Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 luglio 2020, n. 15110

Rapporto di lavoro, Dirigenti scolastici, Retribuzione,
Nullità clausola del CCNL, Contrasto con i principi di cui all’art. 24, D.Lgs. n. 165/2001

 

Rilevato che

 

la Corte d’Appello di Lecce ha rigettato il gravame
proposto da O.C. e R.L., dirigenti scolastici, avverso la sentenza del
Tribunale della stessa città che aveva respinto la domanda dei predetti volta a
far accertare la nullità della clausola del CCNL di riferimento con cui la
retribuzione di posizione del dirigenti scolastici era stata stabilita, nella
parte fissa, in misura pari a circa un quinto di quanto a tale titolo spettante
ai dirigenti di seconda fascia delle altre aree statali;

ciò veniva sostenuto sul presupposto – addotto da
ricorrenti – della nullità della predetta previsione collettiva, per contrasto
con i principi di cui all’art.
24 d. Igs. 165/2001, con inserzione automatica delle diverse clausole dei
contratti proprie delle altre aree o in subordine, in forza di tale nullità,
con riconoscimento del dovuto a titolo di arricchimento senza causa; la Corte
d’Appello riteneva che l’art.
24 cit. non fosse norma imperativa e che comunque essa non fosse stata
violata perché la determinazione del compenso era avvenuta in ragione delle
caratteristiche della funzione, tenuto anche conto che le responsabilità erano
inferiori a quelle degli altri dirigenti generali; la Corte territoriale
riteneva altresì infondata la pretesa subordinata di indennizzo per
arricchimento senza causa, essendovi coerenza tra remunerazione e
responsabilità e non essendo comunque riscontrabile, né dimostrabile, un
depauperamento del pubblico dipendente; la C. ed il L. hanno proposto ricorso
per cassazione con quattro motivi, poi illustrati da memoria, mentre il
Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca si è soltanto costituito per
partecipare all’eventuale discussione della causa, poi non avutasi, stante
l’avvio a trattazione camerale;

 

Considerato che

 

con il primo motivo i ricorrenti adducono, ai sensi
dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa
applicazione dell’art. 24,
co. 1, d. Igs. 165/2001, in relazione agli artt. 15, 23, 25 e 45 dello stesso d. Igs.,
ripercorrendo la disciplina della retribuzione della dirigenza e sostenendo che
essa non consentirebbe di differenziare il trattamento economico per le diverse
aree; il secondo motivo è invece dedotto ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., sotto il profilo dell’omesso
esame di un fatto decisivo, da individuarsi nella mancata comparazione tra i
diversi trattamenti praticati dalla contrattazione collettiva per le diverse
aree della dirigenza;

con il terzo motivo è affermata la violazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) dei principi di
ragionevolezza e di proporzionalità del trattamento retributivo rispetto alla
quantità e qualità del lavoro svolto, di cui agli artt.
3 e 36 della Costituzione, nonché di cui
all’art. 24 d. Igs.
165/2001;

il quarto motivo è dedicato invece al tema
dell’arricchimento senza causa, sostenendosi ex art.
360 n. 3 c.p.c. che ricorressero tutti i presupposti della corrispondente
figura giuridica, anche in applicazione dei principi di ragionevolezza e
proporzionalità del trattamento retributivo, tra cui l’interdipendenza tra
risparmio di spesa della P.A. e diminuzione patrimoniale dei ricorrenti, la
mancanza di giustificazione giuridica dell’indebito ed il riconoscimento da
parte della P.A. dell’utilità della prestazione resa dai ricorrenti;

i motivi, tra loro connessi, possono essere
esaminati congiuntamente e vanno disattesi;

l’art.
24 del d. Igs. 165/2001 non contiene alcuna previsione imperativa di pari
trattamento quantitativo delle diverse aree della dirigenza statale; la norma
rimette alla contrattazione collettiva la determinazione della retribuzione del
personale con qualifica di dirigente, fissando criteri per il trattamento accessorio
(di posizione, parte variabile e di risultato), non coinvolto tuttavia dal
presente contenzioso;

l’esercizio della discrezionalità collettiva
impedisce ogni sindacato finalizzato a comparazioni tra le distinte aree e
comparti sulla cui base i negoziati si svolgono e si concludono, come previsto
dagli artt. 43 e 45 d. Igs.
165/2001; d’altra parte, tali negoziati sono evidentemente a loro volta
influenzati da scelte relative agli stanziamenti che, in esercizio della
(diversa ma parimenti sussistente) discrezionalità politica del legislatore,
ben possono essere diversamente allocati;

così come è improponibile una comparazione, a fini
di adeguatezza e proporzionalità ex art. 36 Cost.,
tra dirigenti appartenenti a comparti e dunque ad aree distinti, stante la
evidente eterogeneità delle attività in concreto svolte, tale da escludere
altresì qualsiasi possibilità di ragionare in termini di parità di trattamento
ai sensi dell’art. 45
cit.;

tali considerazioni sono assorbenti rispetto ad ogni
altro argomento sviluppato con i primi tre motivi ed esimono dunque da ogni
ulteriore approfondimento; quanto al quarto motivo è evidente che, a fronte di
diritti regolati, secondo legge, in sede collettiva, la misura della
retribuzione discende esclusivamente da quanto ivi stabilito per quelle
funzioni ed incarichi come remunerativo del corrispondente lavoro svolto, il
che, comportando una piena regolazione “causale” delle reciproche
prestazioni, non consente di riconoscere alcun margine a prospettazioni in
termini di arricchimento senza causa, istituto pertanto del tutto
impropriamente richiamato dal punto di vista giuridico; il ricorso va quindi
integralmente rigettato, ma, poiché il Ministero si è limitato alla
costituzione in giudizio, senza svolgere attività difensiva, al rigetto non
segue alcuna statuizione sulle spese del giudizio;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis, dello stesso articolo
13, se dovuto.

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