Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 luglio 2020, n. 14088

Licenziamento collettivo, Mancato ricorso alla procedura di
cui all’articolo 24 della L.
n. 223/1991, Qualificazione dei licenziamenti come plurimi per
giustificato motivo oggettivo

Fatti di causa

 

1. La Corte d’Appello dell’Aquila ha confermato la
sentenza del Tribunale di accoglimento dell’opposizione proposta dalla soc S.L.
a r.l. avverso la cartella esattoriale, emessa su istanza dell’Inps, per il
recupero degli importi di cui all’articolo 5, comma 4, della legge
n. 223 del 1991. Secondo la Corte non ricorreva l’ipotesi del licenziamento
collettivo in quanto l’azienda, pur avendo proceduto al licenziamento di tutta
la forza lavoro in misura di 28 unità nel medesimo giorno, non aveva fatto
ricorso alla procedura di cui all’articolo 24 della l.n. 223 del
1991, qualificando i licenziamenti come plurimi per giustificato motivo
oggettivo, sicché i dipendenti non avrebbero comunque avuto diritto a godere
del contributo per la mobilità.

2. Per la cassazione della sentenza l’Inps ha
proposto ricorso, affidato ad un unico motivo. S.L. srl ha resistito con
controricorso. Fissata l’udienza di camera di consiglio, la causa è stata
rimessa all’udienza pubblica non ravvisandosi i presupposti per la decisione in
camera di consiglio.

 

Ragioni della decisione

 

3. L’Inps deduce la violazione e falsa applicazione
degli articoli 4, 5 comma 4,
7 comma 1, 16 comma 1 e 24 della legge n 223 del 1991
e sostiene che gli importi di cui all’articolo 5 comma 4 della legge 223
del 1991 dovrebbero essere versati ogniqualvolta ricorrano i presupposti per
il licenziamento collettivo previsti dall’articolo 24 della legge n 223 del
1991, a prescindere dall’effettiva realizzazione della relativa procedura,
restando irrilevante che i lavoratori avessero rinunciato alla percezione della
relativa indennità . Contesta il fatto che il giudice di merito abbia posto in
rapporto sinallagmatico il contributo di mobilità con l’indennità di mobilità,
rapporto che secondo l’Inps non sussisterebbe o quanto meno non sarebbe così
stringente da consentire al datore di lavoro di esentarsi dal pagamento di
detto contributo solo perché i lavoratori dal medesimo licenziati abbiano
rinunciato alla percezione della relativa indennità e percepiscono l’indennità
di disoccupazione.

4. Il ricorso deve essere rigettato.

Questa Corte intende dare continuità ai principi già
affermati con la sentenza n 14305/2007 e da
ultimo con la sentenza n. 6635/2020.

5. Con la citata sentenza del 2007 questa Corte ha
già avuto modo di affermare che « In tema di contribuzione per la mobilità, in
forza dell’art. 5, quarto
comma, della legge n. 223 del 1991, per il quale l’impresa datrice di
lavoro è tenuta a versare alla gestione degli interventi assistenziali e di
sostegno alle gestioni previdenziali, in trenta rate mensili, una somma pari a
sei volte il trattamento mensile iniziale di mobilità spettante al lavoratore,
e del combinato disposto degli art.
7, primo e secondo comma, e 16,
primo comma, della stessa legge (ai sensi dei quali alcune categorie di
lavoratori non hanno diritto all’indennità), le imprese sono tenute a versare
il contributo a loro carico solo con riferimento alle posizioni dei dipendenti
posti in mobilità che abbiano diritto all’indennità, ma non con riferimento
alle posizioni dei dipendenti posti in mobilità non aventi diritto ad usufruire
dell’indennità stessa».

6. In base al citato precedente del 2020 questa
Corte ha ulteriormente osservato che “il contributo in esame è riferito
singolarmente a ciascuno dei lavoratori posti in mobilità (e non all’insieme di
essi considerati nel loro complesso), ed è rapportato come importo al
trattamento mensile di mobilità spettante a quel singolo lavoratore. Ciò
significa che sussiste un rapporto diretto tra l’onere a carico dell’azienda ed
il trattamento erogato dall’Istituto assicuratore ai singoli lavoratori,
mentre, quando il lavoratore non ha diritto all’indennità di mobilità non
sussiste neppure l’onere a carico dell’azienda. Pertanto, se il contributo è
riferito al singolo lavoratore, rapportato al suo trattamento mensile iniziale,
quello di mobilità non è un contributo di carattere generale, destinato a
finanziare l’intera gestione della mobilità, e neppure quella specifica
operazione di mobilità posta in essere da quella azienda, ma piuttosto un
contributo specifico funzionale al singolo trattamento di mobilità erogato al
singolo lavoratore.

Sussiste, quindi, un rapporto diretto tra l’onere a
carico del datore di lavoro ed il trattamento erogato dall’Istituto
assicuratore ai singoli lavoratori, per cui il contributo deve essere riferito
ai soli lavoratori che hanno diritto al trattamento da parte dell’Istituto
assicuratore, mentre deve essere escluso per quel che riguarda i lavoratori
che, pur se posti in mobilità, non hanno diritto alla prestazione assicurativa.
Infatti, l’art. 7, comma 1,
della stessa legge n. 223/91 prevede che abbiano diritto all’indennità
solamente i lavoratori collocati in mobilità ai sensi dell’art. 4, che siano in possesso
dei requisiti di cui all’art.
16, comma 1, vale a dire i lavoratori, gli operai, gli impiegati o i
quadri, che possano far valere una anzianità aziendale di almeno dodici mesi,
di cui almeno sei dì lavoro effettivamente prestato, ivi compresi i periodi i
periodi di sospensione dal lavoro derivante da ferie, festività ed infortuni,
con un rapporto di lavoro di carattere continuativo e comunque non a
termine”.

7. La Corte territoriale ha fatto buon uso dei
suddetti principi nella specie in cui risulta accertato che la società aveva
cessato l’attività ed aveva proceduto al licenziamento di tutti i dipendenti
per giustificato motivo oggettivo; che le parti avevano rinunciato
concordemente all’attivazione della procedura stabilita per i licenziamenti
collettivi e che i lavoratori non avevano percepito l’indennità di mobilità, ma
anzi l’indennità di disoccupazione con la conseguenza che non sorgeva alcun
onere a carico dell’Inps di corresponsione dell’indennità di mobilità .

8. Per le considerazioni che precedono il ricorso
deve essere rigettato considerato che le censure dell’Istituto sono limitate
all’affermazione della sufficienza in astratto dei presupposti del licenziamento
collettivo.

Le spese processuali seguono la soccombenza. Avuto
riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso
sussistono i presupposti di cui all’art. 13,
comma 1 quater, dpr n. 115/2002.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare
le spese processuali liquidate in Euro 8.000,00 per compensi professionali
oltre 15% per spese generali ed accessori di legge, nonché Euro 200,00 per
esborsi.

Ai sensi dell’art.
13, comma 1 quater del dpr n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il
ricorso a norma del comma 1 bis, dello stesso
art. 13.

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