Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 luglio 2020, n. 13624

Omissione contributiva, Rapporto di lavoro intercorso con il
Ministero di affari esteri in Marocco, Risarcimento del danno, Mancato
riconoscimento della rivalutazione monetaria in cumulo con gli interessi,
Duplice presupposto dell’inadempienza contributiva del datore di lavoro e della
perdita, totale o parziale, della prestazione previdenziale od assistenziale,
Contratti soggetti alla normativa locale e per lo svolgimento di mansioni ausiliarie
presso istituti culturali 

o scolastici gestiti dall’Italia all’estero, Natura
privatistica per effetto della qualificazione direttamente operata ex L. n.
775/1956, sul ruolo transitorio presso il Ministero degli affari esteri

 

Fatti di causa

 

1. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 8453
del 2015, pronunciando sull’appello proposto da M.E.A., avverso la sentenza del
Tribunale di Roma del 6 maggio 2014, rideterminava in euro 51.226,00, oltre
interessi legali, la somma dovuta dal Ministero degli Affari Esteri
all’appellante a titolo di risarcimento del danno per omissione contributiva
relativa al periodo 27 luglio 1972 al 31 dicembre 1993.

Osservava la Corte d’appello che l’omissione
contributiva riguardava un rapporto di lavoro intercorso con il Ministero di
Affari Esteri in Marocco, sulla base della sentenza emessa dalla stessa Corte
di appello “nel giudizio di rinvio dalla cassazione in data 17 agosto
2004”.

2. Per quanto rileva ancora nella presente sede, la
Corte di appello rigettava il motivo 
vedente sull’omessa condanna del Ministero al pagamento della
rivalutazione monetaria sulle somme dovute a titolo risarcitorio. Osservava
che, ai sensi de la rivalutazione monetaria non è cumulabile con gli interessi
legali.

3. Per la cassazione di tale capo della sentenza di
appello l’originario ricorrente ha proposto ricorso sulla base di un motivo. Ha
resistito con controricorso il Ministero degli Affari Esteri.

4. A seguito di ordinanza interlocutoria (Cass. n.
14013 del 2017), la causa è stata rimessa a questa Sezione per la trattazione
in pubblica udienza.

5. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

 

Ragioni della decisione

 

1. Preliminarmente, va rigettata l’eccezione
sollevata dal Ministero degli Affari Esteri in ordine alla regolarità della
procura alle liti, risultando osservati gli adempimenti di cui al combinato
disposto di cui all’art. 52 primo comma lett. f) d.lgs.
n. 75/2011 in riferimento all’art. 33 d.p.r. n. 445 del 2000,
con riguardo alla legalizzazione degli atti rilasciati dall’autorità estera ad
opera del Consolato italiano.

1.1. Nel caso in esame la procura speciale alle liti
conferita dall’odierno ricorrente all’avv. B.C., espressamente riferita alla
proposizione del ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 8453/2015 della
Corte di appello di Roma, reca in calce la sottoscrizione autenticata dalla
competente autorità marocchina, seguita dalla legalizzazione ad opera del
Consolato d’Italia a Casablanca in data 21 giugno 2016, ossia in data anteriore
al ricorso.

1.2. In merito alla mancata notifica della procura
in unione al ricorso, va considerato che il requisito dell’indicazione della
procura al difensore (se conferita con atto separato), prescritto dall’art. 366, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. a
pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, deve ritenersi sussistente
quando la parte ricorrente abbia indicato nell’intestazione del ricorso tutti i
dati occorrenti alla sua identificazione ed abbia tempestivamente depositato
assieme al ricorso la procura speciale conferita all’estero, in modo da
consentire alla controparte, attraverso il successivo controllo in cancelleria,
di individuare siffatta procura e di verificarne l’anteriorità rispetto alla
notificazione del ricorso stesso (cfr. Cass. n. 27385 del 2005, n. 20812 del
2010; v. pure Cass. n. 1135 del 1983 e Cass. n. 6717 del 1988).

1.3. Tali adempimenti sono stati rispettati, atteso
che il ricorso per cassazione (notificato il 22 giugno 2016) reca
nell’intestazione la puntuale indicazione di tutti i dati occorrenti alla
identificazione della procura speciale, la quale è stata altresì depositata in
Cancelleria unitamente al ricorso in data 1° luglio 2016.

2. Con unico motivo di ricorso M.E.A. denuncia
violazione ed errata applicazione del comma 36 dell’art. 22 della legge 724/94,
che richiama l’art. 16, comma 6
della legge n. 412/91, secondo cui dal 1° gennaio 1995 il cumulo di
rivalutazione e interessi legali non è più ammesso per i crediti di lavoro
pubblico. La Corte di appello, pur avendo riconosciuto al ricorrente il diritto
a percepire gli interessi legali sulle somme liquidate in suo favore, non gli
ha invece riconosciuto il diritto alla rivalutazione, ritenendo che nel caso di
specie la rivalutazione non sia cumulabile con gli interessi. Tale statuizione
secondo il ricorrente è da ritenere erronea, poiché la norma citata riguarda i
soli crediti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale e non quelli
di natura risarcitoria, come quello oggetto del giudizio.

2.1. In sede di memoria conclusiva depositata
dinanzi alla Sez. VI- Sottosezione Lavoro, il ricorrente ha precisato che il
rapporto di lavoro intercorso alle dipendenze del Ministero degli Affari Esteri
– consistito nello svolgimento dell’attività di custode bidello presso la
scuola italiana di Tangeri dal 1° ottobre 1961 al 1° gennaio 1994, data in cui
la scuola venne chiusa con conseguente suo licenziamento – è stato definito di
natura privatistica dalla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 13984
della 2002.

3. Il ricorso è infondato per i motivi che seguono.

3.1. Occorre premettere che non è in contestazione
la liquidazione operata dalla Corte di appello a titolo di risarcimento del
danno da omissione contributiva (euro 51.226,00, oltre interessi legali), ma
solo il mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria in cumulo con gli
interessi.

4. Il diritto del lavoratore al risarcimento del
danno per omessa o irregolare contribuzione assicurativa sorge solo nel momento
in cui si verifica il duplice presupposto dell’inadempienza contributiva del
datore di lavoro e della perdita, totale o parziale, della prestazione
previdenziale od assistenziale e non da quello in cui i contributi omessi
avrebbero dovuto essere versati o ne sia maturata la prescrizione o sia cessato
il rapporto di lavoro (cfr. Cass. n. 10528 del 1997, v. pure Cass. 3773 del
1999; cfr. da ultimo Cass. n. 27660 del 2018).
Nel caso in esame, vertendo l’azione risarcitoria sulla perdita (totale o parziale)
del trattamento previdenziale, il momento della maturazione del diritto si
colloca necessariamente in epoca successiva al 31.12.94 e dunque nella vigenza
della legge n. 724 del 1994. Difatti, la regola
del divieto di cumulo di cui all’art. 22, comma 36, della legge 23
dicembre 1994, n. 724, in relazione all’art. 16, comma sesto, della legge
30 dicembre, non avendo la legge anzidetta effetto retroattivo, riguarda i crediti
maturati dopo il 31 dicembre 1994.

5. Occorre svolgere altresì alcune osservazioni
sulla qualificazione del rapporto di lavoro a suo tempo intercorso tra
l’odierno ricorrente e il Ministero degli Affari esteri.

5.1. Risulta dalla sentenza delle Sezioni Unite di
questa Corte n. 13984/2002 – che ebbe a riconoscere la giurisdizione del
giudice ordinario, rigettando l’eccezione all’epoca sollevata dal Ministero
degli Affari Esteri – che M.E.A., cittadino del Marocco, adì con ricorso del 13
gennaio 1998 il Pretore di Roma, in funzione di giudice del lavoro, deducendo
di avere svolto dal 1961 al 1993 attività di vigilanza e di custodia presso la
scuola italiana di Tangeri alle dipendenze del Ministero degli Affari Esteri.
Le Sezioni Unite osservarono che il rapporto di lavoro fra il Ministero degli
esteri e cittadini stranieri, che siano stati assunti con contratti soggetti
alla normativa locale e per lo svolgimento di mansioni ausiliarie presso
istituti culturali o scolastici gestiti dall’Italia all’estero, ha natura
privatistica per effetto della qualificazione direttamente operata dalla legge
30 giugno 1956 n. 775 sul ruolo transitorio presso il Ministero degli affari
esteri, il cui art. 15 definisce di diritto privato il contratto con il
personale assunto per esigenze temporanee secondo le leggi e gli usi locali, e
della legge 15 dicembre 1971 n. 1222, sulla cooperazione tecnica con i Paesi in
via di sviluppo, il cui art. 1 ripropone analoga definizione.

6. Venendo specificamente alla questione oggetto del
presente giudizio, va ricordato che la Corte costituzionale con la pronuncia n. 459/2000 – nel dichiarare
l’illegittimità costituzionale dell’art. 22, comma 36 della legge
724/94 nella parte in cui estendeva all’ipotesi dell’inadempimento dei
crediti retributivi dei lavoratori subordinati privati la regola della non
cumulabilità degli interessi e della rivalutazione monetaria, già prevista per
i crediti previdenziali dall’art.
16, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, così sottraendoli al
regime di cui all’art. 429, terzo comma, del codice
di procedura civile – ha osservando che le uniche ragioni giustificatrici
dell’intervento legislativo risiedevano, “in un contesto di progressivo
deterioramento degli equilibri della finanza pubblica, nella necessità di una
più adeguata ponderazione dell’interesse collettivo al contenimento della spesa
pubblica”(cfr. tra le tante, Cass. n. 16889 del 2015 e n. 15272 del 2017,
nonché Cass. n. 16284 del 2005; v. anche Cass.
3708 e 4366 del 2009, nonché Cass. n. 4652 del
2011).

7. Proprio muovendo dalla ratio sottesa a tale
pronuncia, questa Corte ha specificato che l’esclusione dal divieto di cumulo
non può trovare applicazione per i dipendenti privati di enti pubblici non
economici e neppure per i rapporti di lavoro di natura privatistica alle
dipendenze di Ministeri. Per tali categorie di rapporti di lavoro ricorrono le
“ragioni di contenimento della spesa pubblica”, che sono alla base
della disciplina differenziata, secondo la ratio decidendi prospettata dal
Giudice delle leggi con la citata sentenza n.
459/2000.

7.1. In tal senso si sono espresse Cass. n. 535 del
2013 e Cass. n. 20765 del 2018, che hanno riguardato i lettori di lingua
straniera dell’Università degli Studi, e Cass. n. 17869 del 2014, riguardante
il lavoro dei detenuti. In tali casi opera il divieto di cumulo tra
rivalutazione monetaria ed interessi legali, poiché non ricorre la medesima
ratio di cui alla pronuncia di accoglimento della Corte
costituzionale n. 459 del 2000  che
ha escluso il divieto per i crediti dei lavoratori privati – ma sussistono
ragioni di contenimento della spesa pubblica, che giustificano la
differenziazione della disciplina.

8. Giova richiamare, in particolare, quanto osservato
da questa Corte a fronte della rivendicazione del riconoscimento della
rivalutazione monetaria sulla mercede carceraria. Si è osservato che l’aspetto
privatistico dell’organizzazione del lavoro (che nel caso di lavoro carcerario
si svolge anche in esecuzione di commesse esterne all’interno dei singoli
istituti penitenziari) non esclude che il Ministero della Giustizia sia il
centro di direzione e coordinamento delle strutture aziendali che a detti
istituti fanno capo e che i rapporti di lavoro intercorrano con il Ministero,
per cui la qualificazione pubblica dell’amministrazione nel cui ambito operano
i carcerati determina il regime degli accessori, in linea con la pronuncia
della Corte Costituzionale n. 459 del 2000.

8.1. Analoghe considerazioni devono svolgersi per il
caso in esame, atteso che il rapporto di lavoro a suo tempo intercorso tra
l’odierno ricorrente e il Ministero degli Affari Esteri, pur di natura
interamente privatistica e precaria, faceva capo ad una Amministrazione dello
Stato italiano ed era svolta nel contesto di una sua attività istituzionale
(gestione di scuola italiana all’estero).

9. Per completezza, va osservato che, una volta
valorizzata, ai fini dell’individuazione della normativa applicabile, la natura
pubblica del datore di lavoro e ritenuto operante  il divieto di cumulo, deve trovare
applicazione il D.M. n. 352/1998,
il cui comma 2 dell’art. 3 prevede che “gli interessi legali o la
rivalutazione monetaria sono calcolati sulle somme dovute, al netto delle
ritenute previdenziali, assistenziali ed erariali” (cfr. Cass. n. 20765
del 2018).

10. La seconda questione da affrontare è quella
relativa alla applicabilità o meno della 
regola or ora specificata ai crediti di natura risarcitoria riferibili
ad un rapporto di lavoro che soggiace alla previsione limitativa di cui all’art. 22, comma 36, legge   n. 724 del 1994.

11. Osserva la Corte che, sebbene l’elencazione
contenuta nel comma 36 dell’art.
22 I. n. 724 del 1994 (“l’articolo
16, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, si applica anche agli
emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale”) non
menzioni testualmente i crediti di natura risarcitoria, le sentenze di questa
Corte intervenute successivamente alla pronuncia n.
459/2000 della Corte Costituzionale hanno generalmente ritenuto che la
norma riguardi i “crediti di lavoro”, senza ulteriori specificazioni
(cfr. Cass. S.U. n. 38 del 2001 e successive conformi), e tale locuzione non
può che includere anche ai crediti di natura risarcitoria nascenti dal rapporto
di lavoro, cui è riferibile l’art. 429 cod. proc.
civ., rispetto al quale il legislatore ha introdotto una regola limitativa.

11.1. La locuzione “crediti di lavoro” di
cui all’art. 429 terzo comma, cod. proc. civ.,
nella giurisprudenza di questa Corte, ha un’ampia portata applicativa, essendo
ricompresi in tale ampia accezione tutti i crediti connessi al rapporto di
lavoro e non soltanto a quelli aventi natura strettamente retributiva. Così vi
rientrano anche le somme liquidate a titolo di risarcimento del danno (cfr.
Cass n. 5024 del 2002 per i crediti risarcitori ex
art. 2087 c.c., conf. Cass. 12098 del 2004; v. Cass. 6 luglio 1990 n. 7101
cui adde Cass. 7 febbraio 1996 n. 976 per la generale affermazione che l’art. 429 cod. proc. civ. sulla decorrenza degli
interessi e della rivalutazione liquidati a favore del lavoratore si riferisce
a tutti i crediti connessi ad un rapporto di lavoro, senza alcuna esclusione
per quelli aventi titolo risarcitorio). Si è pure affermato che, in materia di
risarcimento del danno da omissione contributiva, opera la disposizione dell’art. 429, terzo comma, cod. proc. civ. sul maggior
danno da svalutazione monetaria, poiché l’omissione contributiva costituisce
violazione di un’obbligazione scaturente dal rapporto di lavoro e dà luogo ad
un credito di valore (Cass. n.10528 del 1997, n. 5559 del 1999).

12. Pure la sentenza n.
82 del 2003 della Corte Costituzionale ha accomunato nella ratio dell’art. 22, comma 36, della legge n.
724 del 1994 e nel meccanismo ivi previsto tutti i crediti di lavoro
riferibili al datore di lavoro pubblico.

12.1. Con tale sentenza è stato osservato che
“.. il legislatore è libero di sostituire quel meccanismo [quello di cui
all’art. 429, terzo comma, cod. proc. civ.;
n.d.r.] con altro, restando ferma la necessità di riconoscere ai crediti di
lavoro un’effettiva specialità di tutela rispetto alla generalità degli altri
crediti, cui si riferisce l’art. 1224 cod. civ.,
ponendo una remora all’inadempimento del datore di lavoro mediante la
previsione di un meccanismo di riequilibrio del vantaggio patrimoniale
indebitamente da lui conseguito”.

“La dichiarazione di illegittimità
costituzionale del divieto di cumulo di interessi e rivalutazione –
relativamente al rapporto di lavoro privato – risulta decisivamente fondata
sulla constatazione che la norma impugnata poteva incentivare l’inadempimento
del datore di lavoro, consentendogli di lucrare (con investimenti finanziari,
pur privi di rischio) l’eventuale differenziale tra il rendimento
dell’investimento ed il tasso di svalutazione”.

“Siffatta ratio decidendi non può essere
automaticamente estesa al datore di lavoro pubblico. La pubblica
amministrazione infatti conserva pur sempre – anche in presenza di un rapporto
di lavoro ormai contrattualizzato – una connotazione peculiare (sentenza n. 275
del 2001), sotto il profilo – per quanto qui rileva – della conformazione della
condotta cui essa è tenuta durante lo svolgimento del rapporto al rispetto dei
principi costituzionali di legalità, imparzialità e buon andamento, cui è
estranea ogni logica speculativa”. “Non esistendo una necessità di
predisporre per il datore di lavoro pubblico le stesse remore
all’inadempimento, deve escludersi quella omogeneità di situazioni, cui il
rimettente ricollega l’asserita lesione del principio di uguaglianza posto
dall’art. 3 della Costituzione” (sent
cit., in motivazione).

13. Alle esposte considerazioni di ordine logico-giuridico
di carattere generale, va aggiunto che questa Corte ha già avuto occasione di
riconoscere l’applicabilità della suddetta regola limitativa a crediti di
natura risarcitoria riferibili a rapporti di c.d. pubblico impiego
contrattualizzato.

13.1. In particolare, è stata applicata tale regola
ai casi di illegittimità del licenziamento con ordine di reintegra nel posto di
lavoro e condanna della Pubblica Amministrazione al risarcimento dei danni pari
all’importo della retribuzione globale di fatto maturata dal dipendente dalla
data del licenziamento a quella della effettiva reintegrazione in servizio: v.
Cass. n.. 21192 del 2018 e Cass. n. 15639 del 2018,
entrambe relative al diritto al risarcimento del danno ai sensi della legge n. 300/1970, con cui questa Corte,
accogliendo il relativo motivo di ricorso proposto dall’Ente pubblico (non
economico), e, decidendo nel merito ex art. 384,
secondo comma, cod. proc. civ., ha condannato l’ente locale a corrispondere
la maggior somma tra gli interessi legali e la rivalutazione monetaria ai sensi
dell’art. 22, comma 36, legge
n. 724/94 sulla somma liquidata a titolo risarcitorio nella impugnata
sentenza.

14. Nella materia pensionistica devoluta alla
giurisdizione della Corte dei Conti, il diritto alla rivalutazione automatica
del credito nonché alla liquidazione d’ufficio degli interessi legali in
applicazione dell’art. 429, comma 3, cod. proc. civ.,
riguardante anche prestazioni aventi natura risarcitoria o indennitaria, a
seguito dell’art. 5 legge n.
205/2000 che ha reso omogeneo il regime dei crediti pensionistici, è stato
affermato dalle Sezioni riunite che, con la sentenza n. 6 del 2008, hanno
affermato che il rinvio operato dall’art.
5 legge n. 205/2000 è un rinvio dinamico, e quindi comprendente anche la
successiva evoluzione normativa quale dettata dal combinato disposto dell’art. 16, comma 6, della I. 412 del
1991, dall’art. 22, comma
36, della I. n. 724 del 1994, dal d.m. 1°
settembre 1998, n. 352 e dall’art.
45, comma 6, della legge 23 dicembre 1998, n. 448.

15. In conclusione, la previsione limitativa di cui
all’art. 22, comma 36, legge
n. 724 del 1994 trova applicazione anche ai crediti di natura risarcitoria
riferibili ad un rapporto di lavoro ricadente nell’area di operatività di detta
norma.

16. Il ricorso va dunque rigettato. Tenuto conto
della novità delle questioni oggetto del giudizio, ricorrono giusti motivi per
compensare tra le parti le spese del presente giudizio.

17. Va dato atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30
maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13
(v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso e compensa le spese del presente
giudizio.

Ai sensi dell’art.13 comma 1-quater del d.P.R. n.115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del
comma1-bis, dello stesso articolo
13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 luglio 2020, n. 13624
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