Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 luglio 2020, n. 15412

Licenziamento disciplinare, Violazioni sostanziali e formali
della procedura, Sindacato in sede di legittimità, Questioni non trattate
nella fase di merito, Esclusione, salvo questioni rilevabili di ufficio

 

Rilevato che

 

1. La Corte di appello di Roma, con la sentenza n.
1129 del 2018, ha respinto il reclamo proposto da L.S. nei confronti dell’ANAS
sp, avverso la pronuncia del Tribunale di Roma che, confermando l’ordinanza
emessa nella fase sommaria ex lege 92 del 2012,
aveva a sua volta rigettato la domanda del dipendente della società diretta: a)
ad accertare la nullità/illegittimità del licenziamento intimatogli in data
27.1.2015, per violazioni sostanziali e formali della procedura nonché per
assenza d giusta causa, con richiesta di condanna alla reintegrazione nel posto
di lavoro ex art. 18 della
legge n. 300 del 1970 e al pagamento delle retribuzioni maturate; b) in via
subordinata, a dichiarare ingiustificato il licenziamento perché immotivato e/o
adottato in violazione delle formalità previste e ad ottenere la condanna della
società alla corresponsione di una indennità supplementare da quantificare nel
massimo previsto dal CCNL; c) in via ancora più gradata, a ritenere che la
fattispecie concreta rientrasse nel campo di applicazione dei cui all’art. 52
CCNL (sospensione cautelare) con ordine alla azienda datrice di adottare i
consequenziali provvedimenti.

2. I giudici di seconde cure, a fondamento della
propria decisione, hanno rilevato che la formulazione delle conclusioni sul
reclamo (“in riforma dell’appellata sentenza voglia accogliere
integralmente la domanda posta dal reclamante condannando la società datrice
alla reintegra nel posto di lavoro precedentemente occupato e alle sanzioni di
cui all’art. 18 dello
SdL”) era chiara ed inequivoca in ordine alla mancata reiterazione delle
domande subordinate, non contenendo alcun riferimento alla
“ingiustificatezza del licenziamento del dirigente (qualifica
pacificamente posseduta da L.) e alla disciplina contrattuale che prevedeva la
corresponsione, in favore del medesimo, della indennità supplementare in caso
di mancata giustificatezza del recesso: domande che dovevano ritenersi
rinunciate ai sensi dell’art. 346 cpc. Hanno
concluso, quindi, che non avendo diritto il reclamante alla tutela reale né
alle alternative tutele (risarcitone) previste dall’art. 18 St. lav., essendo
dirigente e non avendo dedotto la sussistenza di una delle fattispecie per le
quali era ammessa la reintegrazione anche in favore del dirigente
(licenziamento verbale, ritorsivo e discriminatorio) il reclamo andava
respinto, risultando corretta e conforme a legge anche la statuizione di
condanna al pagamento delle spese di lite.

3. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto
ricorso per cassazione L.S.S. affidato a due motivi, cui ha resistito con
controricorso l’ANAS.

4. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.

 

Considerato che

 

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente denunzia la
violazione e falsa applicazione degli artt. 1,
comma 58, legge n. 92 del 2012 e 434 cc, in
relazione all’art. 360 n. 3 cpc, per avere la
Corte territoriale, nel respingere il reclamo, effettuato un richiamo incongruo
e tutt’altro che puntuale all’art. 346 cpc
perché, sia l’art. 1 comma 58
della citata legge n. 92, sia l’art. 434 cpc
non facevano riferimento agli artt. 342 e ss. cpc
e perché, in ogni caso, l’avere riportato nelle conclusioni solo la richiesta
di sanzione più grave non equivaleva all’abbandono delle altre domande.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione e
falsa applicazione dell’art. 1
comma 47 e ss. della legge n. 92 del 2012, in relazione all’art. 18 dello St. lav., ai
sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, perché, con la
declaratoria sostanziale di inammissibilità del reclamo, la Corte territoriale
non aveva valutato e sindacato i numerosi motivi che avevano portato l’odierno
ricorrente ad impugnare la sentenza del Tribunale.

4. Il primo motivo non è fondato.

5. Correttamente la Corte di merito ha richiamato,
nella valutazione e delimitazione del thema impugnandum del procedimento di
reclamo proposto ai sensi della legge
n. 92 del 2012 (art. 1 co. 58), le norme generali previste nell’ambito
delle impugnazioni disciplinate dal codice di rito.

6. E’ stato, infatti, affermato in sede di
legittimità il principio, cui si intende dare continuità (Cass. n. 17863 del
2016; Cass. n. 21718 del 2018), in virtù del quale l’impugnazione della
sentenza pronunciata ai sensi dell’art.
1 co. 57 della legge n. 92 del 2012, è nella sostanza un appello, sicché
per tutti i profili non regolati dalle disposizioni specifiche trova
applicazione la disciplina dell’appello del rito del lavoro, che realizza il
ragionevole equilibrio tra celerità ed affidabilità: e nel rito cd.
“Fornero” non vi è alcuna disposizione che si ponga in contrasto con
l’art. 346 cpc (che dispone la decadenza dalle
domande e dalle eccezioni non riproposte in appello).

7. Tale principio, sancito dal citato art. 346 cpc, circa l’onere di espressa
riproduzione in appello delle domande non accolte o rimaste assorbite, opera
pacificamente anche nel rito del lavoro (Cass. 9.11.2002 n. 15764).

8. Ne consegue che la disciplina dell’atto
introduttivo è quella dell’art. 434 cpc e che
il giudice del gravame, anche nel rito del lavoro, può conoscere della
controversia dibattuta in primo grado solo attraverso l’esame delle specifiche
censure, mosse dall’appellante, con la cui formulazione si consuma il diritto
di impugnazione ai sensi degli artt. 434, 342 e 346 cpc
(Cass. n. 1108 del 2006; Cass. n. 10937 del 2003).

9. Inoltre i giudici di seconde cure hanno
correttamente ritenuto che le richieste risarcitone in ordine alla
ingiustificatezza del licenziamento del dirigente non potessero essere comprese
in quella generica diretta alla istanza di “reintegrazione nel posto di
lavoro precedentemente occupato e alle sanzioni di cui all’art. 18 dello S.d.L.”,
perché le domande subordinate non avanzate in sede di reclamo erano fondate su
ragioni autonome e diverse e, pertanto, per esse non poteva valere il principio
logico “nel più è compreso il meno” che presuppone, alla base delle
domande, gli stessi fatti e non causae petendi differenti.

10. Il secondo motivo è inammissibile per due
ragioni.

11. In primo luogo, non è ravvisabile alcun vizio
processuale nell’operato della Corte di appello che, nel ritenere inammissibile
il reclamo, non ha valutato il merito della vicenda, essendo la pronuncia in
rito assorbente rispetto alla verifica sulla fondatezza della impugnazione in
punto di fatto.

12. In secondo luogo, i motivi per cassazione devono
investire, a pena di inammissibilità, questioni già comprese nel giudizio di
appello, non essendo prospettabili in sede di legittimità questioni non
trattate nella fase di merito, tranne che si tratti di questioni rilevabili di
ufficio (Cass. n. 907 del 2018).

13. Invero, in tema di giudizio per cassazione, è
inammissibile per carenza di interesse il ricorso allorché proponga censure che
non sono dirette contro una statuizione della sentenza di merito bensì su
questioni su cui il giudice di appello non si è pronunciato ritenendole
assorbite, atteso che in relazione a tali questioni manca la soccombenza che
costituisce il presupposto dell’impugnazione, salva la facoltà di riproporre le
questioni medesime al giudice del rinvio, in caso di annullamento della
sentenza (Cass. n. 23558 del 2014; Cass. n. 4804 del 2007; Cass. n. 22095 del
2017).

14. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve,
pertanto, essere rigettato.

15. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano
come da dispositivo.

16. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, nel testo risultante dalla legge
24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti
processuali, sempre come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al
pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio
di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro
200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13

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