art. 360 co. 1 n. 3) e n. 4) c.p.c.: violazione
e/o falsa applicazione di norme di diritto – artt.
112 e 342 c.p.c.. artt. 1292, 1294 e
1298 c.c.

– in riferimento all’art.
132 n. 4 c.p.c.; vizio di motivazione e omessa pronuncia: nullità della
sentenza per mancanza della motivazione, con riferimento alla questione
relativa alla legittimazione passiva in capo ai Ministeri convenuti, oggetto
del primo motivo di appello rubricato sub lettera Al) e trattato dalla sentenza
odiernamente impugnata (cfr. doc. 1) da pag. 2 riga 22 a pag. 4 riga 21».

Con il secondo motivo si denunzia «Art. 360 co. 1 n. 3) e n. 4) c.p.c.: violazione
e/o falsa applicazione di norme di diritto – artt.
112 e 342 c.p.c., artt. 1292, 1294 e
1298 c.c. – in riferimento all’art. 132 n. 4 c.p.c.: vizio di motivazione e
omessa pronuncia: nullità della sentenza per mancanza della motivazione, con
riferimento alla questione relativa alla legittimazione passiva in capo alla
Presidenza del Consiglio dei Ministri rispetto alla domanda proposta in via
principale, oggetto del primo motivo di appello rubricato sub lettera A2) e
trattato dalla sentenza odiernamente impugnata (cfr. doc. 1) a pag. 4 da riga 7
a riga 21».

Con il terzo motivo si denunzia «Art. 360 co. 1 n. 3) e n. 5) c.p.c.: violazione
e/o falsa applicazione di norme di diritto in riferimento all’art. 2909 c.c., agli artt.
2935 e ss. c.c., all’art. 112 c.p.c. all’art. 343 c.p.c. e all’art.
324 c.p.c.; omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di
discussione tra le parti risultante dal testo della sentenza con riferimento
alla questione relativa alla prescrizione dei diritti degli attori trattato
dalla sentenza odiernamente impugnata (cfr. doc. 1) da pag. 5 secondo capoverso
a pag. 6, dispositivo penultimo capoverso».

Con il quarto motivo si
denunzia «Art. 360 co. 1 n. 3) e n. 5) c.p.c.:
violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in riferimento agli artt. 116 c.p.c.. agli artt.
1173 e ss c.c., all’art. 1218 c.c.. all’art. 1 comma 300 legge n. 23/12/2005
n. 266, nonché al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del
7/03/2007 in relazione alla direttive n. 82/76/CE E e n. 93/16/CEE, al D.Lgs. n. 257 del 1991 e al D.Lgs. n. 368 del 1999; omesso esame di un fatto
decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti risultante dal
testo della sentenza con riferimento alle domande tutte formulate dagli attori,
come ribadite nei motivi di appello sub lettera B), sub lettera C) e al
paragrafo relativo alla “indicazione delle circostanze da cui deriva la
violazione della legge e la loro rilevanza ai fini della decisione
impugnata” e trattato dalla sentenza odiernamente impugnata (cfr. doc. 1)
da pag. 6 a pag. 10, dispositivo compreso».

I primi quattro motivi del ricorso sono logicamente
connessi e possono quindi essere esaminati congiuntamente.

Essi sono manifestamente infondati.

La decisione impugnata è infatti – con riguardo alla
questione centrale posta dalle domande dei medici attori, della spettanza delle
pretese economiche dagli stessi avanzate – pienamente conforme ai seguenti
principi di diritto (eventualmente, se necessario, da intendersi come
correzioni ed integrazioni delle affermazioni contenute nella decisione
impugnata), già enunciati da questa Corte e del resto ormai oggetto di
indirizzi consolidati, che le difese dei ricorrenti (sia quelle esposte nel
ricorso, sia quelle esposte nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis, comma 2, c.p.c.) non offrono
argomenti idonei a rimeditare (cfr., tra le più recenti pronunzie massimate:
Cass., Sez. L, Sentenza n. 4449 del 23/02/2018, Rv. 647457 – 01 e 02; Sez. 6-3,
Ordinanza n. 6355 del 14/03/2018, Rv. 648407 – 01; Sez. 6-3, Ordinanza n. 13445
del 29/05/2018, Rv. 648963 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 13572 del 20/05/2019,
Rv. 654216 – 01; in quest’ultima decisione è tra l’altro espressamente escluso
ogni dubbio di legittimità costituzionale e di compatibilità con il diritto
dell’Unione europea della normativa applicabile, affermandosi l’inutilità di
una remissione degli atti alla Corte di giustizia; cfr. altresì: Sez. L,
Sentenza n. 11565 del 26/05/2011, Rv. 617321 – 01; in particolare, sulla natura
dell’attività svolta dagli specializzandi, non equiparabile a quella derivante
da rapporto di lavoro autonomo o subordinato e, quindi, a quella svolta dai
medici strutturati: Sez. L, Sentenza n. 20403 del 22/09/2009, Rv. 610255 – 01; Sez. L, Sentenza n. 1891 del 09/02/2012, Rv.
620912 – 01; Sez. L, Ordinanza n. 18670 del
27/07/2017, Rv. 645008 – 01; cfr., inoltre, tra le decisioni
sostanzialmente conformi a quelle citate, ma non massimate: Cass., Sez. 6 – 3,
Ordinanze nn. 24708, 24803, 24804 e 24805 del 09/10/2018; nn. 20417 e 20419 del
02/08/2018; nn. 20377 e 20380 del 01/08/2018; n. 20184 del 31/07/2018; nn.
17051 e 17052 e del 28/06/2018; n. 16805 del 26/06/2018; n. 15963 del
18/06/2018; nn. 13519, 13524 e 13525 del 30/05/2018; nn. da 13446 a 13452 del
29 maggio 2018):

l’attività svolta dai medici iscritti alle scuole di
specializzazione universitarie non è inquadrabile nell’ambito del rapporto di
lavoro subordinato, né del lavoro autonomo, ma costituisce una particolare
ipotesi di contratto di formazione – lavoro, oggetto di specifica disciplina,
rispetto alla quale non può essere ravvisata una relazione sinallaomatica di
scambio tra la suddetta attività e la remunerazione prevista dalla legge a
favore degli specializzandi, in quanto tali emolumenti sono destinati a
sopperire alle esigenze materiali per l’impegno a tempo pieno degli interessati
nell’attività rivolta alla loro formazione e non costituiscono, quindi, il
corrispettivo delle prestazioni svolte, le quali non sono rivolte ad un
vantaggio per l’università, ma alla formazione teorica e pratica degli stessi
specializzandi e al conseguimento, a fine corso, di un titolo abilitante: gli
obblighi di attuazione della normativa comunitaria in tema di adeguata
remunerazione per la frequenza delle scuole universitarie di specializzazione
in medicina e chirurgia derivanti dalle direttive CE n. 75/362. n. 75/363 e n.
82/76 – che non prevedono una precisa misura del compenso minimo spettante agli
specializzandi – devono ritenersi adempiuti dallo Stato italiano con la borsa
di studio introdotta dal decreto legislativo n. 257 del 1991, nella sua misura
originaria; la direttiva comunitaria n. 93/16 non introduce alcun nuovo ed
ulteriore obbligo con riguardo alla misura della suddetta adeguata
remunerazione:

la previsione di un trattamento economico più
elevato per i medici specializzandi. a decorrere dall’anno accademico
2006/2007. in coincidenza con la riorganizzazione dell’ordinamento delle scuole
di specializzazione e con l’introduzione del contratto di formazione
specialistica operate nell’ordinamento interno con il decreto legislativo n. 368 del 1999, non
costituisce il primo atto di adempimento dei suddetti obblighi comunitari in
relazione all’adeguatezza della renumerazione. e non comporta alcun obbligo
dello Stato di estendere il nuovo trattamento economico ai medici che hanno
frequentato le scuole di specializzazione negli anni accademici anteriori al
2006/2007;

in tema di trattamento economico dei medici
specializzandi e con riferimento alla domanda risarcitoria per non adeguata
remunerazione, l’importo della borsa dì studio prevista dall’art. 6 del d.lgs.
8 agosto 1991, n. 257 non è soggetto ad incremento in relazione alla variazione
del costo della vita per l’anno 1992, in applicazione di quanto disposto dall’art. 1, comma 33, della legge 2
dicembre 1995, n. 549, trattandosi di misura, (v. sentenza Corte cost. n. 432 del 1997) non irragionevole nè
discriminatoria, perchè riferita ad un arco temporale limitato e coerente
rispetto al “corpus” normativo, in cui è stata inserita, volto ad
impedire, anche nel settore della sanità, gli incrementi retributivi
conseguenziali ad automatismi stipendiali; la predetta sospensione, inoltre,
non contrasta con la Direttiva 82/76/CEE del Consiglio del 26 gennaio 1982
(recepita con il predetto d.lgs. n. 257 del 1991, in attuazione della legge 29 dicembre 1990, n.428) in guanto in detta
disciplina comunitaria non è rinvenibile una definizione di retribuzione
adeguata, né sono posti i criteri per la determinazione della stessa.

l’importo delle borse di studio dei medici
specializzandi iscritti ai corsi di specializzazione negli anni accademici dal
1998 al 2005 non è soggetto all’adeguamento triennale previsto dall’art. 6,
comma 1, del d. Igs. n. 257 del 1991, in guanto l’art. 32, comma 12, della I. n. 449
del 1997, con disposizione confermata dall’art. 36, comma 1, della I. n. 289 del
2002, ha consolidato la Quota del Fondo sanitario nazionale destinata al
finanziamento delle borse di studio ed escluso integralmente l’applicazione del
citato art. 6.

È in proposito appena il caso di osservare, che l’indirizzo
di questa Corte cui si intende dare continuità nella presente sede solo
apparentemente potrebbe risultare contraddetto da due identiche e coeve
decisioni della stessa Sezione Lavoro (Cass., Sez. L, Sentenze n. 8242 e 8243
del 22/04/2015), la cui motivazione non affronta peraltro espressamente la
problematica relativa alla fattispecie fin qui illustrata (cioè quella relativa
alla situazione degli iscritti ai corsi di specializzazione negli anni
accademici successivi al 1998 ed anteriori al 2006/2007), e richiama invero gli
indirizzi espressi da questa Corte in relazione alla diversa situazione dei
medici che avevano frequentato le scuole di specializzazione anteriormente al
1991. In ogni caso i suddetti precedenti devono ritenersi superati, anche nell’ambito
della Sezione Lavoro, dalla successiva (e già richiamata) decisione n. 4449 del
23/02/2018, che risulta sul punto ampiamente argomentata.

La radicale infondatezza, sotto ogni profilo
sostanziale, delle pretese economiche avanzate dai medici attori comporta
l’assorbimento, in quanto in concreto irrilevanti, delle altre questioni poste
con i motivi di ricorso in esame, in particolare di quelle relative alla
legittimazione passiva delle amministrazioni convenute ed alla prescrizione.

2. Con il quinto motivo si denunzia «Art. 360 co. 1 n. 3) c.p.c.: violazione e/o falsa
applicazione di norme di diritto in riferimento all’art.
2041 c.c. e agli artt. 112 e 342 c.p.c.; violazione e/o falsa applicazione di
norme di diritto in riferimento all’art. 132 n. 4
c.p.c.; vizio di motivazione e omessa pronuncia sulla questione relativa al
diritto all’indennizzo per ingiustificato arricchimento fatta oggetto del
motivo di appello rubricato sub lettera D) e non trattato dalla sentenza
odiernamente impugnata».

Il motivo è inammissibile, ancor prima che
manifestamente infondato.

Per quanto emerge dalle stessa esposizione sommaria
dei fatti contenuta nel ricorso, la domanda di ingiustificato arricchimento ai
sensi dell’art. 2041 c.c. non era stata
proposta con l’originario atto introduttivo del giudizio (cfr. i paragrafi 1,
la, 2 e 3 della “esposizione sommaria dei fatti”, a pag. 3 e 4 del
ricorso). I ricorrenti deducono di averla avanzata in sede di precisazione
delle conclusioni (cfr. il paragrafo 4 della “esposizione sommaria dei
fatti”, a pag. 4 e 5 del ricorso), nonché in sede di gravame (cfr. il
paragrafo 6, sub. D, della “esposizione sommaria dei fatti”, a pag. 8
del ricorso), ma non precisano se la avevano formulata prima, ed eventualmente
in quale atto ed in quale fase processuale, né se avevano operato in tal senso
una precisazione o modificazione delle domande originarie, nei termini di
legge. Ciò non consente a questa Corte di valutare se effettivamente la
suddetta domanda sia stata avanzata tempestivamente nel corso del giudizio di
merito e se si tratti quindi di domanda ammissibile o di una inammissibile
domanda nuova e, di conseguenza, di verificare la sussistenza di un interesse
concreto sotteso al motivo di ricorso in esame. In ogni caso, anche per
completezza espositiva, è opportuno rilevare che tale domanda risulta comunque
manifestamente infondata, sulla base dei principi di diritto esposti in
precedenza in relazione ai primi quattro motivi di ricorso.

Come già chiarito, infatti, le prestazioni svolte
dai medici specializzandi non possono considerarsi rivolte ad un vantaggio per
l’università, ma esclusivamente alla formazione teorica e pratica degli stessi
specializzandi e al conseguimento, a fine corso, di un titolo abilitante.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte (che il
ricorso non contiene argomenti idonei a indurre a rimeditare), d’altra parte,
in base alle direttive europee che prevedono una adeguata remunerazione per la
frequenza di corsi di specializzazione universitaria – direttive non
applicabili prima del loro recepimento nell’ordinamento interno – non può
configurarsi un indebito arricchimento delle università presso le quali i
medici specializzandi hanno svolto la loro attività e, tanto meno, dello Stato
(Cass., Sez. L, Sentenza n. 9842 del 06/07/2002, Rv. 555587 – 01; Sez. L, Sentenza n. 6427 del 11/03/2008, Rv.
602055 – 01; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 307 del 09/01/2014, Rv. 629469 – 01).

È stato già affermato in proposito (Cass., Sez. 3,
Ordinanza n. 19744 del 23/07/2019, non massimata) che i medici che hanno frequentato
corsi di specializzazione a partire dall’anno accademico 1983 (e si siano
iscritti dopo il gennaio 1982), sono titolari dell’azione di responsabilità
contrattuale “ex lege” contro lo Stato per l’inadempimento
dell’obbligazione di attuazione delle direttive e, quindi, non possono agire
con azione di indebito arricchimento, stante il carattere sussidiario di
quest’ultima, mentre per quelli che hanno frequentato corsi di specializzazione
anteriormente al 1983 (o comunque che si sono iscritti prima del gennaio 1982),
le prestazioni svolte trovano comunque causa nel rapporto instaurato con
l’università per la frequenza della scuola, il che esclude la sussistenza di un
ingiustificato arricchimento di quest’ultima. A maggior ragione, dunque, ad
analoghe conclusioni deve evidentemente pervenirsi con riguardo ai medici che
hanno frequentato corsi di specializzazione dopo il 1991, in base alla
disciplina di cui al decreto legislativo n. 257 del 1991, le attività svolte
dai quali trovano causa nel peculiare rapporto contrattuale di formazione –
lavoro, oggetto di detta specifica normativa e che quindi dispongono
dell’azione contrattuale per ottenere la remunerazione da essa prevista.

3. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede,
sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti
processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità
dell’impugnazione) di cui all’art.
13, co. 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, co. 17, della legge 24
dicembre 2012 n. 228.

 

P.Q.M.

 

– rigetta il ricorso;

– condanna i ricorrenti a pagare le spese del
giudizio di legittimità in favore delle amministrazioni controricorrenti,
liquidandole in complessivi € 7.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità
dell’impugnazione) di cui all’art.
13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012 n. 228, per il versamento, da parte dei ricorrenti,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma
del comma 1 bis dello stesso art.
13.

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