Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 luglio 2020, n. 14020

Fallimento, Pagamento del TFR, Accesso al Fondo di garanzia
– Garanzie patrimoniali del debitore assoggettato ad esecuzione forzata

 

Considerato che

 

la Corte d’appello di Napoli accogliendo l’appello
dell’Inps, ed in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda
proposta da F.L. nei confronti dell’Inps allo scopo di ottenere il pagamento
del TFR e delle ultime tre mensilità da parte del Fondo di Garanzia condannando
la lavoratrice al pagamento delle spese del doppio grado.

A fondamento della sentenza la Corte d’appello
sosteneva che l’appellata avesse svolto azione esecutiva nei confronti della
società datrice di lavoro C. V.M. srl, non soggetta a fallimento, nel 2011 mentre
la stessa datrice era stata cancellata dal registro delle imprese nel 2009;
inoltre, come risultava dal verbale di pignoramento mobiliare negativo, la sede
dove si era recato l’ufficiale giudiziario non era nemmeno più quella della
società che era stata trasferita; era ovvio e normale che dopo due anni e in
una sede che non era più quella della società nessun bene mobile potesse essere
aggredito ed era onere allora della parte cercare di aggredire i beni del socio
o dei soci nei limiti dell’attivo (come stabiliva la sentenza della Cassazione n. 17593 del 2016).”Di
conseguenza la lavoratrice oltre a ricercare e per tempo i beni della società,
in presenza di un infruttuoso pignoramento mobiliare doveva cercare di soddisfarsi
attraverso l’esecuzione nei confronti del socio e ciò non era stato fatto”.

Contro la sentenza ha proposto ricorso per
cassazione F.L. al quale si è opposto l’INPS con controricorso.

E’ stata notificata alle parti la proposta del
giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di
consiglio.

Parte controricorrente ha depositato memoria.

 

Ritenuto che

 

1. – Con l’unico morivo di ricorso si deduce la
violazione e falsa applicazione della legge n. 297 del 1982 art. 2, decreto legislativo n. 80 del 1992
articoli 1 e 2 anche in relazione alla direttiva
comunitaria numero 80/987/CE; nonché violazione e falsa applicazione dell’articolo 2728 c.c. per aver ritenuto che la
lavoratrice non fosse stata diligente nell’esecuzione individuale e che avesse
l’obbligo di agire in via esecutiva nei confronti del socio, nonostante avesse
dimostrato in giudizio che la società non fosse intestataria di beni immobili,
non avesse depositato bilanci negli ultimi tre anni, e che l’ultimo bilancio
depositato nel 2008 attestasse che non vi fossero utili da ripartire tra i soci
ma solo debiti.

2 – Preliminarmente va respinta l’eccezione di
inammissibilità per difetto di autosufficienza sollevata dall’INPS, dal momento
che i dati fondamentali, necessari alla decisione della causa, emergono dalla
sentenza impugnata, sono trascritti in ricorso, sono allegati nello stesso
controricorso dell’INPS, sono pacifici tra le parti.

Ed invero nel caso in esame è pacifico che la
signora F.L. ha lavorato alle dipendenze della società Confezioni V.M. srl
dall’1.4.1998 al 27.8.2005; ha quindi ottenuto l’accertamento del credito ed il
titolo giudiziale necessario per inoltrare la domanda al Fondo di garanzia con
la sentenza n. 29900/2009 del tribunale di Napoli; in data 30.10.2009 la
società datrice è stata cancellata dal registro dell’imprese; dopo di che la sig.ra
F. ha iniziato l’esecuzione forzata ed in data 18.5.2011 risulta redatto
verbale di pignoramento negativo tentato nei confronti dell’azienda nella sede
della società; in data 21.09.2011 ha presentato domanda di liquidazione al
Fondo di Garanzia presso l’INPS.

3. – La Corte d’appello ciononostante, secondo le
due rationes poste a base della pronuncia impugnata, ha addebitato alla
lavoratrice di non aver ricercato “per tempo” i beni della società e di non
avere promosso un’esecuzione “nei confronti del socio”.

Né l’uno, né l’altro onere tuttavia sono imposti
dalla legge, nei modi ritenuti dalla Corte d’appello, a carico del lavoratore
che promuova l’azione esecutiva individuale ai fini di accedere al Fondo di
garanzia.

4. – Infatti, sotto il profilo dei tempi della
procedura esecutiva cui sottoporre il datore di lavoro, non risulta che la
legge preveda termini stringenti da osservare; i quali devono essere semmai
desunti dal più generale dovere di diligenza di cui la legge, nell’ipotesi in
oggetto, onera il lavoratore che agisce per accedere alla tutela.

5. – Ed invero, in ipotesi di datore di lavoro non
assoggettabile (o non assoggettato) a procedura concorsuale, la legge (art. 2, comma 5 l. n. 297/1982)
si limita a prevedere come presupposto per l’accesso al Fondo di garanzia
l’insufficienza in tutto o in parte delle garanzie patrimoniali del debitore
assoggettato ad esecuzione forzata (Corte Sez. 6 –
L, Ordinanza n. 21734 del 06/09/2018). La domanda amministrativa per la
tutela deve essere effettuata all’INPS nel termine di prescrizione (Cass. n. 30712/2017) e l’INPS deve provvedere
entro 60 giorni dalla richiesta (art.
2, comma 7°). Quindi il lavoratore deve agire in giudizio tenuto conto del
rispetto dei tempi stabiliti per l’iter procedimentale, di natura
previdenziale, da ultimarsi nei termini previsti dalla legge ex artt. 7 l. 533/1973 e 46, commi 5 e 6 l. 88/1989
(Cass. 27465/2017).

6. La legge non contempla invece oneri di agire in
via esecutiva in tempi prestabiliti; sicché non si intuisce sulla base di quale
criterio normativo un verbale di pignoramento mobiliare negativo, redatto ad un
anno e mezzo dall’accertamento del credito e dalla cancellazione della società
dal registro dell’imprese, debba ritenersi effettuato in violazione dell’onere
di diligenza imposto dalla legge. Ancor meno, d’altronde, e diversamente da
quanto sostiene l’INPS, può farsi carico al lavoratore, se la sentenza di
merito che ha accertato il credito sia intervenuta dopo 4 anni dalla fine del
rapporto di lavoro.

7. D’altre parte va pure considerato che il datore
di lavoro cancellato dal registro dell’imprese può essere dichiarato fallito
solo entro 1 anno dalla cancellazione dal registro dell’imprese (artt. 10 l. fall.); e che la
giurisprudenza pone a carico del creditore che ha tempestivamente presentato la
relativa istanza il rischio del ritardo della pronuncia di insolvenza (Cass. n. 8932/2013); sicché, decorso l’anno dalla
cancellazione, il lavoratore creditore può accedere al Fondo solo per la via
dell’esecuzione individuale (da ultimo, ordinanza
n. 27467 del 20/11/2017 “Ai fini della tutela prevista dalla l. n. 297 del 1982 in favore dei lavoratori per il
pagamento del TFR, in caso di insolvenza del datore di lavoro, ove quest’
ultimo, pur assoggettabile al fallimento, non possa in concreto essere
dichiarato fallito per aver cessato l’attività da oltre un anno, è ammissibile
un’azione nei confronti del Fondo di garanzia, ai sensi dell’art. 2, comma 5, della l. n. 297
citata, purché il lavoratore abbia esperito infruttuosamente una procedura di
esecuzione forzata, salvo che risulti l’esistenza di altri beni aggredibili con
l’azione esecutiva “).

8. – Viene quindi in esame soltanto la questione,
fondamentale nell’interpretazione della normativa, che riguarda l’estensione
dell’onere di diligenza (sul piano oggettivo e soggettivo) del lavoratore
creditore che agisce in executivis.

E che secondo il criterio guida, osservato in tutta
la vasta e risalente elaborazione giurisprudenziale intervenuta nella materia,
deve essere conformata alla misura dell’ordinaria diligenza nell’esercizio
dell’azione esecutiva individuale (Cass. sentenza n. 4666 del 2002, Cass. 28
marzo 2003 n. 4783, Cass. n. 1848/2004; Cass. n. 9108/2007).

E’ stato infatti precisato in proposito che
trattandosi di attività diretta al concreto soddisfacimento di un credito, per
valutare la sussistenza dell’ordinaria diligenza debba tenersi conto anche
della sua economicità (Cass. n. 9108/2007). La
S.C. ha conseguentemente escluso la necessità di intraprendere o proseguire
un’esecuzione i cui costi, non recuperabili, superino quelli del credito;
oppure quando l’esecuzione si appalesi aleatoria; oppure ancora quando risulti
aliunde già acquisita la prova della mancanza o dell’insufficienza delle
garanzie patrimoniali.

9. La ricostruzione giurisprudenziale nella materia
muove, com’è noto, dalla premessa (Sez. L, Sentenza
n. 1848 del 02/02/2004, che a sua volta richiama sentenza n. 3511 del 2001)
secondo cui la tutela del lavoratore risulti modulata attraverso il meccanismo
della presunzione legale. E che vada concessa in ogni caso in cui esista
l’insufficienza o la mancanza della garanzia patrimoniale desunta dall’infruttuosità
di una esecuzione individuale mobiliare o immobiliare; senza che sia necessario
il compimento di una ulteriore attività costituita dalla ricerca di altri beni,
mobili o immobili, di proprietà del datore di lavoro nei comuni di residenza o
di nascita diversi da quello in cui ha sede l’impresa.

10. – Secondo il medesimo indirizzo
giurisprudenziale, dunque, la legge detta una presunzione legale collegata
all’esperimento infruttuoso dell’esecuzione forzata; non prevede attività di
ricerca ulteriori di beni. La procedura esecutiva non deve essere estesa ad
ogni forma di esecuzione possibile essendo sufficiente sul piano della
diligenza una delle forme possibili di esecuzione. Sarà invece l’INPS, cui
spetta il diritto di surroga, ad azionare direttamente il titolo ottenuto dal
lavoratore ed a proseguire l’attività di ricerca ed esecuzione nei confronti
dell’obbligato, nell’ipotesi in cui si rinvengano nuovi beni sui quali
rivalersi.

11. – “La legge, infatti, prevede soltanto
“l’esperimento dell’esecuzione forzata” e non già il compimento di
una ulteriore attività da parte del lavoratore – la ricerca di beni mobili e
immobili nei luoghi di residenza e di nascita del debitore diversi da quello in
cui ha sede l’impresa – soprattutto perché tale attività può rilevarsi
sommamente gravosa, oltre che dispendiosa, per un soggetto che, di norma, è
privo di adeguate risorse economiche (nonché, in ipotesi, pure inutile, ben
potendo il datore di lavoro essere proprietario di beni solamente in luoghi
diversi da quelli sopra indicati).

E questa conclusione è conforme alla ratio della
disposizione di legge di cui si discute, avendo il legislatore, in osservanza
di una direttiva comunitaria, inteso perseguire finalità di carattere sociale
con il consentire al lavoratore, molto spesso astretto dal bisogno, di
ottenere, nel tempo più breve possibile e tramite l’intervento di un soggetto
diverso dall’obbligato principale, il pagamento del credito maturato e non
adempiuto: è semmai l’INPS, cui è attribuito il diritto di surroga (v. il
settimo comma del medesimo art. 2)
e che ne ha gli strumenti – essendo le sue sedi ed i suoi uffici legali
dislocati su tutto il territorio nazionale – che può effettuare le opportune
ricerche allo scopo di conseguire dal datore di lavoro, che sia eventualmente
proprietario di beni utilmente aggredibili in un luogo diverso da quello in cui
ha sede l’impresa, la somma erogata al lavoratore. Da questi rilievi deriva
l’inconsistenza della tesi secondo cui il creditore, dopo l’inutile esperimento
di un’azione esecutiva mobiliare presso la sede dell’impresa, deve effettuare
una ricerca di beni mobili o immobili anche in luoghi diversi dal comune in cui
è situata tale sede, dovendosi soltanto pretendere, qualora debitore sia una
persona fisica o se vi siano altri soggetti solidalmente obbligati, che la
ricerca, in ossequio al generale principio di diligenza che deve assistere il
creditore, avvenga, nel primo caso, solamente nel luogo in cui ha sede
l’impresa e, nel secondo caso, del luogo di residenza dei coobbligati (Cass. Sez. L, Sentenza n. 1848 del 02/02/2004).

12. – L’orientamento giurisprudenziale di cui sopra
risulta però integrato da un successivo che ha esteso l’onere di diligenza del
lavoratore, il quale abbia esperito infruttuosamente una procedura di
esecuzione, nell’ipotesi in cui si prospettino ulteriori fruttuose procedure
esecutive (Cass. sez. L, sentenza n. 11379 del
08/05/2008) oppure allorché risultino, sulla base degli atti, altre
circostanze le quali dimostrino che esistano altri beni aggredibili con
l’azione esecutiva (Cass. Sez. L. ordinanza n.
27467 del 20/11/2017, Sez. L., Sentenza n.
7585 del 01/04/2011, Sez. L., Sentenza n. 8529
del 29/05/2012, Sez. L, Sentenza n. 1607 del
28/01/2015, Cass. 9108 2007; Cass. 14447
2004).

13. – Anche sulla scorta di tale secondo
orientamento non risulta posto a carico del lavoratore un onere indistinto di
ricerca di beni e/o di condebitori, ma solo un onere di riattivare l’esecuzione
quando essa si prospetti fruttuosa e ragionevole.

Tutte le suddette pronunce sono nel senso che per
integrare l’onere di diligenza, dopo un’esecuzione infruttuosa già effettuata,
occorra che risultino, in base agli atti, beni agevolmente aggredibili ovvero
sotto il profilo soggettivo che esistano altri condebitori solidalmente ed
illimitatamente responsabili.

14. – Non risulta invece conforme al tenore
letterale della norma che regola la materia ed alla relativa ratio sostenere
che il lavoratore, una volta compiuta una procedura esecutiva nei confronti del
debitore, debba compiere ricerche in tutte le possibili direzioni, allo scopo
di escludere, all’esito, che debbano esperirsi quelle procedure che risultino
infruttuose in base agli atti. Essendo piuttosto vero, in base alla
giurisprudenza citata, che un onere di attivarsi ulteriormente in via esecutiva
può essere predicato – al contrario – solo quando risulti positivamente
dimostrato in base agli atti che l’esecuzione possa risultare fruttuosa.

15. Vale osservare in proposito che l’inutile
esperimento dell’esecuzione forzata individuale rappresenta già, di per sé, una
condizione di aggravamento della tutela concessa al lavoratore dipendente da un
datore non assoggettato a procedura concorsuale (ad es. perché non dichiarato
fallito entro l’anno dalla cancellazione; oppure per insufficienza dell’attivo;
condizioni che non dipendono certo dal comportamento del creditore) rispetto al
lavoratore creditore di un datore di lavoro assoggettato a procedura
concorsuale. Quest’ultimo può infatti accedere al Fondo di Garanzia chiedendo
direttamente all’INPS la stessa tutela una volta decorsi 15 giorni
dall’accertamento del credito (dal deposito dello stato passivo) senza essere
tenuto a rapportarsi con la misura del riparto in sede concorsuale (e quindi
anche se in ipotesi questo risultasse capiente). Non vi è quindi nessuna
ragione per rendere ulteriormente aggravata la tutela per il primo; dal momento
che l’istituzione del Fondo di garanzia, secondo la legge
n. 297/1982, risponde pur sempre – per tutti (ed a prescindere dalla natura
del datore di lavoro) – ad una esigenza di socializzazione del rischio da
inadempimento e da insolvenza, per cui sarà il Fondo, surrogandosi al
lavoratore, a dover sopportare i rischi delle lungaggini delle procedure e del
recupero del credito.

16. – D’altra parte questa Corte ha pure evidenziato
nella stessa direzione che ” tale orientamento risulta coerente con la finalità
perseguita dal legislatore del 1982, che mediante l’istituzione di un Fondo di
garanzia affidato all’ente previdenziale pubblico, ha inteso compensare la
peculiarità della disciplina del t.f.r., nella quale il sistema degli
accantonamenti fa sì che gli importi spettanti al lavoratore vengano trattenuti
e utilizzati dal datore di lavoro, con la previsione di una tutela certa del
credito, realizzata attraverso modalità garantistiche e non soggetta a
limitazioni e difficoltà procedurali (Cass. n. 2746/2017 che rinvia a Cass. n.
17227/2010).

17. – Per quanto riguarda, invece, l’estensione soggettiva
dell’onere di diligenza ovvero dell’onere di escussione nei confronti dei soci,
questa Corte di Cassazione ha affermato che in ipotesi di datore di lavoro
costituito da una società di persone l’onere di diligenza comprenda anche la
diretta esecuzione dei soci solidalmente ed illimitatamente responsabili in
considerazione della natura sussidiaria delle prestazioni poste a carico del
Fondo (Cass. 28091/2017, nella stessa direzione in precedenza anche Cass. 1607/2015 e Cass.
n. 1848/2004 ).

18. – Analogo obbligo di diretta ed inderogabile
esecuzione non può però affermarsi nei confronti dei soci di società di
capitali dal momento che si tratta, in base all’art.
2495 c.c., di una responsabilità limitata ed eventuale, subordinata alla
estinzione della società ed alla riscossione di somme in base al bilancio
finale di liquidazione.

19. – La stessa sentenza di questa Corte n. 17593/2016 viene erroneamente
richiamata dalla Corte d’appello di Napoli siccome essa non pone questo obbligo
di carattere soggettivo, essendosi invece pronunciata estensivamente sulla
portata dell’obbligo di diligenza sul piano oggettivo della ricerca di
eventuali beni immobili del debitore una volta conclusa una procedura esecutiva
mobiliare con un verbale di pignoramento negativo.

20. – Anche la più recente sentenza (Cass. n. 1886/2020) citata dall’INPS nella memoria
finale, non appare qui pertinente, essendosi limitata a decidere sulla
questione, logicamente preliminare (ma insussistente nel caso di specie),
relativa all’obbligo del lavoratore, a seguito della chiusura del fallimento
per insufficienza dell’attivo (oppure a seguito della cancellazione di una
società, su cui v. la successiva sentenza n.
1887/2020), di munirsi di titolo esecutivo nei confronti dello stesso
datore di lavoro. Ma nel caso che si giudica, come già detto, la lavoratrice
era munita di sentenza esecutiva del giudice del lavoro di Napoli che aveva
accertato il credito nei confronti della stessa società datrice di lavoro
successivamente cancellata dal registro dell’imprese.

21. – L’affermazione meramente incidentale, pure
effettuata in detta sentenza n. 1886/2020 –
secondo cui in ipotesi di cancellazione della società il lavoratore munitosi
del titolo deve pure agire nei confronti dei soci i quali avrebbero risposto
dei debiti sociali nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidatone –
deve essere invece intesa nei termini di cui sopra ovvero condizionatamente al
fatto che risulti positivamente dimostrato che i soci abbiano riscosso somme in
base al bilancio finale di liquidazione.

22. – In questo unico caso infatti l’esecuzione
dovrà essere promossa nei confronti dei soci di una società di capitali
cancellata e quindi estinta. Non essendovi ragione alcuna per affermare che il
lavoratore, dopo essersi munito di un titolo giudiziale, debba pure sobbarcarsi
un’azione esecutiva individuale nei confronti dei soci di una società di
capitali estinta, quando già risulti in giudizio che i medesimi soci non
abbiano riscosso somme in base al bilancio finale di liquidazione.

23. – Si tratta in fondo di un’applicazione, sotto
il profilo soggettivo, dello stesso criterio della ragionevole diligenza
applicato dalla giurisprudenza nella ricostruzione degli oneri di ricerca sotto
il profilo oggettivo dei beni. E che riemerge, più in generale, anche dalla
recente pronuncia da questa Corte (Cass. n.
26021/2018) la quale ha osservato come la copertura previdenziale
riconnessa all’insolvenza del datore di lavoro non può prescindere da una
semplificazione anche sul piano obbligatorio, per la necessità di tendere al
massimo, data la natura retributiva dei diritti, ad una contiguità temporale
tra il maturare dei crediti e la relativa soddisfazione: sicché non può
consentirsi, in mancanza di norma espressa in tal senso, una dilazione della
stessa, che la subordini all’esercizio della pretesa verso altri condebitori
del credito lavoristico. L’equilibrio normativo, rispetto alle parti del
rapporto previdenziale, è semmai recuperato dal diritto di surroga
dell’I.N.P.S. al lavoratore nel passivo fallimentare (art. 2, co. 7, L. 82/1990).

24. Viene in sostanza confermata, sul punto in
discussione, la stessa ratio decidendi (Cass. n.
9108/2007) secondo cui “se la previsione dell’esperimento dell’esecuzione
forzata deve essere considerata quale espressione dell’ordinaria diligenza che
il creditore deve adottare per la realizzazione del proprio diritto,
finalizzata, in particolare, a dimostrare la mancanza o l’insufficienza delle
garanzie patrimoniali del debitore, il relativo obbligo viene meno allorché il
suo adempimento ecceda i limiti dell’ordinaria diligenza ovvero quando
l’esecuzione forzata non sia necessaria a dimostrare la mancanza o l’insufficienza
delle garanzie patrimoniali del debitore essendo già stata fornita aliunde la
relativa prova” (come appunto nel caso in cui risulti che a seguito della
cancellazione della società non vi sia stata alcuna distribuzione dell’attivo
tra i soci).

25. – Sulla scorta delle considerazioni che
precedono il ricorso deve essere quindi accolto, la sentenza impugnata deve
essere quindi cassata e la causa rinviata al giudice indicato in dispositivo il
quale si atterrà nella decisione della causa ai principi di cui sopra (punti 4,
5, 6, 7, 21,

26. – Ai sensi dell’art.
384 c.p.c. la stessa Corte d’appello provvederà anche sulle spese del
giudizio di legittimità. Avuto riguardo all’esito del giudizio non sussistono i
presupposti processuali di cui all’art.
13, comma 1 quater, dpr n. 115/2002.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e
rinvia alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, anche per le
spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del dpr n. 115
del 2002, dà atto della insussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del
comma 1 bis, dello stesso art. 13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 luglio 2020, n. 14020
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