Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 luglio 2020, n. 15227

Licenziamento disciplinare, Decadenza dall’esercizio della
azione disciplinare, Conoscenza del fatto di rilievo disciplinare,
Retrodatazione del dies a quo dei termini, Eccezione di violazione del
principio del “ne bis in idem”, Acquisizione da parte dell’ufficio competente
regolarmente investito del procedimento, della notizia di infrazione

 

Fatti di causa

 

1. con sentenza in data 20 settembre-1 ottobre 2018
nr. 599 la Corte d’Appello di L’Aquila, giudice del reclamo ex articolo 1, commi 58 e seguenti
L.92/2012, riformava la sentenza del Tribunale di Teramo, e per l’effetto
rigettava la domanda proposta da A.C.- dipendente del COMUNE DI TERAMO con
qualifica di Agente di polizia municipale – per la impugnazione del
licenziamento disciplinare intimatole in data 19 novembre 2013.

2. Preliminarmente la Corte territoriale respingeva
la eccezione di intervenuta decadenza del COMUNE dall’esercizio della azione
disciplinare.

3. Esponeva che la lavoratrice fondava l’eccezione
sulla retrodatazione del dies a quo dei termini del procedimento disciplinare
rispetto al momento in cui la amministrazione comunale riceveva comunicazione
della archiviazione della denuncia penale che la C. aveva sporto nei confronti
dei suoi superiori gerarchici (Comandante Z., MMA G.Z. e MMA F.T.), sostenendo
che la amministrazione era già a conoscenza tanto della sua denuncia che della
opposizione che ella aveva presentato avverso la richiesta di archiviazione del
pubblico Ministero.

4. Osservava che ai fini del decorso della decadenza
era rilevante unicamente la conoscenza del fatto di rilievo disciplinare; nella
specie solo con la notizia della archiviazione il COMUNE era venuto a
conoscenza della infondatezza delle accuse mosse dalla C. ai suoi superiori.

5. Sempre in via pregiudiziale il collegio del
reclamo respingeva, altresì, la eccezione di violazione del principio del «ne
bis in idem», sollevata dalla C. sul rilievo che le circostanze contestate
erano sostanzialmente identiche ( per la posizione dei MMA Z. e T.) o simili
(per la posizione dello Z.) a quelle per le quali era stata già irrogata (in
data 10 settembre 2012) la sanzione disciplinare di sei giorni di sospensione.

6. AI riguardo osservava che il principio del «ne
bis in idem» non era violato, in quanto la seconda contestazione atteneva non
soltanto ai fatti già contestati ma anche a fatti diversi, di rilievo
disciplinare autonomo- la grava accusa di violenza sessuale nei confronti del
Comandante della Polizia Municipale- fatti ai quali la seconda contestazione
doveva ritenersi limitata. Inoltre i fatti già contestati, relativi ai giorni 2
e 7 luglio 2012, potevano essere considerati ai soli fini della recidiva in
comportamenti analoghi, come previsto dall’articolo 3, comma sette, CCNL ENTI
LOCALI 11 aprile 2008, richiamato nella contestazione disciplinare.

7. Nel merito, il Comune aveva prodotto in sede di reclamo
la pronuncia della Suprema Corte in forza della quale era divenuta definitiva
la condanna della C. per il reato di calunnia, per avere attribuito il reato di
violenza sessuale al comandante Z. (e di molestie sessuali al Maresciallo Z.).
Il giudicato penale di condanna faceva stato nel giudizio disciplinare ai sensi
dell’articolo 653 cod. proc. pen.

8. Il fatto, definitivamente accertato, costituiva
un comportamento di gravità tale sia sotto il profilo oggettivo- tanto da
costituire reato- che sotto il profilo soggettivo- per la qualifica di agente
di pubblica sicurezza della C. e perché la persona offesa era un superiore
gerarchico, accusato del reato di violenza sessuale commesso sul luogo di
lavoro- da integrare una giusta causa di licenziamento ex articolo 2119 cod.civ.

9. Ha proposto ricorso per la cassazione della
sentenza A.C., articolato in cinque motivi di censura, cui il COMUNE DI TERAMO
ha opposto difese con controricorso

10. Le parti hanno depositato memoria

 

Ragioni della decisione

 

1. con il primo motivo la ricorrente ha denunciato –
ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ.-
violazione e falsa applicazione dell’articolo
55 bis, commi tre e quattro, D.Lgs. 165/2001, impugnando la statuizione di
rigetto della eccezione di decadenza.

2. Ha dedotto che i termini indicati dal suddetto articolo 55 bis decorrono dal
momento della prima acquisizione della notizia di infrazione; ha assunto
l’errore della Corte territoriale per avere ritenuto che i termini decorressero
soltanto dal momento in cui il COMUNE di TERAMO aveva avuto conoscenza della
archiviazione della denuncia penale da Lei presentata.

3. Il motivo è inammissibile.

4. La Corte territoriale non si è posta in contrasto
con il principio di diritto- già enunciato da questa Corte ( per tutte: Cass. sez. lav. sent. 14 dicembre 2018, n. 32491; sent. 27 agosto 2018 nr. 21193 e giurisprudenza ivi richiamata) ed
al quale va assicurata continuità- secondo cui ai fini della decorrenza del
termine perentorio per la conclusione del procedimento disciplinare- ex articolo 55 bis, comma quattro, D.Lgs.
165/2001- assume rilievo esclusivamente il momento in cui tale
acquisizione, da parte dell’ufficio competente regolarmente investito del
procedimento, riguardi una «notizia di infrazione» di contenuto tale da
consentire allo stesso di dare avvio in modo corretto al procedimento
disciplinare.

5. Ha evidenziato, piuttosto, che nella fattispecie
concreta la notizia della infrazione risaliva alla conoscenza del provvedimento
di archiviazione del GIP, che aveva offerto elementi di prova circa la
infondatezza delle accuse mosse dalla C. nella sede penale nei confronti del
proprio comandante.

6. Il ricorso, formalmente denunciando una
violazione di legge, nei contenuti censura tale accertamento di fatto; trattasi
di un accertamento storico impugnabile in questa sede di legittimità soltanto
con la deduzione di un vizio di motivazione. Piuttosto che rappresentare
l’omesso esame di un fatto storico decisivo ed oggetto di discussione tra le
parti, la ricorrente sollecita questa Corte ad una inammissibile revisione del
merito.

7. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta – ai
sensi dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ.-
violazione e falsa applicazione degli articoli 2119
e 2106 cod.civ., dell’articolo 55 D.Lgs. 165/2001,
dell’articolo 1 L. nr. 604/1966,
dell’articolo 18 L. nr.
300/1970, dell’articolo
3,comma cinque, lettera g) CCNL comparto REGIONI e AUTONOMIE LOCALI 11 aprile
2008 per il quadriennio 2006-2009 (in prosieguo: CCNL).

8. Ha premesso che la sentenza impugnata ravvisava
la giusta causa del licenziamento unicamente nella calunnia commessa nei
confronti del Comandante di polizia Municipale, ingiustamente accusato di
violenza sessuale.

9. I fatti valutati dal giudice del reclamo
integravano la ipotesi prevista dall’articolo 3, comma cinque,
lettera g) CCNL- (comportamenti calunniosi nei confronti di altri dipendenti)-
per la quale le parti collettive disponevano la sanzione conservativa della
sospensione fino a dieci giorni.

10. La ricorrente ha richiamato il principio secondo
cui la sanzione del licenziamento non può essere irrogata nei casi in cui la
condotta addebitata rientri in una delle fattispecie disciplinari per le quali
la contrattazione collettiva prevede la applicazione di una sanzione
conservativa, deducendone l’ applicabilità al lavoro pubblico privatizzato, per
quanto previsto dal comma due dell’articolo 55 D.Lgs 165/2001.

11. Il motivo è fondato.

12. Nell’ambito del lavoro privato la giurisprudenza
di questa Corte è giunta ad approdi consolidati nel senso che:

– le previsioni della contrattazione collettiva che
individuano le fattispecie di licenziamento disciplinare non vincolano il
giudice di merito, essendo quella della giusta causa e del giustificato motivo
una nozione legale (ex plurimis, Cass. 05 dicembre
2019, n.31839; 22 agosto 2019 nr. 21616 ; 16 luglio 2019 nr. 19023; Cass. n. 8718 del 2017;
Cass. n. 9223 del 2015; Cass. n. 13353 del 2011).

– il principio generale subisce eccezione ove la
previsione negoziale ricolleghi ad un determinato comportamento
disciplinarmente rilevante unicamente una sanzione conservativa: in tal caso il
giudice è vincolato dal contratto collettivo, trattandosi di una condizione di
maggior favore fatta espressamente salva dal legislatore (L. n. 604 del 1966, art. 12).

Pertanto, ove alla mancanza sia ricollegata una
sanzione conservativa, il giudice non può estendere il catalogo delle giuste
cause o dei giustificati motivi di licenziamento oltre quanto stabilito
dall’autonomia delle parti (Cass. 05 dicembre
2019, n.31839; Cass. n. 6165 del 2016; Cass. n. 11860 del 2016; Cass. n. 17337 del 2016; Cass. n. 15058 del 2015; Cass. n. 4546 del 2013; Cass. n. 13353 del 2011; Cass. n. 1173 del 1996;
Cass. n. 19053 del 1995), a meno che non si accerti che le parti stesse non
avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità di una
sanzione espulsiva.

13. Il ricorso chiama questa Corte a pronunciarsi
sull’applicabilità di tale eccezione nell’impiego pubblico privatizzato, nel
quale occorre tenere conto delle speciali previsioni di cui all’articolo 55 ed all’articolo 55 quater e seguenti del
D.L.vo 165/2001, introdotti dal D.Lgs 27
ottobre 2009 nr. 150 ( nella fattispecie di causa applicabile ratione
temporis).

14. Quanto all’articolo 55 quater- con il quale il
legislatore, fatta salva la disciplina generale in tema di licenziamento per
giusta causa e per giustificato motivo, ha tipizzato specifiche ipotesi di
licenziamento disciplinare- questa Corte ha già evidenziato (Cass. 01 dicembre 2016 nr. 24574) che
nell’introdurre fattispecie legali di licenziamento aggiuntive rispetto a
quelle individuate dalla contrattazione collettiva il legislatore ha anche
affermato con chiarezza, con il precedente articolo 55, comma 1, la
preminenza della disciplina legale rispetto a quella di fonte contrattuale;
quest’ultima, quindi, non può essere più invocata ove in contrasto con la norma
inderogabile di legge, venendo in tal caso sostituita di diritto da
quest’ultima, ai sensi degli artt. 1339 e 1419 cod.civ.

15. In sostanza, restano prive di effetto le
clausole della contrattazione collettiva che prevedano una sanzione
conservativa per i fatti che l’articolo
55 quater ( ovvero altre norme dello stesso capo) contempla(no) come
sanzionati dal licenziamento.

16. Fuori da questa ipotesi, le previsioni dell’articolo 55 D.Lgs 165/2001
non ostano alla applicazione del principio, sopra enunciato, secondo cui il
giudice è vincolato dalla previsione del contratto collettivo che ricolleghi ad
un determinato comportamento giuridicamente rilevante solamente una sanzione
conservativa; anzi, il principio trova conferma nel comma 2 dello stesso articolo 55, laddove
stabilisce che (salvo quanto previsto delle disposizioni dello stesso capo) la
tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è definita dai contratti
collettivi.

17. Nella fattispecie di causa, il CCNL, all’articolo 3, comma 5, lettera g)
prevedeva la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio, con
privazione della retribuzione, per «comportamenti…calunniosi … nei
confronti di altri dipendenti…».

18. Tale previsione ha conservato validità nella
vigenza del D.Lgs. 150/2009, in quanto
compatibile con le previsioni del citato articolo 55 quater, che prevede il
licenziamento disciplinare, per quanto rilevante in causa, nei diversi casi di
« reiterazione nell’ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste o
minacciose o ingiuriose o comunque lesive dell’onore e della dignità personale
altrui» (lettera e dell’articolo 55
quater).

19. Il giudice del reclamo, pertanto, non avrebbe
potuto ritenere integrata la giusta causa di licenziamento in relazione al solo
reato di calunnia nei confronti del comandante di polizia municipale senza
confrontarsi con le previsioni del contratto collettivo, che prevedevano una
sanzione conservativa per i comportamenti calunniosi nei confronti di altri
dipendenti. In particolare, dopo avere atto della validità della contestazione
della recidiva, nell’esaminare la censura del ne bis in idem, non poteva
omettere di valutare la recidiva contestata quando si è poi espresso sulla
sussistenza della giusta causa.

20. Invero la contestazione disciplinare faceva
riferimento alle più gravi ipotesi di cui all’articolo 55 quater lettera e) D.L.vo
165/2001- della quale si è detto- ed all’articolo, 3 comma 7 lettera f) CCNL,
che sanziona con il licenziamento la « recidiva nel biennio, anche nei confronti
di persona diversa, di sistematici e reiterati atti e comportamenti aggressivi,
ostili e denigratori e di forme di violenza morale o di persecuzione
psicologica nei confronti di un collega al fine di procuragli un danno in
ambito lavorativo…».

21. Limitando la propria analisi al reato di
calunnia, per il quale era prevista la sola sanzione conservativa, senza
esaminare la fondatezza della contestazione della recidiva, il giudice del
merito si è posto dunque in contrasto con il principio di diritto sopra
enunciato.

22. Con il terzo motivo si censura la sentenza – ai
sensi dell’articolo 360 nr.3 cod.proc.civ.- per
violazione e falsa applicazione del principio del ne bis in idem.

23. Si contesta la valutazione espressa dalla Corte
territoriale nel punto in cui, richiamando il brocardo «utile per inutile non
vitiatur», riteneva non essere violato il principio del ne bis in idem ed
esaminava la sola contestazione relativa alla ingiusta denuncia di violenza
sessuale nei confronti del Comandante di Polizia Municipale, escluse le altre.

24. Si assume che il frazionamento delle plurime
contestazioni sarebbe impedito dalla unicità del procedimento disciplinare, nel
quale il datore di lavoro irroga il licenziamento in ragione del complesso dei
fatti contestati; si assume, altresì, che i fatti già sanzionati- ed oggetto di
nuova contestazione- non potevano rilevare neppure ai fini della recidiva.

25. Con il quarto motivo si impugna la sentenza – ai
sensi dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ.-
per violazione e falsa applicazione: degli articoli
2119 e 2106 cod.civ; dell’articolo 1 L. 604/1966; dell’articolo 7 L. nr. 300/1970.

26. Si deduce che la Corte territoriale non avrebbe
potuto fondare il giudizio di esistenza della giusta causa in ragione di una
sola tra le plurime condotte contestate, in quanto per scelta autonoma del
datore di lavoro, sottratta al controllo dell’ autorità giudiziaria, la
sanzione del licenziamento era stata ritenuta proporzionata soltanto in ragione
di tutte le condotte contestate.

27. I due motivi, che possono essere esaminati
congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.

28. Ed invero, secondo la giurisprudenza di questa
Corte (per tutte: Cassazione civile sez. lav., 28/07/2017, n.18836 e
giurisprudenza ivi richiamata), qualora il licenziamento sia intimato per
giusta causa non consistente in un fatto singolo ma in una pluralità di fatti
ciascuno di essi autonomamente costituisce una base idonea per giustificare la
sanzione, a meno che colui che ne abbia interesse non provi che solo presi in
considerazione congiuntamente, per la loro gravità complessiva, essi sono tali
da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro;
ne consegue che, salvo questo specifico caso, ove nel giudizio di merito emerga
l’infondatezza di uno o più degli addebiti contestati, gli addebiti residui
conservano la loro astratta idoneità a giustificare il licenziamento.

29. Tale principio è parimenti applicabile al caso –
qui in discussione- della reiterazione nella contestazione di addebito di
alcune condotte già sanzionate; il fatto sanzionato- quindi non più
suscettibile di provocare l’esercizio legittimo del potere disciplinare-
equivale, infatti, ad un fatto insussistente, per sopravvenuta carenza di
antigiuridicità ( in termini: Cassazione civile
sez. lav., 30/10/2018, n.27657).

30. Correttamente la Corte territoriale ha pertanto
ritenuto che la giusta causa potesse essere integrata anche da una soltanto
delle plurime condotte contestate, senza considerare le altre, che erano state
già sanzionate in precedenza .

31. Il motivo è parimenti infondato nella parte in
cui assume che il fatto già sanzionato non possa venire in rilievo neppure ai
fini della recidiva. Sotto questo profilo va evidenziata, infatti, la autonomia
della contestazione della recidiva, che resta valida, rispetto alla nuova
contestazione dello stesso fatto.

32. La statuizione della Corte territoriale è dunque
immune da errori di diritto anche nella parte in cui afferma che i medesimi
fatti potevano essere considerati in relazione alla contestazione della
recidiva, prevista dalla norma dell’articolo 3 comma sette lettera t) CCNL, a
tal fine richiamata.

33. Dall’accoglimento del secondo motivo di ricorso
discende l’assorbimento del quinto, con il quale la ricorrente- ( censurando la
sentenza – ai sensi dell’articolo 360 nr.3
cod.proc.civ.- per violazione e falsa applicazione degli articoli 2106 e 2119
cod.civ.; dell’articolo 1
L. nr. 604/1966, dell’articolo
55 quater D.Lgs. 165/2001; dell’articolo 3 CCNL)- ha parimenti
invocato le previsioni del CCNL, prevedenti il licenziamento soltanto nei casi
di recidiva nonché nell’ipotesi (articolo
3, comma 8, lettera e) del giudicato penale, che non aveva formato oggetto
di contestazione disciplinare.

34. Conclusivamente, la sentenza impugnata deve
essere cassata in accoglimento del secondo motivo di ricorso, respinti il
primo, il terzo ed il quarto ed assorbito il quinto; la causa va rinviata alla
Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione affinché provveda a valutare
nuovamente la sussistenza della giusta causa di licenziamento alla luce del
seguente principio di diritto: « Nel pubblico impiego privatizzato ove la
previsione del CCNL ricolleghi ad un determinato comportamento,
disciplinarmente rilevante, solamente una sanzione conservativa, il giudice del
merito è vincolato da tale indicazione, salva la eventuale nullità di tale
previsione ai sensi dell’articolo
55, comma 1, D.Lgs 165/2001» .

35. Il giudice del rinvio provvederà, altresì, alla
disciplina delle spese del presente grado.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione
Cassa la sentenza impugnata e rinvia- anche per le spese- alla Corte d’Appello
di Ancona in diversa composizione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 luglio 2020, n. 15227
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