Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 luglio 2020, n. 15111

Licenziamento per giusta causa, Abituale inosservanza di
leggi e regolamenti, Negligenza, CCNL, Sanzione conservativa

 

Fatti di causa

 

1. La Corte di appello di Ancona, con la pronuncia
n. 57 del 2017, in riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato
illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato a F.M. il 26.4.2013; ha
dichiarato risolto il rapporto di lavoro e condannato P.I. spa al pagamento di
una indennità risarcitoria pari a 18 mensilità dell’ultima retribuzione globale
di fatto.

2. La Corte di merito, nel valutare le quattro
condotte addebitate, ha escluso che i fatti contestati potessero ricondursi
alle ipotesi di cui all’art. 54
comma 4 lett. j (abituale inosservanza di leggi e regolamenti) o lett. n
(qualsiasi negligenza o inosservanza volta a procurare a sé o a terzi indebiti
vantaggi), per le quali il ccnl prevede una sanzione conservativa, trattandosi
di condotte “non direttamente tenute in violazione di leggi o regolamenti
e, dall’altro, non connotate dalla volontà di procurare indebiti vantaggi a sé
o a terzi”. Ha, quindi, escluso l’applicabilità della tutela di cui all’art. 18 comma 4 della legge n.
300 del 1970, come modificato dalla legge n.
92 del 2012. Ha, invece, ritenuto la condotta contestata riconducibile alla
previsione di cui all’art. 54
comma 6 lett. a) del ccnl, che punisce con il licenziamento la “connivente
tolleranza di abusi commessi da dipendenti o da terzi”, ma la sanzione
espulsiva non proporzionata in ragione del limitato disvalore della condotta
addebitata alla F. per avere la stessa agito su richiesta della S., sua
superiore gerarchica, nonché per avere violato la procedura interna sulla
custodia dei titoli. Ha, pertanto, applicato il regime di tutela di cui all’art. 18 comma 5 della legge n.
300 del 1970, come modificata dalla legge n.
92 del 2012.

3. La suddetta decisione veniva cassata con rinvio
da questa Corte (sent. n. 27238 del 2018)
la quale evidenziava che, dall’accertamento in fatto compiuto dai giudici di
seconde cure e dalla loro valutazione operata quanto all’elemento soggettivo,
emergeva l’errore di sussunzione della fattispecie concreta nella previsione di
cui all’art. 54 co. 6 lett. a)
del CCNL, che prevedeva la sanzione espulsiva, essendo la connivenza,
richiesta da tale disposizione, logicamente incompatibile con l’affermazione,
contenuta nella sentenza impugnata, di non consapevolezza dell’altrui abuso.

4. La Corte di appello di Ancona, in diversa
composizione, investita quale giudice di rinvio, con la sentenza n. 75 del
2019, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato risolto il
rapporto di lavoro intercorso tra le parti alla data del licenziamento
comunicato il 23.4.2013; ha dichiarato illegittimo il licenziamento impugnato
e, per l’effetto, ha condannato P.I. spa a corrispondere a F.M. una indennità
risarcitoria pari a 18 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

5. A fondamento della decisione i giudici di rinvio
hanno ritenuto, nella valutazione dell’elemento psichico che sorreggeva la
condotta materiale contestata alla lavoratrice, che ad escludere la
consapevolezza che le operazioni compiute su richiesta della S. integrassero
abusi di pubblica fede nonché gravi violazioni di fondamentali regole operative
dell’ufficio, erano di ostacolo: 1) il contesto spazio-temporale in cui si era
svolta l’azione, atteso che la F. aveva presenziato all’apposizione della firma
falsa da parte della S.; 2) il ruolo professionale rivestito dalla F., quale
direttrice della filiale presso cui i fatti si erano verificati, era tale da
far apparire inverosimile che ella ignorasse il disvalore giuridico ed etico
dell’operato della S.. Di contro, l’insussistenza di un interesse personale
della F., in uno al carattere isolato dell’episodio, consentono di qualificare
l’azione della lavoratrice in termini di consapevole adesione alla altrui
illecita iniziativa.

6. Ritenuto, pertanto, che il comportamento della
incolpata integrasse, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, la fattispecie
della “consapevole tolleranza dell’altrui abuso”, e considerato che
la soggezione psichica non era tale da scriminare l’azione, trovava
applicazione l’art. 18 co. 5
St. lav., sicché andava dichiarata l’illegittimità del licenziamento per
difetto di proporzione tra la condotta contestata, pur sussistente, e l’entità
della sanzione espulsiva, rispetto al concreto atteggiarsi della prima e al suo
modesto disvalore etico, inidoneo a minare irreparabilmente il vincolo
fiduciario a base del rapporto di lavoro subordinato.

7. I giudici di rinvio hanno condannato, infine, la
società al pagamento delle spese di tutti i gradi del giudizio.

8. Avverso tale ultima decisione ha proposto ricorso
per cassazione F.M. affidato a tre motivi, cui ha resistito con controricorso
P.I. spa.

9. Le parti hanno depositato memorie.

 

Ragioni della decisione

 

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la
violazione o falsa applicazione dei principi regolatori della cognizione del
giudice di rinvio, ex artt. 384 cpv e 394 c.p.c. nonché la nullità della sentenza di
rinvio, per avere la corte territoriale omesso di uniformarsi al principio di
diritto enunciato dalla Corte di cassazione e per indebita rinnovazione di
iusdicere su parti coperte dal giudicato ex art.
2909 cc e 324 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 e n. 4 c.p.c.. Si sostiene che
i giudici di rinvio, non attenendosi al decisum della Suprema Corte, avevano
rivalutato accertamenti in fatto divenuti già definitivi e conducendo la
propria cognizione in ambito eccedente a quello demandato, in ordine alla
valutazione della “connivente tolleranza dell’altrui abuso”.

3. Con il secondo motivo, si censura la violazione e
falsa applicazione dell’art.
18 commi 4 e 5 legge n. 300 del 1970; la disapplicazione della tutela reale
e la illegittima applicazione della tutela indennitaria, in ipotesi di licenziamento
disciplinare illegittimo e di non irrogabilità della sanzione espulsiva. Si
sostiene che la Corte di merito non aveva valutato la esatta portata delle
disposizioni che, a seguito della riforma della legge
n. 92 del 2012, hanno previsto l’ordine di reintegra a seguito della
illegittimità del licenziamento disciplinare non solo nei casi di insussistenza
materiale del fatto addebitato, ma anche laddove l’addebito riguardi condotte
punibili con sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti
collettivi ovvero per mancanza di significativa gravità della medesima, secondo
il margine di apprezzamento discrezionale del giudice di merito, con la
conseguenza che, rientrando il fatto nelle condotte punibili con una sanzione
conservativa, andava applicata la tutela ridotta ex art. 18 comma 4 legge n. 300 del
1970.

4. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la
violazione e la falsa applicazione degli artt. 91 c.p.c.e 75 disp.
att. c.p.c., in riferimento ai parametri forensi vigenti ex DDMM n. 55/2014 e 37/2018;
l’errata determinazione del valore di causa, la mancata liquidazione del
compenso per fasi e l’errata individuazione dello scaglione valoriale ex artt. 4 comma 1 e 5, nonché dell’art.
5 comma 3 DM n. 55 del 2014. Si duole la ricorrente della ingiustificata ed
eccessiva esiguità delle spese liquidate (euro 2.600,00 per il primo grado
-fase sommaria ed opposizione-; euro 3.500,00 per il secondo grado; euro 3.200
per il giudizio di rinvio; euro 2.800,00 per il giudizio di legittimità).

5. Il primo motivo è fondato.

6. E’ necessario richiamare, in ordine ai poteri del
giudice di rinvio, il principio statuito da questa Corte (Cass. n. 27337 del 2019) cui si intende dare
seguito per le condivisibili argomentazioni ivi svolte.

7. In particolare, è stato affermato che i limiti
dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la
sentenza di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa
applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine ai
punti decisivi della controversia, ovvero per l’una e per l’altra ragione:
nella prima ipotesi, il giudice di rinvio è tenuto soltanto ad uniformarsi, ai
sensi dell’art. 384 co. 1 c.p.c., al principio
di diritto enunciato dalla sentenza della cassazione, senza possibilità di
modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo;
nella seconda ipotesi, il giudice non solo può valutare liberamente i fatti già
accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento
complessivo in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella
cassata, tenendo conto, peraltro, delle preclusioni e decadenze già
verificatesi; nella terza ipotesi, la “potestas iudicandi” del
giudice di rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di
diritto, può comportare la valutazione “ex novo” dei fatti già
acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione sia
consentita in base alle direttive impartite dalla Corte di cassazione e sempre
nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse.

8. Inoltre è stato precisato che il potere-dovere di
interpretare direttamente il contenuto e la portata della propria precedente
statuizione spetta alla Corte di cassazione (Cass. n. 19212 del 2005; Cass. n. 9395 del 2006).

9. Nella fattispecie in esame, questa Corte aveva
cassato la prima sentenza della Corte di appello rilevando una violazione e falsa
applicazione, ex art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.,
dell’art. 7 della legge n. 300
del 1970, dell’art. 53 co.
4 CCNL, dell’art. 18 co. 4
della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla legge n. 92 del 2012.

10. In particolare, era stato evidenziato un errore
di sussunzione della fattispecie concreta nella previsione di cui all’art. 54 comma 6 lett. a) del CCNL,
essendo la “connivenza”, richiesta da tale disposizione, logicamente
incompatibile con l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, di non
consapevolezza dell’altrui abuso; era stato, altresì, sottolineato che la Corte
di merito aveva dettagliatamente ricostruito l’atteggiamento della volontà
della dipendente, mettendo in rilievo la sua condizione di lavoratrice sottoposta
gerarchicamente alla S. e la prassi seguita in ufficio.

11. La Corte di merito, pertanto, quale giudice del
rinvio, nel procedere al nuovo accertamento di sussunzione della fattispecie
concreta in quella astratta, non poteva rivalutare l’atteggiamento soggettivo
dell’incolpata al fine di escludere o meno la consapevolezza che la condotta
compiuta su richiesta della S. integrasse abuso di pubblica fede ovvero grave
violazione di fondamentali regole operative dell’Ufficio perché, effettuando un
esame ex novo, ha proceduto ad una nuova valutazione di merito ormai preclusa
da dictum affermato in sede di legittimità che aveva demandato solo una nuova
verifica della sussunzione del caso de quo nella previsione della
contrattazione collettiva.

12. Solo per completezza, ai fini dell’accertamento
della predetta sussunzione, deve sottolinearsi che solo ove il fatto contestato
e accertato sia espressamente contemplato da una previsione di fonte negoziale
vincolante per il datore di lavoro, che tipizzi la condotta del lavoratore come
punibile con sanzione conservativa, il licenziamento sarà non solo illegittimo
ma anche meritevole della tutela reintegratoria prevista dal comma 4 dell’art. 18 novellato.
Coerentemente non può dirsi consentito al giudice, in presenza di una condotta
accertata che non rientri in una di quelle descritte dai contratti collettivi
ovvero dai codici disciplinari come punibili con sanzione conservativa,
applicare la tutela reintegratoria operando una estensione non consentita, per
le ragioni suesposte, al caso non previsto sul presupposto del ritenuto pari
disvalore disciplinare (cfr. Cass. n. 12365 del
2019).

13. L’accoglimento del primo motivo rende assorbita
la trattazione del secondo e del terzo motivo, dipendenti dalla soluzione sulla
problematica posta dal primo che richiede un accertamento di fatto che deve
svolgere necessariamente la Corte di merito.

14. Alla stregua di quanto esposto, in conclusione, il
primo motivo deve essere accolto, assorbiti il secondo ed il terzo.

15. La sentenza gravata va cassata in relazione al
motivo accolto e la causa va rinviata alla Corte di appello di Bologna, che
procederà ad un nuovo esame secondo i principi e le direttive sopra esposte,
provvedendo, altresì, in ordine alle statuizioni delle spese del presente
giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo, assorbiti il secondo ed il
terzo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di
appello di Bologna, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di
legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 luglio 2020, n. 15111
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