Ai c.d. riders va estesa la normativa sulla tutela della sicurezza con conseguente obbligo del datore di lavoro di fornire ai lavoratori gli strumenti di protezione individuale.

Nota a Trib. Bologna 14 aprile 2020 e a Trib. Firenze 5 maggio 2020

Giuseppe Rossini

Con riferimento alla normativa dettata in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, il DPCM 11 marzo 2020 ha disposto sull’intero territorio nazionale la sospensione delle attività dei servizi di ristorazione (tra i quali: bar, pub. ristoranti, gelaterie, pasticcerie), ma ha consentito la prosecuzione della ristorazione con consegna a domicilio “nel rispetto delle norme igienico -sanitarie sia per l’attività di confezionamento che di trasporto”.

Al riguardo, il Tribunale di Bologna (14 aprile 2020) ha stabilito che, in seguito all’adozione delle suddette misure, grava sulle imprese l’onere di provvedere a garantire il richiesto rispetto delle prescrizioni igienico-sanitarie previste per l’attività di trasporto e consegna a domicilio del cibo. Ciò, non solo a salvaguardia della salute degli operatori, ma anche a tutela dell’utenza del servizio e, con essa, dell’intera collettività.

Nello specifico, secondo il Tribunale, anche ai c.d. riders vanno estese, a prescindere dal nomen iuris utilizzato dalle parti nel contratto di lavoro, le garanzie previste per il lavoro subordinato e, in particolare la normativa sulla tutela delle condizioni di igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro, fra cui rientrano le disposizioni che prevedono l’obbligo a carico del datore di lavoro di continua fornitura e manutenzione dei Dispositivi di Protezione Individuale (D.P.I.). “Nel novero delle prescrizioni igienico sanitarie appare ragionevolmente ricompreso l’uso dei dispositivi di protezione individuale, quali guanti, mascherine e prodotti igienizzanti, di cui peraltro il citato DPCM raccomanda l’adozione nell’ambito di tutte le attività produttive”.

Alle medesime conclusioni giunge il Tribunale di Firenze (5 maggio 2020), il quale ha ritenuto che: a) il servizio fornito dal riders può essere ricompreso tra le collaborazioni etero-organizzate e, quindi, sottoposto alla disciplina dell’art. 2 D.LGS. n. 81/2015, che, come noto, “ricollega imperativamente l’applicazione della (intera) disciplina della subordinazione al verificarsi degli indici fattuali (significativi ed esaustivi) della personalità, continuità ed etero-organizzazione”; b) ai riders vadano forniti gli strumenti di protezione individuale (quali la mascherina  protettiva, i guanti monouso ed i gel disinfettanti e prodotti a  base alcolica per  la pulizia dello zaino) atti a prevenire il rischio da contagio nell’ambito della emergenza epidemiologica da COVID-19.

L’uso di tali strumenti di protezione individuale, sottolineano i giudici, è raccomandato dal sopracitato DPCM (art. 1, punto 7) nell’ambito dello svolgimento della attività produttive e professionali e va dunque applicato, in modo particolare, per le attività a contatto con il pubblico In questa linea, l’art. 1, punto 2, del citato DPCM ha consentito lo svolgimento dell’attività di ristorazione con consegna a domicilio “nel rispetto delle norme igienico-sanitarie sia per l’attività di confezionamento che di trasporto”.  Tale affermazione non può essere confutata sulla base della considerazione che, vista la tipologia di attività svolta dai riders, che consente comunque il distanziamento sociale, non vi sia ad oggi alcuna certezza scientifica dell’assoluta necessità di dispostivi peculiari al fine di prevenire rischi da contagio.

Il Tribunale di Firenze rileva infine che ad identica conclusione si può giungere “ove si ritenga applicabile al caso di specie la disciplina del Capo V-bis del D.LGS. n. 81/2015 (Tutela del lavoro tramite piattaforme digitali), finalizzata a stabilire “livelli minimi di tutela per i lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore di cui all’articolo 47, comma 2, lettera a), del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, attraverso piattaforme anche digitali” (art. 47-bis, co. 1, D.LGS. n. 81/2015), essendo previsto che il committente che utilizzi la piattaforma anche digitale sia tenuto “nei confronti dei lavoratori di cui al comma 1, a propria cura e spese, al rispetto del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81” (art. 47-septies, co. 3, D.LGS. cit.) e, quindi, anche al rispetto di quanto previsto dall’art. 71 del predetto D.LGS. n. 81/2008 (in punto di fornitura di dispositivi di protezione)”.

Legenda

– In base all’art. 2, D.LGS. n. 81/2015, come novellato dal DL. 3 settembre 2019, n. 101, convertito, con modificazioni, nella L. 2 novembre 2019, n. 128, si dispone che “A far data dal 1° gennaio 2016. si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente. Le disposizioni dì cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali” (v. Cass. n.  1663/2020, in questo sito con nota di G.I. VIGLIOTTI, Al rapporto di lavoro dei riders si applicano le tutele della subordinazione).

Tutela dei riders e strumenti di protezione individuale
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