Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 luglio 2020, n. 13617

Trattamento economico inferiore, Salario di inserimento,
Trasformazione del contratto di formazione e lavoro, Mancato rispetto della
percentuale di conversione di almeno l’80% dei contratti di formazione e lavoro
complessivamente scaduti, Minimo costituzionale, Rispetto della
proporzionalità e adeguatezza della retribuzione, riferito non alle singole
componenti della retribuzione, ma alla globalità di questa

 

Premesso

 

che con sentenza n. 1080/2013, depositata il 6
novembre 2013, la Corte di appello di Catania, pronunciando nella causa
promossa da M. S. nei confronti dell’Azienda Municipale Trasporti di Catania,
in parziale riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede, ha ritenuto
legittimo il trattamento economico inferiore (c.d. salario di inserimento) così
come determinato ed erogato nei primi quindici mesi del rapporto a tempo
indeterminato sorto per effetto della trasformazione del contratto di
formazione e lavoro sottoscritto dalle parti in data 13/5/1997, respingendo,
pertanto, la domanda del lavoratore volta a ottenere il riconoscimento
dell’indennità di presenza e del premio di produttività che l’Azienda aveva
invece escluso;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per
cassazione il S. con tre motivi, cui ha resistito con controricorso AMT —
Azienda Metropolitana Trasporti Catania S.p.A. (già Azienda Municipale
Trasporti di Catania);

– che AMT ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.;

 

rilevato

c

he con il primo motivo, denunciando la violazione e
falsa applicazione dell’art. 7 C.C.N.L. Autoferrotranvieri 11 aprile 1995 e
dell’art. 2697 cod. civ., nonché vizio di motivazione, il ricorrente censura la
sentenza impugnata per avere la Corte di appello trascurato di considerare il
richiamo operato dall’art. 7 del C.C.N.L. al punto n. 9 C.C.N.L. 2/10/1989 e
all’Accordo nazionale del 21/5/1981, oltre che ai contratti aziendali del
20/7/1994 e del 9/7/1997, al fine di verificare quali voci retributive
dovessero ritenersi effettivamente incluse nel trattamento economico dovuto ai
lavoratori assunti mediante trasformazione del contratto di formazione e
lavoro; e per non avere tenuto conto del mancato rispetto del medesimo art. 7 nella
parte in cui la norma collettiva prevedeva la concessione del beneficio della
trasformazione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato nel solo caso di
conversione di “almeno l’80% dei contratti di formazione e lavoro
complessivamente scaduti nel precedente anno solare”;

– che con il secondo, deducendo la violazione e
falsa applicazione dell’art. 329 cod. proc.civ.,
nonché vizio di motivazione, il ricorrente si duole che la Corte di appello non
avesse ritenuto formatosi il giudicato sulla contrarietà del comportamento
datoriale rispetto alle norme della contrattazione collettiva, avendo l’Azienda
appellante limitato l’impugnazione della pronuncia di primo grado al capo
relativo alla contrarietà del comportamento datoriale all’art. 36 Cost.;

– che con il terzo, deducendo violazione e falsa
applicazione della I. n. 848/1955 (ratifica
della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, art. 23), della I. n. 657/1966 (ratifica
della Convenzione generale dell’Organizzazione internazionale del lavoro, art.
14), della I. n. 881/1977 (ratifica del Patto
internazionale relativo ai diritti economici sociali e culturali, art. 7) e
dell’art. 3 Cost., nonché vizio di motivazione, il ricorrente censura la
sentenza impugnata per avere ritenuto il trattamento economico offerto e
corrisposto nei primi 15 mesi del rapporto a tempo indeterminato adeguato alla
stregua del principio di sufficienza e proporzionalità tra retribuzione e
quantità e qualità del lavoro prestato e del principio di parità di
retribuzione a parità di lavoro svolto;

 

osservato

 

preliminarmente che identici ricorsi, con identici
motivi, sono stati già esaminati e respinti da questa Corte con le ordinanze n. 26925/2016, n. 524/2017 e n. 8299/2019, le cui motivazioni,
in assenza di qualsivoglia nuovo argomento o rilievo, si ritiene, pertanto, di
confermare;

– che il secondo motivo di ricorso, che ragioni di
ordine logico impongono di esaminare in via prioritaria, è infondato;

– che, infatti, è dato rilevare, dalla sentenza
impugnata e dall’atto di appello, ritualmente trascritto dalla società
controricorrente nelle parti di interesse per l’esame del presente motivo, che
le censure dell’Azienda avevano specificamente riguardato il punto della
decisione di primo grado in cui era stato ritenuto che l’esclusione dal
trattamento economico di determinati emolumenti fosse “avvenuta in
violazione dell’art. 36 della Costituzione e
del c.c.n.l.”, con la conseguenza che non vi erano state né formazione di
un giudicato interno né tantomeno acquiescenza;

– che, quanto al primo motivo, si deve anzitutto
rilevare un profilo di inammissibilità, non evincendosi dallo stesso quando ed
in che termini il lavoratore abbia posto la questione del mancato rispetto
della percentuale di conversione di almeno l’80% dei contratti di formazione e
lavoro complessivamente scaduti nel corso del precedente anno solare;

– che d’altra parte neppure si evince se
effettivamente fossero stati mossi quei rilievi volti a contrastare la ritenuta
legittima esclusione dal trattamento economico dell’indennità di presenza e del
premio di produzione sulla base del richiamo operato dall’art. 7 C.C.N.L.
11/4/1995 al punto n. 9 C.C.N.L. del 1989 ed all’Accordo nazionale del 1981,
rilevandosi dalla sentenza della Corte territoriale che la questione in
discussione attenesse proprio alla esclusione dei suddetti emolumenti
determinata dalla previsione pattizia del 1995 (clausola della quale il
lavoratore aveva chiesto dichiararsi la nullità) e comunque risultando del
tutto generico quanto sul punto dedotto dal ricorrente (si veda il passaggio del
ricorso introduttivo del giudizio riprodotto dal ricorrente a pag. 16 del
ricorso per cassazione in cui è solo apoditticamente affermato che l’art. 7
C.C.N.L. 11/4/1995 “non prevede affatto l’esclusione delle indennità
economiche e normative degli accordi aziendali”);

– che, per il resto, gli ulteriori rilievi di cui al
primo motivo e quelli di cui al terzo motivo sono manifestamente infondati alla
luce dell’orientamento già espresso da questa Corte (cfr. Cass. 23 marzo 2011, n. 6639 ed ancor prima Cass. 14 agosto 2004, n. 15878), da cui non vi è
ragione di discostarsi;

– che, come in tali decisioni, anche nella presente
causa (relativa a vicenda del tutto analoga), il giudizio di infondatezza trova
base, in primo luogo, nel principio generale, pacifico nella giurisprudenza
della Corte costituzionale e di questa Corte, secondo il quale la valutazione
di adeguatezza della retribuzione ai principi dettati dall’art. 36 Cost. non comporta il riferimento a tutti
gli elementi e gli istituti contrattuali che confluiscono nel trattamento
economico globale fissato dalla contrattazione collettiva, ma soltanto a quelli
che concorrono alla formazione del detto minimo costituzionale, minimo che,
quanto al rispetto della proporzionalità e adeguatezza della retribuzione, va
riferito non già alle singole componenti della retribuzione, ma alla globalità
di questa (Corte cost. n. 470/2002; Cass. n.
15896/2002). In secondo luogo, con riguardo specifico al contratto di
formazione e lavoro, la giurisprudenza di legittimità, pur avvertendo che,
nella determinazione della giusta retribuzione ex art.
36 Cost., non può escludersi la legittimità del ricorso ai normali
parametri retributivi previsti per i lavoratori subordinati di pari livello,
che trova giustificazione nella I.
n. 863/1984, art. 3, comma 5, la quale prevede l’applicazione a tale
contratto delle norme sul rapporto di lavoro subordinato, fa salva però
l’applicazione di specifiche disposizioni legislative o contrattuali in materia
(cfr. Cass. n. 9405/2003); ed ha più volte
precisato che non è illegittima la previsione contrattuale di una retribuzione
inferiore rispetto a quella dei lavoratori normali, stante la speciale causa
mista, con l’obbligazione formativa a carico del datore di lavoro, che
caratterizza il c.f.l. (Cass. n. 11435/2006);

– che, con specifico riguardo alle questioni poste
in questa sede, al di là del tentativo di formulare argomentazioni
apparentemente connotate da novità, la sostanza resta quella del preteso
contrasto della riduzione retributiva, per i primi 15 mesi di lavoro a tempo
indeterminato, contemplato dalla contrattazione collettiva, con l’art. 36 Cost. e con i principi di ragionevolezza e
parità di trattamento. Si tratta perciò di questioni ripetutamente sottoposte
al vaglio della Corte e decise secondo i principi consolidati, secondo cui nel
rapporto di lavoro subordinato la retribuzione prevista dal contratto
collettivo acquista, pur solo in via generale, una “presunzione” di adeguatezza
ai principi di proporzionalità e sufficienza, che investe le disposizioni
economiche dello stesso contratto anche nel rapporto interno fra le singole
retribuzioni ivi stabilite; ne consegue che, ai fini dell’accertamento
dell’adeguatezza di una determinata retribuzione, non può farsi riferimento ad
una singola disposizione del contratto che preveda un diverso trattamento
retributivo per altri dipendenti, l’eventuale inadeguatezza potendo essere
accertata solo attraverso il parametro di cui all’art.
36 Cost., che è “esterno” rispetto al contratto; né può assumere rilievo,
ai fini di tale accertamento, l’eventuale disparità di trattamento fra
lavoratori della medesima posizione, atteso che non esiste a favore del
lavoratore subordinato un diritto soggettivo alla parità di trattamento e che,
soprattutto quando il trattamento differenziato trovi il suo fondamento in un
dato oggettivo di carattere temporale, l’attribuzione di un determinato
beneficio ad un lavoratore non può costituire titolo per attribuire ad altro
lavoratore, che si trovi nella medesima posizione, il diritto allo stesso
beneficio o al risarcimento del danno; e, ancora, non solo non opera il
principio di parità di trattamento, ma non è consentito alcun controllo di
ragionevolezza da parte del giudice sugli atti di autonomia, sia collettiva che
individuale, sotto il profilo del rispetto delle clausole generali di
correttezza e buona fede, che non sono invocabili in caso di eventuale
diversità di trattamento non ricadente in alcuna delle ipotesi legali (e
tipizzate) di discriminazione vietate, a meno che il rispetto di tali clausole
discenda dalla necessità di comparazione delle situazioni di singoli lavoratori
da parte del datore di lavoro che, nel contesto di una procedura concorsuale o
selettiva, debba operare la scelta di alcuni di essi (cfr. ex multis Cass. 17 maggio 2003, n. 7752 e altre in senso
conforme;

si veda anche Cass. 31
marzo 2012, n. 4475, secondo cui “In materia di trasformazione del
rapporto di formazione e lavoro in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, è
valida la previsione, introdotta in sede di contratto collettivo, di un salario
di ingresso – cosiddetto prolungato – in deroga all’art. 3 del d.l. n. 726 del 1984,
convertito dalla I. n. 863 del 1984, in quanto
il minore trattamento retributivo si giustifica per la oggettiva delimitazione
di carattere temporale e per la finalità di incentivare la stabilizzazione del
rapporto” ed in senso conforme Cass. 25
settembre 2015, n. 19028);

– che, in applicazione di tali principi, deve essere
ritenuta corretta la decisione della Corte di appello di Catania che ha
affermato la validità, anche alla stregua del motivo espresso dalle parti
stipulanti (incentivo premiante per il datore di lavoro che avesse trasformato
in rapporti a tempo indeterminato l’80% dei c.f.l. in scadenza), della
previsione di una riduzione retributiva per i primi 15 mesi di rapporto a tempo
indeterminato;

– che, d’altra parte, le norme sul contratto di
formazione e lavoro consentono al datore di lavoro di ridurre la retribuzione
unicamente mediante inquadramento del lavoratore nella qualifica immediatamente
inferiore, ma non vietano alle parti collettive di conseguire tale riduzione
con mezzi diversi, come nella specie, ove è stato mantenuto l’inquadramento
corrispondente alla qualifica del contratto nazionale, ma sono state escluse
alcune voci di esso, dovendosi negare un intento, diretto o indiretto, di
discriminazione in ragione dell’età (cfr. Cass. n. 11435 del 2006, cit.);

 

ritenuto

 

conclusivamente che, non ricorrendo alcuno dei vizi
denunciati, il ricorso va respinto;

– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 200,00 per
esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al
15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115
del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 luglio 2020, n. 13617
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