Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 luglio 2020, n. 13910
Accertamento natura subordinata del rapporto, Carica di
amministratore unico, Natura meramente formale della carica
Rilevato che
1. la Corte di appello di Lecce – sezione distaccata
di Taranto -, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda
con la quale V.E. aveva chiesto l’accertamento della natura subordinata del
rapporto intercorso con la società E. s.r.l. nell’ambito della quale aveva
rivestito la carica di amministratore unico;
1.1. secondo il giudice di appello le emergenze
probatorie non dimostravano l’assunto dell’originario ricorrente circa la
natura meramente formale della carica di amministratore unico della società
dallo stesso rivestita, giustificato con l’essere la società, di fatto ed in
via esclusiva, amministrata dall’altro socio, G.E., fratello del ricorrente;
2. per la cassazione della decisione ha proposto
ricorso nei confronti di E. s.r.l., in liquidazione, V.E. sulla base di cinque
motivi; il Fallimento di E. s.r.l. ha resistito con tempestivo controricorso;
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente
deduce violazione e falsa applicazione degli artt.
2086, 2094, 2104,
2380, 2381, 2697, cod. civ.. Premessa la compatibilità della
qualifica di amministratore di società di capitali con la esistenza di un
rapporto di lavoro subordinato, qualora risulti in concreto l’effettivo
assoggettamento, nonostante la carica di amministratore rivestita, dell’organo
di amministrazione della società, ascrive alla sentenza impugnata l’errore in
diritto di avere, in sintesi, ritenuto che la esistenza di un rapporto di
lavoro subordinato non potesse che escludere il compimento di qualunque atto,
anche meramente formale, rientrante nelle attribuzioni dell’amministratore
della società;
2. con il secondo motivo di ricorso deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 115
e 116 cod. proc. civ. Premesso l’obbligo del
giudice di merito di decidere la controversia sulla base delle prove prodotte
in giudizio dando conto di avere esaminato il materiale probatorio acquisito al
processo senza ignorare elementi di prova astrattamente decisivi al fine della
ricostruzione dei fatti, si duole della esclusione di ogni rilevanza alla
deposizione testimoniale resa dal genitore dei germani E., esclusione
scaturente dalla aprioristica valutazione di inattendibilità dello stesso;
3. con il terzo motivo deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’ulteriore
profilo rappresentato dalla attribuzione agli elementi di prova di un contenuto
difforme da quello effettivo. Richiama e trascrive in parte le deposizioni dei
testi G.P. e G.E., contestando che essi si fossero limitati a riferire della
modalità organizzativa della società e della divisione dei compiti fra i soci,
come, invece, ritenuto dalla sentenza impugnata;
4. con il quarto motivo deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., denunziando il preteso
travisamento del contenuto del verbale di assemblea del 25.11.2003;
5. con il quinto motivo deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 232, 115 e 116 cod. proc.
civ., censurando la sentenza impugnata per avere omesso di valutare la
circostanza relativa alla mancata presentazione – senza giustificato motivo-
del legale rappresentante per rendere l’interrogatorio formale;
6. il primo motivo di ricorso è infondato;
6.1. il giudice di appello ha premesso che con la
domanda di primo grado V.E. aveva dedotto il carattere solo formale della
carica di amministratore unico della E. s.r.l. rivestito nel periodo in
controversia per essere la società amministrata, di fatto ed in via esclusiva,
dal fratello G., anch’esso socio; a questi competevano, infatti, le decisioni
in ordine all’attività strategica e finanziaria della società mentre al
ricorrente ed all’altro fratello, L., era riservato un ruolo meramente
esecutivo, pur svolgendo i suddetti mansioni tecniche di rilevante importanza e
responsabilità.
6.2. la sentenza impugnata si confronta con tale
prospettazione laddove ritiene che le emergenze in atti deponevano per il
carattere non formale dell’incarico rivestito dall’odierno ricorrente e che non
aveva trovato conferma il preteso ruolo di sovraordinazione nella gestione
della società ascritto al fratello Giuseppe. Le ragioni alla base del decisum
non si pongono, quindi, in contrasto con i principi elaborati da questa Corte
in tema di cumulabilità della carica di amministratore di una società di
capitali con un rapporto di lavoro dipendente (cfr., tra le altre, Cass. n. 19596 del 2016) posto che la esclusione
del ricorrere di tale ipotesi non è frutto della negazione in astratto di tale
giuridica possibilità ma della ricognizione della concreta fattispecie a mezzo
delle risultanze di causa alla stregua delle quali era da escludere che al
fratello del ricorrente facessero capo gli effettivi poteri di direzione e
gestione della società;
7. il secondo, il terzo ed il quarto motivo di
ricorso, esaminati congiuntamente per l’evidente connessione, sono
inammissibili, per non essere le censure articolate riconducibili all’ambito
della violazione o falsa applicazione degli artt.
115 e 116 cod. proc. civ. le quali non possono
porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal
giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che
quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti,
ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso,
valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero
abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento
critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. n. 1229 del
2019, Cass. n. 27000 del 2016);
7.1. le censure articolate dall’odierno ricorrente,
infatti, sono incentrate sulla contestazione del significato probatorio delle
emergenze della prova orale e documentale e della valutazione di inattendibilità
della testimonianza del genitore dell’odierno ricorrente e, quindi, intese a
sollecitare un sindacato di merito estraneo ai compiti del giudice di
legittimità il quale non ha il potere di riesaminare autonomamente il merito
della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio bensì soltanto quello
di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza
logico – formale, le argomentazioni svolte dal giudice di merito al quale
spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio
convincimento, controllarne l’attendibilità e concludenza nonché scegliere tra
le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a
dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza
all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente
previsti dalla legge (Cass. n. 24679 del 2013, Cass. n. 2197 del 2011, Cass. n. 20455 del 2006, Cass. n. 7846 del 2006);
tanto assorbe il rilievo dell’ulteriore profilo di inammissibilità rinvenibile
nella violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod.
proc. civ. per mancata integrale trascrizione della risultanza processuale
del cui apprezzamento ci si duole e per mancata indicazione della sede di
relativa reperibilità nell’ambito del fascicolo di merito, come onere del
ricorrente (Cass. n. 29093 del 2018, Cass. n. 195 del 2016 Cass. n. 16900 del
2015, Cass. n. 26174 del 2014, Cass. Sez. Un, n. 7161 del 2010);
8. il quinto motivo è infondato. Premesso quanto
osservato al paragrafo 7 in punto di configurabilità del vizio di violazione e
falsa applicazione di norma di diritto in relazione agli artt. 115 e 116 cod.
proc. civ., con riferimento al dedotto vizio di motivazione si rileva che
la ricostruzione fattuale alla base della sentenza impugnata non risulta
incrinata dalla censura articolata dalla società ricorrente, non coerente con
l’attuale configurazione del vizio di motivazione ex art.
360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., che esige la deduzione di omesso esame
di un fatto decisivo, di un fatto un fatto inteso nella sua accezione storico
fenomenica, principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o
modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione
probatoria), evocato nel rispetto de gli oneri di allegazione e produzione
posti a carico del ricorrente ai sensi degli artt.
366, co. 1, n. 6 e 369, co. 2, n. 4 cod. proc.
civ. (Cass. Sez. Un. n. 8053 del 2014);
tale connotato di decisività non è declinabile in relazione alla mancata
risposta all’interrogatorio formale da parte del legale rappresentante della
società posto che, ai sensi dell’art. 232 cod.
proc. civ., alla stessa non è ricollegato alcun automatico effetto
confessorio ma solo la facoltà al giudice di ritenere come ammessi i fatti
dedotti con tale mezzo istruttorio, unitamente agli altri elementi di prova
(Cass. n. 9436 del 2018, Cass. n. 10099 del 2013, Cass. n. 5240 del 2006);
9. al rigetto del ricorso segue il regolamento delle
spese di lite secondo soccombenza;
10. sussistono i presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del
comma 1 bis dello stesso art.13
(Cass. Sez. Un. 23535 del 2019);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla
rifusione delle spese di lite che liquida in € 6.500,00 per compensi
professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del
15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso a norma del comma 1
bis dello stesso art.13, se
dovuto.