Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 luglio 2020, n. 15634

Licenziamento, Obbligo di repechage, Mansioni inferiori,
Indisponibilità, Prova

 

Rilevato

 

che il Tribunale di Milano, con ordinanza del il 9
giugno 2017 ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro intercorso fra le parti
con la condanna di S. S.p.A. al pagamento della indennità risarcitoria;

che, il medesimo ufficio, con sentenza n. 3377 del 15 dicembre 2017, ha
rigettato l’opposizione di S. S.p.A. ex comma 51, art.
1, L. 92/12, ha detratto dalle 18 mensilità della retribuzione globale di
fatto liquidate nell’ordinanza la somma di € 1.828,24 a titolo di aliunde
perceptum ed ha aggiunto la condanna di S. s.p.a. al pagamento a Z.P.
dell’indennità sostitutiva del preavviso per € 817,15, oltre alle spese del
grado;

che la Corte di appello di Milano, con la sentenza
n.74/2018, respingendo il reclamo proposto da S., ha confermato la sentenza di
primo grado;

che a fondamento del decisum, la Corte territoriale
ha ritenuto di concordare con il giudice di prime cure, quanto alla violazione,
da parte di S. s.p.a., dell’obbligo di cd. “repechage” in relazione
al licenziamento dello Z. (avvenuto, poiché questi, in seguito a malore, non
aveva più ottenuto il rilascio del porto d’armi, condizione necessaria allo
svolgimento delle sue mansioni di guardia giurata).

La corte, in particolare, dopo aver richiamato gli
orientamenti del diritto vivente al riguardo, ha osservato come nel caso di
specie, a fronte della allegazione/ indicazione, da parte del lavoratore, di
varie collocazioni lavorative che avrebbero potuto essergli attribuite,
l’azienda, pur eccependone l’indisponibilità, non ha adempiuto alla prova
relativa.

In particolare la corte ha evidenziato come la
società non abbia adempiuto al proprio onere di prova né relativamente a
posizioni inferiori (che il lavoratore si era dichiarato disposto ad occupare)
né con riguardo ai neoassunti, ed ha quindi confermato la decisione di prime
cure quanto alla somma riconosciuta al lavoratore, alla luce delle circostanze
concrete e del fatto che il lavoratore avesse espresso la propria disponibilità
ad accontentarsi di qualunque mansione disponibile, con qualunque orario e con
qualunque paga e del fatto che tale richiesta fu sempre respinta da S. s.p.a.
senza addurre alcuna motivazione.

che avverso la decisione di secondo grado ha
proposto ricorso per cassazione la S. SPA, affidato a otto motivi;

che Z.P. ha resistito con controricorso;

che il P.G. non ha formulato richieste scritte

che entrambe le parti hanno depositato memorie
illustrative.

 

Considerato che

 

con il ricorso per cassazione, in sintesi, si
censura:

1) ai sensi dell’art.
360 co. 1 n. 5 c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il
giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione al doc.
sub 23 prodotto dalla ricorrente nella fase opposizione ex art. 1 comma 51 L. 92/12 in cui
sarebbe incorsa la Corte Territoriale, avendo erroneamente valutato e travisato
la prova documentale offerta nel giudizio di 1° grado;

2) ai sensi dell’articolo
360 co. 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. degli artt.
115, 116 c.p.c.e dell’art.
24 Cost. in cui sarebbe incorsa la Corte d’Appello di Milano nel ritenere
inammissibile la prova testimoniale offerta dalla ricorrente ai capitoli da 1 a
13 e da 29 45 indicati nel ricorso art.
1 comma 58 L. 92/12, già riportati nel ricorso ex art. 1 comma 51 L. 92/12 e nel
verbale di udienza del 19/10/17 del giudizio RGL 6802/17;

3) ai sensi dell’art.
360 co. 1 n. 5 c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il
giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione alla
omessa ammissione dei mezzi istruttori;

4) ai sensi dell’articolo
360 co. 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 120 CCNL Istituti di
Vigilanza in cui sarebbe incorsa la Corte d’Appello di Milano ritenendo
dovuta allo Z. l’indennità sostitutiva del preavviso;

5) ai sensi dell’art.
360 co. 1 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza e del procedimento per
violazione dell’art. 132 n. c.p.c., poiché la
Corte d’Appello di Milano non avrebbe motivato il rigetto del motivo di reclamo
avente ad oggetto l’erronea condanna di S. Spa al pagamento in favore del Sig.
Z. dell’indennità sostitutiva del preavviso

6) ai sensi dell’articolo
360 co. 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 18 comma 5 e 7 della L.
300/70 e comunque, ai sensi dell’articolo 360
co. 1 n. 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio
oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte d’Appello di Milano
respinto il motivo di reclamo avente ad oggetto la quantificazione
dell’indennità risarcitoria dovuta allo Z.;

7) ai sensi dell’articolo
360 co. 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1227 c.c. art. 18 L. 300/70, 115 c.p.c., 116 c.p.c.,
art. 2729 c.c., in cui sarebbe incorsa la corte
nella quantificazione dell’aliunde perceptum, e ai sensi dell’articolo 360 co. 1 n. 5 c.p.c., I’ omesso
accertamento in ordine alle somme percepite dallo Z. da terzi in data
successiva al licenziamento;

8) ai sensi dell’art.
360 co. 1 n. 5 c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il
giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione al
contenuto del ricorso ex art. 1
comma 58 L. 92/12, segnatamente per avere ritenuto la corte di appello di
non poter procedere alla correzione del dispositivo della sentenza, in
relazione all’aliunde perceptum (contenente un evidente errore poiché
quantificato nella motivazione in termini di euro 2400,00 lordi, e -invece-
riportato nel dispositivo in termini di euro 1828,24 lordi), poiché la
doglianza non sarebbe stata riportata nei motivi di reclamo, nonostante
-invece- a pagina 35 del ricorso la parte avesse esplicitamente formulato la
doglianza;

Che il ricorso deve essere rigettato con eccezione
dell’8° motivo;

che il primo, il terzo, il sesto motivo, nella sua
seconda parte e il settimo, nella sua seconda parte, i quali, per ragioni di
connessione logico-giuridica (poiché in tutti il ricorrente si duole, ai sensi
dell’articolo 360 co. 1 n. 5 c.p.c.,
dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione)
possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili;

E infatti “..Il nuovo testo del n. 5) dell’art. 360 cod. proc. civ. introduce
nell’ordinamento un nuovo e diverso vizio specifico (non essendo più consentita
la censura di insufficiente o contraddittoria motivazione, cfr. Cass. sez.un. n. 14477/15) che concerne l’omesso
esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti
dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto
di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se
esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso
esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un
fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso
in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte
le risultanze probatorie (Cass. sez. un. 22 settembre 2014 n. 19881, Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053, Cass. n.
13798/17, etc.). Il presente ricorso non rispetta il dettato di cui al
novellato n. 5 dell’art. 360, comma 1, c.p.c.,
limitandosi in sostanza a richiedere un inammissibile riesame delle circostanze
di causa, ampiamente valutate dalla Corte di merito alla luce delle risultanze
istruttorie.

Deve poi evidenziarsi che le varie censure inerenti
la motivazione della sentenza impugnata sono inammissibili in base al principio
della cd. “doppia conforme”, risultando il fatto ricostruito nei medesimi
termini dai giudici di primo e di secondo grado (art.
348 ter, ultimo comma, c.p.c., in base al quale il vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., non è deducibile in
caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme; v. Cass. n. 23021 del 2014);

Va poi ricordato che in tema di accertamento dei
fatti allegati dalle parti, i vizi di motivazione deducibili con il ricorso per
cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5,
c.p.c., anche nel testo previgente la novella di cui all’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012,
conv. con modif. in L. n. 134 del 2012, non
possono riguardare apprezzamenti di fatto difformi da quelli propugnati da una
delle parti, poiché, a norma dell’art. 116 c.p.c.,
rientra nel potere discrezionale – come tale insindacabile – del giudice di
merito individuare le fonti del proprio convincimento, apprezzare le prove,
controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze
probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. Tale
operazione, che suppone un accesso diretto agli atti e una loro delibazione,
non è consentita davanti alla corte di cassazione, neanche quando il giudice di
merito abbia posto alla base del suo apprezzamento massime di esperienza,
potendosi in tal caso esercitare il sindacato di legittimità solo qualora il
ricorrente abbia evidenziato l’uso di massime di esperienza inesistenti o la
violazione di regole inferenziali (Cass. n.18665/17).

In particolare:

– il primo motivo, con il quale la ricorrente si
duole del fatto che la corte non abbia esaminato il documento decisivo, da cui
sarebbe emersa la prova della incoilocabilità del ricorrente in mansioni
diversi è inammissibile, non solo, per la sua genericità e aspecificità (dalla
mera lettura del motivo di ricorso, invero, emerge come la ricorrente, senza
confrontarsi realmente con la motivazione assunta dalla corte, e senza dunque
porre in la decisività di tale documento, si limiti, attraverso l’invocato
riesame dello stesso, a chiedere una diversa valutazione dei fatti di causa,
rispetto a quella ragionatamente condotta dalle corti di merito ) ed- anche
perché non rispettoso del disposto dell’art. 348
ter, comma 5, c.p.c., come interpretato dalla giurisprudenza di questa
corte, in caso di “doppia conforme” (v. per tutte Sez. L – ,
Ordinanza n. 6544 del 06/03/2019);

Analoghe considerazioni possono essere svolte per il
terzo motivo con il quale il ricorrente si duole dell’omessa istruttoria, in
sostanza richiedendo una revisione del merito della decisione con la quale
concordemente i giudici di merito hanno ritenuto correttamente istruita la
causa, come ampiamente chiarito non ammissibile, e per la seconda parte del
sesto motivo con il quale il ricorrente si duole, genericamente, dell’omesso
esame delle risultanze di causa, chiaramente auspicando: una valutazione
difforme delle stesse, nonché la seconda parte del settimo motivo relativa
all’omesso accertamento delle somme percepite dal lavoratore In data successiva
al licenziamento (anche relativamente a tale ultimo profilo deve essere
affermata l’inammissibilità per tutte le ragioni sopra evidenziate;

Anche gli altri motivi, con i quali sono dedotti
violazioni di legge, e che possono essere esaminati congiuntamente, per
connessione logico giuridica, ossia il secondo, il quarto, il quinto il sesto
prima parte, il settimo prima parte) sono infondati.

Ed infatti tutti i motivi proposti ancorché
denunciando formalmente anche violazioni di norme di diritto, si risolvono in
una richiesta di rivalutazione e rivisitazione delle emergenze ed istanze
istruttorie, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata
particolarmente ampia ed esauriente, oltre che logica ed inerente tutti i
profili oggi denunciati;

in termini generali deve infatti osservarsi che in
tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella
deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato,
della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica
necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa,
l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo
delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di
legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura
è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di
motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in
senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa,
ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o
contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto
che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata
valutazione delle risultanze di causa. Cass.16 luglio 2010 n. 16698; Cass. 26
marzo 2010 n. 7394;

Deve poi considerarsi (cfr. di recente Cass. n.
13798/17, Cass. n. 21455/17) che il vizio di violazione o falsa applicazione di
norma di diritto, ai sensi dell’art. 360, comma 1,
n. 3 c.p.c., ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione (che può
concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto) posta dal giudice
a fondamento della decisione (id est: del processo di sussunzione), sicché
quest’ultimo, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione
di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del
fatto incontestata (ipotesi non ricorrente nella fattispecie); al contrario, il
sindacato ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 5
c.p.c. (oggetto della recente riformulazione interpretata quale riduzione
al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla
motivazione: Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053),
coinvolge uno o più fatti ancora oggetto di contestazione tra le parti (ipotesi
ricorrente nel caso in esame).

Ne consegue che mentre la sussunzione del fatto
incontroverso nell’ipotesi normativa è soggetta al controllo di legittimità,
l’accertamento del fatto controverso e la sua valutazione (rimessi
all’apprezzamento del giudice di merito: quanto alla proporzionalità della
sanzione cfr. Cass. n. 8293/12, Cass. n. 144/08, Cass. n. 21965/07, Cass. n.
24349/06; quanto alla gravità dell’inadempimento, cfr. Cass. n. 1788/11, Cass.
n. 7948/11) ineriscono ad un vizio della motivazione pur qualificata la
censura come violazione di norme di diritto, vizio oggi limitato all’omesso
esame di fatti storici decisivi, in base al novellato art. 360, comma 1, n. 5. c.p.c.;

le considerazioni svolte valgono per tutti i motivi
in esame e segnatamente:

– il secondo motivo con il quale la ricorrente si
duole del provvedimento con il quale la corte d’appello di Milano ha ritenuto
di non ammettere la prova testimoniale e ha fondato la decisione in ordine alla
violazione del repechage sulla base del solo dato documentale, è inammissibile
o infondato, alla luce del principio espresso ripetutamente da questa Corte
secondo cui il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova
testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel
caso in cui essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto
decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non
esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare,
con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre
risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di
merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento
(Cass. n. 11457 del 2007; conformi: Cass. n. 4369
del 2009; Cass. n. 5377 del 2011).

– il quarto motivo, con cui la ricorrente, pur
deducendo formalmente una violazione di legge, chiede una rivisitazione della
decisione (quanto all’indennità sostitutiva del preavviso), senza peraltro
produrre integralmente la norma contrattuale che assume violata e perciò
incorrendo nel vizio di aspecificità;

E’, del pari, inammissibile il quinto motivo con il
quale la ricorrente si duole dell’omessa motivazione quanto al motivo di
reclamo relativo alla condanna in favore del lavoratore dell’indennità
sostitutiva del preavviso, prospettando una nullità della sentenza ex 360 n. 4;

in primo luogo il motivo è irrispettoso del canone
dell’autosufficienza atteso che, nel caso in cui ci si dolga di una omessa
pronuncia, è indispensabile innanzitutto dettagliare nel corpo del motivo i
fatti processuali che la sostanziano e, quindi, i contenuti dell’atto che
contiene la domanda o l’eventuale motivo di appello su cui il giudice non si
sarebbe pronunciato (Cass. n. 2886 del 2014; Cass. n. 14561 del 2012). Nel
medesimo senso si è affermato (Cass. n. 317 del 2002 e Cass. n. 3547 del 2004)
che la parte che impugna una sentenza con ricorso per cassazione per omessa
pronuncia su di una domanda, ha l’onere, per il principio di autosufficienza
del ricorso, a pena di inammissibilità per genericità del motivo, di
specificare quale sia il “chiesto” al giudice del gravame sul quale
questi non si sarebbe pronunciato, non potendosi limitare ad un mero rinvio
all’atto di appello, atteso che la Corte di cassazione non è tenuta a ricercare
al di fuori del contesto del ricorso le ragioni che dovrebbero sostenerlo, ma
può accertarne il riscontro in atti processuali al di fuori del ricorso sempre
che tali ragioni siano state specificamente formulate nello stesso.

Inoltre il motivo, con cui si denuncia un error in
procedendo in cui sarebbe incorso il giudice distrettuale nel non esaminare
talune questioni sollevate in primo grado, risulta privo della necessaria
decisività che, come ricorda da ultimo Cass. n. 16102 del 2016, avuto riguardo
all’art. 360-bis n. 2 c.p.c., là dove implica
che la violazione di norme del procedimento determini quella dei principi
regolatori del giusto processo, “nell’unica lettura possibile per dare
alla previsione un senso” comporta proprio che detta violazione abbia
svolto un ruolo decisivo, dovendosi dimostrare che l’omessa pronuncia riguarda
“una quaestio iuris astrattamente rilevante”; invero per costituire
motivo idoneo di ricorso per cassazione, il vizio processuale deve
necessariamente influire, in modo determinante, sulla sentenza impugnata, nel
senso della necessità che la pronuncia stessa – in assenza del vizio denunciato
– non sarebbe stata resa nel senso in cui lo è stata (v. per tutte: Cass. n.
22978 del 2015); infatti la lesione delle norme processuali non è invocabile in
sé e per sé, essendo viceversa sempre necessario che la parte che deduce
siffatta violazione adduca anche, a dimostrazione della fondatezza, la
sussistenza di un effettivo pregiudizio conseguente alla violazione medesima
(Cass. SS.UU. n. 3758 del 2009), poiché alla radice di ogni impugnazione deve
essere individuato Un interesse giuridicamente tutelato, identificabile nella
possibilità di conseguire una concreta utilità o un risultato giuridicamente
apprezzabile, attraverso la rimozione della statuizione censurata, e non già un
mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione
giuridica non avente riflessi effettivi sulla soluzione adottata (Cass. n.
18074 del 2014; Cass. n. 7394 del 2008; Cass. n. 13091 del 2003); pertanto
sovente si trova dichiarato che dai principi di economia processuale, di
ragionevole durata del processo e di interesse ad agire si desume quello per
cui la denunzia di vizi dell’attività del giudice che comportino la nullità
della sentenza o del procedimento, ai sensi dell’art.
360 c.p.c., comma 1, n. 4), non tutela l’astratta regolarità dell’attività
giudiziaria, ma garantisce soltanto l’eliminazione del pregiudizio del diritto
di difesa concretamente subito dalla parte che denuncia il vizio (v., per
tutte, Cass. n. 26157 del 2014, la quale aggiunge che l’annullamento della
sentenza impugnata è necessario solo se nel successivo giudizio di rinvio il
ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole a quella
cassata);

nel caso di specie, peraltro, la corte di appello ha
sul punto adeguatamente motivato quanto alla indennità di preavviso (cfr. 5-8)
risultando il motivo dunque, ancora una volta, una sollecitazione ad un diverso
giudizio, inammissibile presso questa corte, per le plurime ragioni
evidenziate.

Analogamente deve argomentarsi per il sesto motivo
prima parte, e per il settimo motivo prima parte, ove, rispettivamente per il
primo, neppure si evince quale sia la norma asseritamente violata, risultando
solo la ricorrente sollecitare un nuovo e diverso inammissibile giudizio in
ordine all’aliunde perceptum rispetto a quello motivatamente espresso dalla
corte, e per il secondo vengono formulate plurime censure di violazione e falsa
applicazione di legge trascurandosi di considerare che il vizio ex art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., va dedotto, a pena
di inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme di diritto
asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle
affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si
assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con
l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o
dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione
comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla
S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento
della denunziata violazione (Cass. n. 287 del 2016;
Cass. n. 635 del 2015; Cass. n. 25419 del 2014; Cass. n. 16038 del 2013; Cass.
n. 3010 del 2012). che diversamente occorre argomentare, invece, quanto
all’ottavo motivo, relativo all’omissione in cui è incorsa la corte nell’esame
della parte del ricorso (pag. 35) con la quale l’appellante, sul rilievo dell’errore
materiale commesso dal giudice di primo grado sull’aliunde perceptum
(quantificato nella motivazione in termini di euro 2400,00 lordi, e -invece-
riportato nel dispositivo in termini di euro 1828,24 lordi), ne chiedeva la
correzione (negata dalla corte poiché la doglianza non sarebbe stata trasposta
dei motivi di reclamo).

Ed infatti parte ricorrente ha allegato, producendo
nel fascicolo di cassazione il relativo atto, di avere, a pagina 35 del
ricorso, indicato l’errore, chiedendone la correzione.

che alla stregua di quanto esposto il ricorso deve,
pertanto, essere rigettato, con eccezione dell’ottavo motivo, in relazione al
quale la sentenza impugnata deve essere cassata, disponendosi con decisione nel
merito, la detrazione della somma di euro 2400,00 lordi dall’indennità
risarcitoria liquidata in favore di Paolo Z. a titolo di aliunde perceptum;

che al rigetto segue la condanna della ricorrente,
secondo il principio della soccombenza, nel caso di specie prevalente, alla
rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità e dei giudizi di
merito;

che, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, nel testo risultante dalla legge
24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da
dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Accoglie l’ottavo motivo, rigettati gli altri; cassa
la sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, detrae
dall’indennità risarcitoria liquidata in favore di Paolo Z., a titolo di
aliunde perceptum, la somma di euro 2400,00 lordi; condanna la società alla
rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di
legittimità che liquida in euro 3000, 00 per compensi dovuti per il primo
grado, in euro 6000,00 per compensi dovuti per il grado di appello in euro
200,00 per esborsi, in euro 5.000,00 per compensi professionali oltre al
rimborso delle spese generali ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1 bis dello stesso art. 13, ove
dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 luglio 2020, n. 15634
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