Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 luglio 2020, n. 14374

Lavoro, Socio, Accertamento della natura subordinata del
rapporto, Diritto alle mensilità supplementari e agli emolumenti di fine
rapporto

 

Premesso

 

che con sentenza n. 1332/2015, depositata in data 11
agosto 2015, la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo
grado del Tribunale di Velletri, ha respinto le domande di V.E. volte ad
ottenere, nei confronti della C. Immobiliare S.p.A., l’accertamento della
natura subordinata del rapporto intercorso dall’1/9/1996 al 20/9/2006 (con
interruzione dal novembre 1998 all’aprile 1999), escluso il periodo già
regolarizzato 3/2 – 30/6/1997, e il pagamento delle conseguenti differenze
retributive;

– che, a sostegno della propria decisione, la Corte
di appello ha rilevato: 1) che l’E. era stato A.U. della società e che
l’esercizio di tale carica era da ritenersi incompatibile con la condizione di
lavoratore subordinato; 2) che, in ogni caso, l’istruttoria non aveva
confermato che il padre della socia di maggioranza, e A.U. della società
successivamente all’E., vi avesse effettivamente rivestito la qualità di
amministratore di fatto e che l’appellato fosse sottoposto al potere direttivo,
di controllo e disciplinare di quest’ultimo;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per
cassazione l’E., con due motivi, assistiti da memoria, cui ha resistito con
controricorso la C. Immobiliare S.r.l. (già C. Immobiliare S.p.A.);

– che la società ha depositato documenti relativi
all’ammissibilità del controricorso;

 

Rilevato

 

che con il primo motivo, deducendo la violazione o
falsa applicazione degli artt. 36 Cost., 2086, 2094 e 2099 cod. civ., il ricorrente censura la sentenza
impugnata sia per avere ritenuto incompatibile la qualità di A.U. di una
società con la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, sia per non
avere adeguatamente valutato il materiale probatorio e, in particolare, le
risultanze delle dichiarazioni testimoniali;

– che con il secondo motivo, deducendo il vizio di
motivazione nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 114, 132, 359 cod. proc. civ. e 118
disp. att. dello stesso Codice, il ricorrente censura la sentenza impugnata
per non avere motivato in ordine al diritto alle mensilità supplementari e agli
emolumenti di fine rapporto relativamente al periodo (dal 3/2/1997 al
30/6/1997) in cui esso era stato regolarizzato, nonostante che la relativa
domanda fosse stata reiterata in grado di appello;

 

Osservato

 

preliminarmente che l’eccezione di nullità o di
inammissibilità del controricorso, per non essere stato firmato né manualmente
né digitalmente dal legale della società, deve essere disattesa alla stregua
della documentazione depositata da quest’ultimo, avv. R.R. (“Asseverazione
di conformità della copia cartacea dell’atto notificato in

formato telematico via PEC” e relativi
allegati), documentazione dalla quale risulta la sottoscrizione della stessa in
calce all’elenco degli atti (ivi compreso il controricorso) notificati ad
entrambi i difensori della controparte in formato digitale a mezzo posta
elettronica certificata;

– che il primo motivo è inammissibile;

– che, infatti, anche ove potesse mettersi in
discussione il principio, di cui la Corte ha fatto applicazione (e cioè quello
della incompatibilità tra la carica di A.U. di una società e la contemporanea
sussistenza, in capo al medesimo soggetto, della qualità di lavoratore
subordinato alle dipendenze di essa: in tal senso Cass.
n. 6819/2000), resta che la seconda ragione decisoria, di per sé
autonomamente idonea a sostenere la pronuncia di rigetto delle domande, non
risulta adeguatamente censurata, avendo il ricorrente svolto in proposito
considerazioni unicamente dirette ad un diverso apprezzamento del merito della
controversia, estraneo alla sede del giudizio di legittimità, e risultando
altresì, e comunque, non trascritte le deposizioni testimoniali, di cui la
Corte di appello avrebbe frainteso la reale portata dimostrativa;

– che, come ripetutamente precisato, “qualora
la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro
distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e
giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes
decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le
censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza,
in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta
definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa” (Cass.
n. 2108/2012, fra le numerose conformi);

– che anche il secondo motivo è da ritenersi
inammissibile, per inosservanza del requisito di cui all’art. 366, comma Io, n. 6 cod. proc. civ., non avendo
il ricorrente riportato l’atto di appello nella parte in cui sarebbe stata
reiterata la domanda (di pagamento, per il periodo regolarizzato, delle
mensilità supplementari e degli emolumenti di fine rapporto) del cui omesso
esame egli si duole;

 

Ritenuto

 

conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;

– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 200,00 per
esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al
15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115
del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis dello stesso articolo 13, se
dovuto.

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