Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 luglio 2020, n. 13914

Infortunio verificato mentre il lavoratore svolge un’attività
non inerente al suo inquadramento, Risarcimento del lucro cessante,
Violazione di norme di sicurezza, Responsabilità dei danni derivati
dall’infortunio, Valutazione del comportamento del lavoratore, connotato da
imprudenza, Non fondato

 

Fatti di causa

 

1. Il Tribunale di Trieste condannava la società
G.M. s.p.a. a pagare ad O.C. la somma complessiva di € 104.670,17, a titolo di
danno differenziale non patrimoniale, oltre alle spese mediche quantificate in
€ 1007,89; respingeva la domanda del C. per quanto riguardava il risarcimento
del lucro cessante ed il rimborso delle spese di costituzione di parte civile.

1.2. Quanto alla posizione della Z., Insurance PLC
rappresentanza Generale per l’Italia, compagnia assicuratrice della G.M.,
riteneva non operante la copertura assicurativa poiché l’infortunio si era
verificato mentre il lavoratore svolgeva un’attività non inerente al suo
inquadramento di mugnaio.

2. Nel ricorso si esponeva che la società aveva
inviato il lavoratore al terzo piano dello stabilimento per eseguire delle
opere di manutenzione e pulizia di alcuni macchinari di molitura di recente
installazione; che nello stabilimento era in corso la ristrutturazione delle
linee produttive; che la rimozione dei vecchi macchinari da parte di una
società terza aveva provocato l’apertura di alcuni fori di notevoli dimensioni
fra un piano e l’altro, temporaneamente chiusi, per ordine del capofabbrica,
con dei pannelli assicurati mediante filo di ferro alle sottostanti tubazioni
in modo da renderli calpestabili; che, per recarsi ad una stanza adibita a
deposito attrezzi, il lavoratore era passato sopra uno di questi pannelli, il
quale si era improvvisamente spostato facendolo precipitare al piano di sotto;
che il C. aveva riportato gravi lesioni; che la zona ove era avvenuta la caduta
non era recintata, né vi erano segnali che inibissero il transito, che in quel
periodo gli operai normalmente adibiti all’attività di molitura erano
utilizzati per interventi di piccola manutenzione e ristrutturazione non
estranee agli interessi del datore di lavoro; che la società aveva violato
numerose norme di sicurezza e quindi era responsabile dei danni derivati
dall’infortunio ed, in particolare, del danno biologico permanente collegabile
alle subite menomazioni organiche, quantificabile nella misura del 36-38%,
nonché al disturbo posttraumatico da stress per un totale del 45% del danno
biologico temporaneo, del danno morale temporaneo e permanente, delle spese per
le perizie medico legali, per i viaggi e le visite mediche, per la difesa nel
giudizio penale e per la perdita di 1/2 della capacita lavorativa specifica.

3. Con sentenza del 3 marzo 2016, la Corte d’appello
di Trieste, dichiarata l’inammissibilità parziale dell’appello incidentale
proposto da G.M.I., in parziale accoglimento del gravame del C., ed in parziale
riforma della sentenza impugnata, confermata per il resto, condannava la s.p.a.
G.M. Italiani a pagare all’appellante, a titolo di ulteriore risarcimento del
danno biologico permanente (da aggiungersi a quello già liquidato dal
Tribunale), la somma di € 44.633,00, somma da devalutare alla data del 16.10.2002
e poi da maggiorare di rivalutazione monetaria ed interessi legali calcolati
sul capitale rivalutato anno per anno dalla suddetta data fini al saldo;
respingeva, come già detto, il gravame incidentale proposto dalla società nei
confronti del C..

3.1. La Corte osservava che, anche se fosse stata
altra società a togliere i fili di ferro con cui erano legati i pannelli di
copertura dei fori, in ogni caso tale comportamento colposo non sarebbe stato
da solo sufficiente a causare l’evento, ascrivibile alla G.M. che aveva inviato
i suoi operai a lavorare nella zona in cui A.PR.I.M aveva tolto i macchinari,
creando così delle aperture nel pavimento; nulla sarebbe accaduto se la società
datrice di lavoro avesse vietato ai suoi operai di passare sui pannelli e
controllato anche il rigoroso rispetto di

tale divieto ed avesse verificato in modo
continuativo la solidità e tenuta dei pannelli posti a copertura dei fori.

3.2. Escludeva sia la configurabilità del rischio
elettivo, sia un concorso di colpa ai fini dell’art.
1227 c.c..

3.3. Quanto all’appello principale, il giudice del
gravame rilevava che risultava risarcibile anche il danno derivante dal
disturbo dell’adattamento conseguito all’infortunio, danno escluso dal giudice
di prime cure, e che il danno de quo era quantificabile nella misura del 7% ma
che, dovendo il danno in oggetto ritenersi non un’entità autonoma, andava
liquidato unitamente al resto con inserimento nel complesso dei postumi
permanenti residuati all’infortunio. Con applicazione della cd. formula
riduzionistica, perveniva ad quantificazione del valore finale del danno
biologico pari al 37%, cui corrispondeva un valore economico di € 190.767,00,
con una differenza da riconoscere in favore del C. pari ad € 44,663,00.
Respingeva, poi, la domanda di rimborso delle spese sostenute per la
costituzione di parte civile.

4. Di tale decisione domanda la cassazione la
società G.M.I. s.p.a., affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con
controricorso, il C..

4. Entrambe le parti hanno depositato memorie
illustrative ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

 

Ragioni della decisione

 

1. Va, preliminarmente, disattesa l’eccezione
formulata dal controricorrente in memoria con riguardo alla improcedibilità del
ricorso ed al difetto di legittimazione processuale del ricorrente, per
mancanza di autorizzazione alla proposizione del ricorso da parte del Tribunale
alla società ammessa a procedura di concordato preventivo ai sensi della legge
fallimentare. Quanto al primo profilo, va osservato che le Sezioni unite di
questa Corte hanno parzialmente rivisto il proprio orientamento affermando che
«deve escludersi la possibilità di applicazione della sanzione della
improcedibilità, ex art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c.,
al ricorso contro una sentenza notificata di cui il ricorrente non abbia
depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica, ove quest’ultima
risulti comunque nella disponibilità del giudice perché prodotta dalla parte
controricorrente ovvero acquisita mediante l’istanza di trasmissione del
fascicolo di ufficio» (Cass., Sez. un., Sentenza n. 10648 del 2 maggio 2017).

In ordine all’ulteriore rilievo, la impossibilità di
ritenere la proposizione del ricorso quale atto urgente di straordinaria
amministrazione esime il Collegio dall’esame della questione relativa alla
ritualità della produzione del decreto del giudice fallimentare nel presente
giudizio.

2. Con il primo motivo, la società si duole della
violazione o falsa applicazione dell’art 2087 c.c.,
assumendo che la Corte d’appello abbia indebitamente ritenuto irrilevante per
il danneggiato che l’evento sia dipeso anche dalla colpa concorrente di altro
soggetto – società A., società cui era stato posto a carico, attraverso la
stipulazione di un contratto, lo smontaggio ed il trasporto dei vecchi
macchinari dell’impianto molitorio – circostanza che, viceversa, risultava
assolutamente rilevante, a dire della società G.M., con riferimento alla
graduazione delle relative responsabilità, con conseguente riflesso anche in
termini di misura del risarcimento da parte dell’azienda.

2.1. La ricorrente assume che la sentenza impugnata
risulti fondata su un’erronea parziale interpretazione delle risultanze
testimoniali, che avrebbero, invece, comprovato la responsabilità della sola A.
quale società incaricata di procedere alla sostituzione dei macchinari
dell’impianto molitorio, con precipuo onere di provvedere anche allo smontaggio
ed al trasporto dei predetti macchinari.

2.2. Aggiunge che i lavoratori di G.M. erano stati
ampiamente resi edotti in ordine agli interventi di manutenzione, con espressa
indicazione dei rischi e/o pericoli connessi alle opere che interessavano lo
stabilimento, sottolineando come la scelta di copertura dei fori mediante
utilizzo dei pannelli era da considerarsi valida, posto che gli stessi erano
oggettivamente robusti e funzionali rispetto alla loro destinazione. Rileva
come sia emerso dalle risultanze istruttorie che era stata l’imprevedibile
azione di un dipendente A., che aveva indebitamente rimosso i fili di ferro che
ancoravano il pannello, a causare l’evento, con conseguente esonero da
responsabilità della G.M.I., e ribadisce che erano a carico dell’A. le operazioni
di smontaggio e trasporto dei macchinari, con onere per tale società di
provvedere a mettere in sicurezza e chiudere i fori creatisi tra i diversi
piani a seguito dello smontaggio suddetto. Osserva, infine, che il lavoratore
era addetto ad attività assolutamente congruente alla propria qualifica,
essendo l’attività di pulizia dei nuovi macchinari conforme alla stessa, sicché
nulla poteva essere imputato ad essa società che aveva appaltato i lavori e che
si era munita anche di adeguato coordinamento per la sicurezza. Assume,
inoltre, che il C. era passato sui pannelli per raggiungere la zona dove doveva
prendere un attrezzo, pur potendo passare all’esterno degli stessi.

2.3. La società ricorrente richiama i principi
sanciti da questa Corte in tema di applicazione dell’art
2087 c.c., in particolare sottolineando che il comportamento imprudente del
lavoratore, quando non presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed
esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo – che rendono esclusiva la
responsabilità dell’evento, con esonero totale del datore di lavoro – può,
invece, rilevare come concausa dell’infortunio ed in tal caso la responsabilità
del datore può essere proporzionalmente ridotta.

3. Con il secondo motivo, si deducono erroneo e/o
omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, violazione o falsa
applicazione del combinato disposto degli artt.
2043, 2051, 2697,
I comma, c.c., in ordine all’inammissibilità della c.t.u. esperita nel
secondo grado di giudizio, sostenendo la ricorrente che le argomentazioni
critiche dell’appellante si sarebbero dovute contrapporre non alla relazione di
perizia espletata in primo grado, ma al fondamento logico giuridico su cui era
fondata la decisione e si sostiene che, essendo le conclusioni del C.t.u.
officiato in primo grado del tutto condivisibili, la Corte aveva disposto nuove
indagini medico legali senza che l’appellante avesse fornito alcuna prova in
ordine alla sussistenza di patologie psichiche riconducibili all’infortunio di
causa, procedendo con finalità esplorative non consentite. Assume che la Corte
abbia fatto proprie acriticamente le conclusioni del C.t.u. di secondo grado,
omettendo di considerare la dipendenza etilica del periziato ed evidenziando
l’esorbitante quantificazione di un danno psichico nella misura del 7%, con un
quantificazione autonoma del pregiudizio rispetto ai meri risvolti del danno
biologico, non essendo meritevole lo stesso di risarcimento aggiuntivo.

4. Il ricorso è inammissibile.

5. Alla base del primo motivo, al di là del generico
richiamo a principi corretti in diritto senza correlazione con la specificità
del caso, è prospettata una diversa ricostruzione in diritto, alla stregua di
una valutazione delle prove difforme da quella effettuata dal giudice del
merito, ai fini della individuazione delle responsabilità per l’evento derivato
dall’infortunio occorso. Peraltro, non solo l’appalto per i lavori di
rimozione, smontaggio dei macchinari e relativo trasporto non includeva alcuna
assegnazione di ulteriori incarichi relativi alla messa in sicurezza dei locali
interessati da tali lavori, ma la prospettata erronea valutazione del
comportamento del lavoratore, asseritamente connotata da imprudenza, è del
tutto priva di fondamento, posto che non era stato interdetto, come evidenziato
dalla stessa Corte triestina, il passaggio sui pannelli, né era stata in
qualche modo delimitata l’area ove era consentito ai lavoratori di camminare.

5.1. In tema di ricorso per cassazione, il vizio di
violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da
parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una
norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della
stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a
mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione
della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta
al sindacato di legittimità. E’ pertanto inammissibile il motivo di ricorso,
formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3,
c.p.c., con il quale sia proposta una lettura alternativa delle risultanze
di causa rispetto a quella fatta propria dal giudice di merito, in assenza di
qualsivoglia indicazione di un preciso “error in iudicando (cfr., tra le
altre, Cass. 13.10.2017 n. 24155, Cass. 5.2.2019 n. 3340).

6. Ugualmente inammissibile è il secondo motivo,
perché non si riportano le critiche rivolte dall’appellante nell’atto di
gravame e perché per il resto va richiamato il principio, ripetutamente
affermato da questa Corte, secondo il quale le conclusioni della consulenza
tecnica d’ufficio disposta dal giudice di secondo grado non possono utilmente
essere contestate in sede di ricorso per cassazione mediante la pura e semplice
contrapposizione ad esse delle diverse valutazioni espresse dal consulente
d’ufficio di primo grado, poiché tali contestazioni si rivelano dirette non già
ad un riscontro della correttezza del giudizio formulato dal giudice di
appello, bensì ad una diversa valutazione delle risultanze processuali; in ogni
caso, la contestazione di una decisione basata sul riferimento ad una delle
consulenze tecniche acquisite – sorretta da una analitica disamina – non può
essere adeguatamente censurata, in sede di legittimità, se le relative censure
non contengono la denuncia di una documentata devianza dai canoni fondamentali
della scienza medico – legale, in mancanza di detti elementi configurando le
censure un mero dissenso diagnostico inammissibile in sede di legittimità
(Cass. 15796 del 13/08/2004 e successive conformi). Ogni altra critica espressa
sulle modalità di quantificazione del danno psichico è connotata da assoluta
genericità.

7. Per le esposte considerazioni deve pervenirsi
alla declaratoria di inammissibilità del ricorso.

8. Le spese del presente giudizio di legittimità
seguono la soccombenza della ricorrente e sono liquidate nella misura indicata
in dispositivo.

9. Essendo stato il ricorso proposto in tempo
posteriore al 30 gennaio 2013, occorre dare atto della sussistenza dei
presupposti per l’applicabilità dell’art.
13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto
dall’art. 1, comma 17, legge 24
dicembre 2012, n. 228, presupposti che ricorrono anche in ipotesi di
declaratoria di inammissibilità del ricorso (cfr. Cass., Sez. Un., n.
22035/2014).

 

P.Q.M.

 

Dichiara l’inammissibilità del ricorso. Condanna la
ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità,
liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 4000,00 per compensi professionali,
oltre accessori di legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie nella
misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1
quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma Ibis, del citato D.P.R.,
ove dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 luglio 2020, n. 13914
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: