Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 luglio 2020, n. 13912

Infortunio sul lavoro, Risarcimento del danno danno biologico
e morale, Mancato utilizzo degli occhiali di protezione, Omessa vigilanza del
datore di lavoro

 

Fatti di causa

 

1. Il Tribunale di Forlì, in esito alla c.t.u.
medico legale, in accoglimento della domanda di P.A., determinava la somma di €
160.000,00 a titolo di danno biologico, comprensiva di danno morale e previa
personalizzazione del danno, a titolo di risarcimento del danno conseguito ad
infortunio sul lavoro del 5.12.1996, oltre interessi dalla data del sinistro
sulla sorte capitale mensilmente rivalutata, previa devalutazione del capitale,
riconoscendo, in favore del predetto, la somma di euro 218.705,52, con
inclusione dei postumi temporanei. Condannava la s.a.s. Z. di Z.M. & C. al
pagamento della somma suindicata ed accoglieva l’azione di manleva, proposta
dalla datrice di lavoro nei confronti della società assicuratrice A. s.p.a. nei
limiti del massimale di polizza (euro 154.937,00).

2. La Corte d’appello di Bologna, con sentenza del
17 febbraio 2015, in parziale accoglimento del gravame della società Z.,
dichiarava dovuta la sola somma di € 112.000,00, oltre interessi legali dal
giorno dell’infortunio sul capitale devalutato e rivalutato anno per anno, e
conseguentemente ridotta l’obbligazione di manleva, da contenersi nei limiti
del massimale di polizza.

2.1. Osservava che costituiva ius receptum il
principio in base al quale il datore non doveva solo mettere a disposizione i
dispositivi di protezione, ma anche vigilare sul loro utilizzo e che, alla luce
della dinamica dell’evento e del nesso causale incontestato, tra mancato
utilizzo degli occhiali di protezione ed infortunio, doveva ritenersi
sussistere la dedotta culpa in vigilando. Rilevava che, tuttavia, dalla
espletata istruttoria erano emersi elementi che denotavano un concorso di colpa
dell’infortunato in misura del 30%, laddove le altre censure non potevano
trovare accoglimento dovendo la società rispondere in tema di obbligazioni
solidali per l’intero quand’anche fosse individuabile una responsabilità dei
sanitari, rilevante solo nei rapporti interni. Osservava che gli interessi
legali decorrevano dal sinistro, ma dovevano essere calcolati sulla somma
annualmente e non già mensilmente rivalutata e che l’accertato concorso di
colpa dell’assicurato imponesse la regolazione delle spese del grado in termini
di compensazione per la reciproca soccombenza.

3. Di tale decisione domanda la cassazione L’A.,
affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resistono, con distinti
controricorsi, la società e l’Azienda USL della Romagna. La società di
assicurazione A. è rimasta intimata.

4. Le parti costituite hanno depositato memorie
illustrative ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
L’Azienda Usi della Romagna ha depositato nota spese.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo, il ricorrente denunzia
violazione degli artt. 2087 e 1227 c.c. in combinato disposto con gli artt. 21, 22, 35, 38 e 39 D. Igs. 626/94 e con
l’art. 12 d.P.R. 547/1955,
assumendo che è vero che il comportamento imprudente o negligente del
lavoratore, che, con l’omissione della misura di prevenzione, sia stato
concausa dell’infortunio, possa assumere rilevanza agli effetti civili sul
piano del concorso di colpa e della riduzione dell’importo risarcitorio, ma
che, tuttavia, il datore non può invocare alcun concorso di colpa
dell’infortunato nella determinazione dell’infortunio qualora venga meno ai
suoi obblighi di tutela, compresi quelli formativi ed informativi, ovvero
allorquando non dimostri di avere istruito il lavoratore e vigilato
costantemente ed attentamente sull’effettiva e corretta applicazione delle
misure protettive adottate. Evidenzia come nel caso specifico dalla deposizione
del teste S.S. era emerso che era assolutamente assente alcuna attività
formativa ed informativa relativa ai rischi ed all’utilizzo dei dispositivi di
protezione individuale, essendo inesistente ogni attività di vigilanza
sull’effettivo utilizzo delle misure protettive da parte del datore che aveva
omesso di contrastare prassi lavorative non rispettose delle regole
antinfortunistiche. Richiama anche ulteriore deposizione testimoniale resa dal
RSPP G. Z. a conforto della mancanza di specifici corsi di formazione all’epoca
di assunzione del ricorrente e conclude per l’erroneità della decisione in
punto di ritenuto concorso di colpa del lavoratore.

2. Con il secondo motivo, l’A. si duole dell’ omessa
valutazione dei mezzi istruttori in violazione degli artt.
115 e 116 c.p.c., con riferimento agli artt. 2087 e 1227 c.c.,
e degli artt. 21, 22 e 35, 37, 38 e 39 d. Igs. 626/94,
nonché dell’art. 12 d.P.R.
547/1955, ex art. 360, n. 4 c.p.c.

3. Con il terzo motivo (dichiaratamente formulato in
subordine), il ricorrente lamenta omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di
discussione tra le parti, per mancata disamina dell’assenza di formazione,
informazione, addestramento dell’infortunato circa il modo del corretto
utilizzo dei dispositivi di protezione individuale e verifica del loro
effettivo utilizzo.

4. Il quarto motivo ascrive alla decisione impugnata
violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. per la dedotta errata compensazione
integrale delle spese di lite tra le parti, disposta dalla Corte distrettuale.

5. Con riguardo al primo motivo, va evidenziato come
l’indagine compiuta dalla Corte distrettuale riguardi l’apprestamento di misure
protettive e di sicurezza idonee a preservare la salute dei lavoratori, addetti
come l’A. normalmente alla verniciatura (per la quale erano dotati di
mascherina di copertura di naso e bocca), allorché venivano impegnati in
operazioni di montaggio e smontaggio di pezzi per le quali dovevano essere
dotati di occhiali (art. 12
d.P.R. 547/1955 nel testo in vigore all’epoca dell’infortunio: Nelle
operazioni di scalpellatura, sbavatura, taglio di chiodi e in genere nei lavori
eseguiti mediante utensili a mano o a motore, che possono dar luogo alla
proiezione pericolosa di schegge o di materiali, si devono predisporre schermi
o adottare altre misure atte ad evitare che le materie proiettate abbiano a
recare danno alle persone).

6. A fronte della valorizzazione di deposizione resa
da testi che avevano dichiarato che erano stati apposti cartelli che
prescrivevano l’utilizzo di occhiali nel corso di determinate operazioni e che
tali presidi di sicurezza erano stati forniti ai dipendenti impegnati in
attività di smerigliatura e smontaggio di pezzi, il ricorrente richiama quanto
affermato da altri testi o parti diverse delle dichiarazioni pure esaminate
dalla Corte distrettuale che evidenzierebbero, a suo dire, l’assenza di
attività informativa e formativa e l’inesistenza di attività di vigilanza
sull’utilizzo delle misure protettive da parte del datore, inottemperante
all’obbligo di contrastare prassi lavorative non rispettose delle regole
antinfortunistiche: ciò si risolve nell’inammissibilità della censura che
valorizza elementi probatori diversi da quelli posti a fondamento della
decisione impugnata insindacabilmente scelti quali attendibili e prevalenti ai
fini della ricostruzione in fatto ed in diritto che nel presente motivo si mira
a contrastare con un una non consentita versione contrappositiva circa
l’adempimento degli obblighi facenti carico al datore.

6.1. La Corte, come appena detto, ha proceduto ad un
accertamento di merito, dal quale “in termini di grave presunzione”
ha evinto che vi era stata la messa a disposizione del lavoratore dei predetti
dispositivi (occhiali) e della relativa prescrizione di utilizzo. Rispetto a
tale constatazione ed alla ritenuta sussistenza anche di una sola culpa in
vigilando, afferma, poi, che doveva valere un principio di autoresponsabilità
secondo cui il prestatore era a sua volta onerato di osservare le regole di
prudenza generica o specifica imposte dal contesto lavorativo e che ciò
determinava un concorso di colpa del predetto nella misura del 30%, sulla cui
base il danno doveva essere ridotto della corrispondente percentuale.

6.2. Nella ritenuta sussistenza, nei termini
ritenuti dalla Corte, della grave presunzione di messa a disposizione e
prescrizione di utilizzo dei dispositivi di sicurezza, il motivo è formulato su
un piano inidoneo a contrastare l’impianto argomentativo seguito, che, anche in
diritto, è pienamente coerente con i principi sanciti da questa Corte di
legittimità. E’ stato invero, da ultimo, affermato che: “in materia di
infortuni sul lavoro, al di fuori dei casi di rischio elettivo, nei quali la
responsabilità datoriale è esclusa, qualora ricorrano comportamenti colposi del
lavoratore, trova applicazione l’art. 1227, co. 1,
c.c.; tuttavia la condotta incauta del lavoratore non comporta concorso
idoneo a ridurre la misura del risarcimento ogni qual volta la violazione di un
obbligo di prevenzione da parte del datore di lavoro sia giuridicamente da
considerare come munita di incidenza esclusiva rispetto alla determinazione
dell’evento dannoso, il che in particolare avviene quando l’infortunio si sia
realizzato per l’osservanza di specifici ordini o disposizioni datoriali che
impongano colpevolmente al lavoratore di affrontare il rischio o quando
l’infortunio scaturisca dall’avere il datore di lavoro integralmente impostato
la lavorazione sulla base di disposizioni illegali e gravemente contrarie ad
ogni regola di prudenza o infine quando vi sia inadempimento datoriale rispetto
all’adozione di cautele, tipiche o atipiche, concretamente individuabili,
nonché esigibili ex ante ed idonee ad impedire, nonostante l’imprudenza del
lavoratore, il verificarsi dell’evento dannoso”; … “qualora risulti
l’inosservanza, da parte del datore di

lavoro, di specifici doveri informativi (o
formativi) del lavoratore rispetto all’attività da svolgere, tali da rendere
altamente presumibile che, ove quegli obblighi fossero stati assolti, il
comportamento del lavoratore da cui è scaturito l’infortunio non vi sarebbe
stato, non è possibile addossare al lavoratore, sotto il medesimo profilo,
l’ignoranza delle circostanze che dovevano essere oggetto di informativa (o di
formazione), al fine di fondare una colpa idonea a concorrere con
l’inadempimento datoriale e che sia tale da ridurre, ai sensi dell’art. 1227 c.c., la misura del risarcimento dovuto»
(cfr. Cass. 25.11.2019 n. 30679).

6.3. Non si pone, nella specie, un problema di
mancanza dei caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza del
contegno del lavoratore rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive
ricevute (cfr.. Cass. 25.2.2011 n. 4656; Cass. 16.5.2019 n. 13203), ma di individuazione
di un comportamento del predetto che, al cospetto dell’assolvimento di obblighi
di informazione, formazione e dotazione dei lavoratori dei prescritti
dispositivi di sicurezza, ha omesso di osservare prescrizioni costantemente e
concretamente rivolte ai lavoratori specificamente impegnati in un dato tipo di
attività, in ottemperanza ad un principio di autoresponsabilità, con ciò esponendolo
ad un concorso di colpa minoritario.

7. Il secondo motivo deduce impropriamente un vizio
procedurale, contestandosi con lo stesso un’omissione di motivazione con
riferimento a circostanze emerse dall’istruttoria che avrebbero dato conto di
una grave mancanza del datore rispetto agli obblighi in materia di sicurezza
sul luogo di lavoro, tale da condurre all’esclusione di colpa del lavoratore.

7.1 Anche le deduzioni contenute in tale motivo, ove
si assume che siano state estrapolate solo alcune parti delle deposizioni
testimoniali, senza, tuttavia, trascriverne l’intero contenuto, sono, pertanto,
mal formulate, ed il richiamo alla violazione delle norme indicate non è
neanche pertinente, in quanto un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 cod.
proc. civ. può porsi solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di
merito: – abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti
ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è
consentito dalla legge; – abbia fatto ricorso alla propria scienza privata
ovvero ritenuto necessitanti di prova fatti dati per pacifici; – abbia
disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove
legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza
apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a
valutazione. In realtà, nessuna di tali situazioni è rappresentata nei motivi
anzidetti, per cui le relative doglianze sono inammissibili.

8. Il vizio denunziato nel terzo motivo rifluisce in
una censura diretta a contestare la valutazione compiuta dalla Corte
distrettuale sul piano della verifica dell’assolvimento degli obblighi
incombenti sul datore: la censura attiene alla dedotta mancata valutazione di
elementi caratterizzanti gli obblighi del datore, sui quali, peraltro, il
giudice del gravame ha motivato articolatamente e non all’omissione dell’esame
di un fatto storico, al di là del vizio dedotto come rubricato.

9. Quest’ultimo è inconfigurabile, per la mancata
indicazione del fatto di cui si sostiene l’omesso esame in coerenza con il
paradigma deduttivo (dovendo il ricorrente indicare il “fatto
storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o
extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il
“quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra
le parti e la sua “decisività”) prescritto dal novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.: con la
conseguente preclusione nel giudizio di cassazione dell’accertamento dei fatti
ovvero della loro valutazione a fini istruttori, ostativi ad una valutazione
della motivazione insufficiente o contraddittoria, salvo che essa non risulti
apparente né perplessa o obiettivamente incomprensibile (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10
febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439): ciò che non si
verifica nel caso di specie.

10. L’ultimo motivo è infondato in quanto, rispetto
alla soccombenza reciproca – che nella specie risulta essersi configurata, per
effetto del ritenuto concorso di colpa del lavoratore con parziale
riconoscimento quindi delle ragioni di parte appellante – la valutazione delle
proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui
le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi
dell’art. 92, comma 2, c.p.c., rientrano nel
potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di
legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra
la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (cfr.
Cass. 20.12.2017 n. 30592, Cass. 31.1.2014 n. 2149). Nei giudizi instaurati –
come il presente (15.1.2007) – nella vigenza della disciplina introdotta dalla legge 28 dicembre 2005, n. 263 (prima delle
modifiche apportate dall’art. 45,
comma 11 della legge 18 giugno 2009, n. 69 e poi nuovamente dall’art. 13, comma 1, del d.l. 12
settembre 2014, n 132, conv., con mod. nella L.
10 novembre 2014, n. 162) il giudice può procedere a compensazione parziale
o totale tra le parti, in ipotesi di soccombenza reciproca e se ricorrono
“altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione”, atteso
il tenore dell’art. 92, secondo comma, cod. proc.
civ., come modificato dall’art. 2, comma primo, lett. a), della legge
citata (Cass. n. 13460 del 2012). Nel caso di specie, la motivazione è stata
esplicitata e non si palesa come illogica, sicché come tale è sottratta al
sindacato di legittimità.

11. Il ricorso va, pertanto, complessivamente
respinto.

12. Le spese del presente giudizio seguono la
soccombenza della ricorrente e sono liquidate nella misura indicata in
dispositivo nei confronti della società Z., laddove le stesse vanno compensate
nei confronti della Azienda USL, nei cui confronti il ricorrente ha effettuato
una mera denuntiatio litis, non essendo state formulate domande nei riguardi
della predetta. Nulla va statuito nei confronti dell’A. s.p.a., rimasta
intimata.

13. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115
del 2002.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro
200,00 per esborsi, euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori
come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.
Compensa le spese nei confronti dell’Azienda USL della Romagna. Nulla per spese
nei confronti dell’A. s.p.a.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1
quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato
D.P.R., ove dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 luglio 2020, n. 13912
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