Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 luglio 2020, n. 15229

Licenziamento per giusta causa, Comportamento “negligente”
del ricorrente in ordine alle informazioni da rendere ai clienti, Livello di
rischio connesso all’operazione, Risarcimento del danno, Tardività della
contestazione, Complessità organizzativa della società datrice

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza del 26 marzo 2018, la Corte
d’appello di Caltanissetta ha confermato la decisione di primo grado che aveva
respinto l’impugnazione proposta con ricorso del 5 agosto 2011 da G. S. avverso
il licenziamento per giusta causa intimatogli dal Banco Popolare Soc.
Cooperativa (incorporante la Banca popolare di Lodi) il 15 maggio 2007 a
seguito di contestazione disciplinare del 20 febbraio antecedente, nonché la
domanda riconvenzionale avanzata dalla società a titolo di risarcimento del
danno asseritamente subito per il comportamento “negligente” del
ricorrente in ordine alle informazioni da rendere ai clienti circa
l’investimento inerente i c.c.d.d. bond argentini.

1.1. Il giudice di secondo grado ha sottolineato, in
particolare, con riguardo alle doglianze del ricorrente, l’insussistenza degli
estremi per la configurabilità della dedotta tardività della contestazione,
alla luce della sostanziale relatività della immediatezza della stessa, anche
in considerazione della complessità organizzativa della società datrice,
escludendo, altresì, in merito alla incisiva lesione fiduciaria contestata, il
rilievo della mancata affissione del codice disciplinare e l’infondatezza della
censura inerente la irrogazione del licenziamento in costanza di malattia; ha,
quindi, confermato la ricorrenza degli estremi della giusta causa,
segnatamente, alla luce del ruolo di responsabile della filiale di Gela rivestito
dal ricorrente.

1.2. La Corte ha, poi, escluso, la fondatezza sia
della domanda del ricorrente, sia di quella riconvenzionale della resistente in
ordine ai danni asseritamente subiti, da stress per l’uno e da immagine per
l’altra, relativamente alla nota vicenda dei bond argentini.

2. Per la cassazione della sentenza propone ricorso
G. S., affidandolo a quattro motivi.

2.1. Resiste, con controricorso, il Banco BPM S.p.A.
(già Banco Popolare Società Cooperativa) e spiega, altresì, ricorso incidentale
affidato ad un motivo.

3. Entrambe le parti hanno presentato memorie.

 

Considerato in diritto

 

Va preliminarmente ritenuta l’infondatezza
dell’eccezione di inammissibilità del ricorso per nullità della procura
avanzata nella memoria del Banco BPM S.p.a. in particolare giova richiamare, al
riguardo, la giurisprudenza di questa Corte relativa alla procura inerente il
ricorso per cassazione secondo cui l’art. 83, comma
3, cod. proc. civ., nell’attribuire alla parte la facoltà di apporre la
procura in calce o a margine di specifici e tipici atti del processo, fonda la
presunzione che il mandato così conferito abbia effettiva attinenza al grado o
alla fase del giudizio cui l’atto che lo contiene inerisce, per cui la procura
per il giudizio di cassazione rilasciata in calce o a margine del ricorso, in
quanto corpo unico con tale atto, garantisce il requisito della specialità del
mandato al difensore (ex plurimis, 24598 del 18/10/2017).

Non appare dirimente, quindi, in senso contrario, il
riferimento alla possibilità di ricorrere al procedimento di mediazione –
chiaramente incompatibile con il giudizio di cassazione — né induce ad
argomentare diversamente il generico riferimento alla rappresentanza nel
“presente giudizio” proprio essendo garantita dall’inerenza all’atto
la specialità del mandato relativo.

Legittima, poi, l’elezione di domicilio presso
Caltanissetta anziché Roma, e priva di qualsivoglia rilievo la circostanza
dell’indicazione di due legali, non iscritti all’albo dei cassazionisti,
interlineata, mentre, con riguardo alla mancata indicazione della data,
supplisce a tale difetto proprio il diretto ed immediato collegamento con il
corpo dell’atto del ricorso dianzi richiamato.

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione
degli artt. 2909 cod. civ. e 324 e 329 cod. proc.
civ. sul presupposto della conoscenza e consapevolezza da parte dei vertici
dell’azienda del contestato “sforamento L.”.

1.1. Con il secondo motivo si deduce la violazione
dell’articolo 7 L. n. 300/70
nonché degli artt. 1175, 1375 c. 115 e 116 cod. proc. civ. in relazione alla immediatezza
della contestazione.

1.2. Con il terzo motivo si deduce la violazione
degli artt. 1 e 5 della legge n. 604/66 e
dell’art. 2697 cod. civ.. in punto di prova.

1.4. Con il quarto motivo si deduce la violazione
degli artt. 2004, 2005,
2006 e 2019 cod.
civ., nonché 115 e 116 cod. proc. civ. allegandosi l’insussistenza
degli estremi della giusta causa di licenziamento.

2. Il primo motivo, mediante il quale si deduce, in
sostanza, la formazione del giudicato e, quindi, la violazione dello stesso per
effetto della decisione d’appello circa la circostanza della conoscenza,
accertata in primo grado, da parte dei vertici della società, dello
“sforamento del conto L.”, non può trovare accoglimento. La Corte
d’appello, infatti, condividendo le conclusioni del giudice di primo grado, ha
rilevato come la violazione del vincolo fiduciario non consistesse nella
semplice concessione dello sforamento, effettivamente conosciuta dai vertici
della società, bensì,  piuttosto, nella
carenza di informazioni circa la valutazione nel corso del tempo del livello di
rischio connesso all’operazione, con riguardo al cliente che si trovava in una
situazione di forte esposizione nei riguardi della banca.

Ciò, afferma il giudice di secondo grado, ha fatto
sì che la percezione della gravità e del significato complessivo della condotta
si concretizzassero soltanto in seguito all’ispezione, avvenuta alla fine del
dicembre 2006, poiché solo in tale epoca sono emersi i rapporti di debito
credito tra lo S. e tale M. sul cui conto era stata addebitata la somma di
oltre 5000,00 euro relativa ad un assegno emesso dalla L. s.r.I., operazione in
riferimento alla quale non sono state fornite, a detta del Collegio,

spiegazioni convincenti o plausibili.

Al di là di qualsiasi aspetto, quindi, concernente
la formazione del giudicato circa la conoscenza della questione da parte dei
vertici, si è trattato di un episodio significativo in quanto atto a
“colorare” le plurime irregolarità commesse dallo S..

2.1. Il secondo motivo, con cui si deduce la
violazione dell’art. 7 L. n.
300/70 nonché degli artt. 1175, 1375 c. 115 e 116 cod. proc. civ è infondato.

Va premesso, al riguardo, che in tema di ricorso per
cassazione, una questione di violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod.
proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale
istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché
si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non
dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuor dei limiti legali, o
abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove
legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova„ recependoli senza
apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (cfr.
Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n.
13960): la censura appare, quindi, del tutto inconferente nel caso di
specie.

Relativamente alla dedotta violazione del principio
di immediatezza della contestazione, va rilevato che corretta deve ritenersi
l’applicazione di quel canone da parte della Corte territoriale che ha
rispettato i principi dettati in argomento da questa Corte.

Nel licenziamento per giusta causa, infatti, il
principio dell’immediatezza della contestazione dell’addebito deve essere
inteso in senso relativo, potendo in concreto essere compatibile con un
intervallo di tempo più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione
dei fatti siano molto laboriosi e richiedano uno spazio temporale maggiore, e
non potendo, nel caso in cui il licenziamento sia motivato dall’abuso di uno
strumento di lavoro, ritorcersi a danno del datore di lavoro l’affidamento
riposto nella correttezza del dipendente, o equipararsi alla conoscenza
effettiva la mera possibilità di conoscenza dell’illecito, ovvero supporsi una
tolleranza dell’azienda a prescindere dalla conoscenza che essa abbia degli
abusi del dipendente (Cass. n. 5546 dell’8/03/2010).

Occorre evidenziare, in merito, che già da epoca
risalente, il giudice di legittimità ha affermato che i requisiti della
immediatezza e tempestività condizionanti la validità del licenziamento per
giusta causa sono compatibili con un intervallo temporaneo, quando il
comportamento del lavoratore consti di una serie di fatti che, convergendo a
comporre un’unica condotta, esigono una valutazione globale ed unitaria da
parte del datore di lavoro (Cass. n. 4150/1986: in terminis, Cass. n.
4346/1987). Questa Corte ha, in particolare, osservato che il principio
dell’immutabilità della contestazione dell’addebito disciplinare mosso al
lavoratore ai sensi dell’art. 7
dello statuto lavoratori preclude al datore di lavoro di licenziare per altri
motivi, diversi da quelli contestati, ma non vieta di considerare fatti non
contestati e situati a distanza anche superiore ai due anni dal recesso, quali
circostanze confermative della significatività di altri addebiti posti a base
del licenziamento, al fine della valutazione della complessiva gravità, sotto
il profilo psicologico, delle inadempienze del lavoratore e della
proporzionalità o meno del correlativo provvedimento sanzionatorio del datore
di lavoro (Cass. n. 1145 del 19/01/2011; Cass, n. 21795 del 14/10/2009. Cass. n. 6523 del
20/07/1996).

In argomento, già Cass. n. 412/1990, precisava che
non è preclusa al giudice la valutazione di pregressi comportamenti del
lavoratore, i quali non configurino autonome o concorrenti ragioni di recesso,
ma rappresentino soltanto circostanze meramente confermative – sotto il profilo
psicologico e con riguardo alla personalità del lavoratore – della gravità
dell’addebito contestato e dell’adeguatezza del provvedimento sanzionatorio.

Le considerazioni anzidette operano anche nel caso
in cui i comportamenti disciplinarmente rilevanti siano stati contestati non
subito dopo il loro verificarsi ma in ritardo ed anche quando la loro
contestazione sia avvenuta solo unitamente al fatto ultimo da sanzionare (Cass.
n. 11410/93 cit.; Cass. n. 3835/1981).

Nel caso di specie, la Corte ha ribadito il
principio secondo cui il recesso datoriale e le preliminari contestazioni, ove
ricorra una giusta causa di recesso basata su condotte aventi rilievo
disciplinare, debbano essere immediate, ossia cronologicamente vicine alla
effettiva conoscenza della commissione del fatto nella sua massima estensione e
gravità. Nondimeno ha rimarcato le osservazioni anzidette, osservando che,
secondo la giurisprudenza, immediatezza e tempestività della contestazione sono
concetti relativi nel senso che la loro valutazione deve tener conto della
complessità del fatto e degli accertamenti nonché della complessità della
struttura organizzativa dell’impresa datrice di lavoro perché è sempre
ammissibile un lasso temporale più o meno lungo liberamente valutabile dal
giudice, tra la conoscenza del fatto e l’avvio della procedura disciplinare.

Il Collegio ha evidenziato, quindi, che nel caso di
specie devono essere considerate da un lato la complessità della struttura
organizzativa di parte resistente, dall’altro la complessità degli accertamenti
che si sono resi necessari per l’istruttoria, venendo in rilievo la violazione
di prescrizioni di regole imposte dal datore di lavoro al fine di agevolare
indebitamente soggetti nei cui riguardi lo S., secondo la contestazione di
addebito, si trovava in una situazione di conflitto di interessi, avendo con
gli stessi, rapporti di debito-credito. In tale contesto, la concessione di
sforamenti al cosiddetto gruppo L. – V. (al di là della effettiva sussistenza
di un gruppo almeno in fatto), è stata ritenuta solo un segmento della
complessiva condotta contestata, dovendo considerarsi anche i rapporti
personali tra il ricorrente e soggetti appartenenti al gruppo. La carenza di informazioni
nella valutazione nel corso del tempo del livello del rischio connesso al
predetto cliente, che era in una situazione di forte esposizione nei confronti
della banca, ha consentito, secondo il Collegio, che soltanto all’esito di
lungo e complesso accertamento la società abbia potuto avere cognizione piena
della gravità ed il significato complessivo della condotta posta in essere.
Tenuto conto di tali congrue osservazioni, e della circostanza che, in ogni
caso, la valutazione della tempestività della contestazione costituisce
giudizio di merito, non sindacabile in cassazione ove immune da vizi logici (V.
Cass. n. 5546/2010 cit.), il motivo non può
essere accolto.

1.2. Il terzo motivo, con cui si deduce la
violazione degli artt. 1 e 5 della legge n. 604/66 e
dell’art. 2697 cod. civ. e il quarto motivo
mediante il quale si censura la decisione impugnata per violazione degli artt. 2004, 2005, 2006 e 2019 cod. civ.,
nonché 115 e 116
cod. proc. civ, da valutarsi congiuntamente per l’intima connessione, sono
infondati.

Ribadite le considerazioni di cui al punto 2.1. in
ordine ai limiti che circoscrivono la possibilità di censurare una pronunzia in
sede di legittimità ai sensi degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., relativamente alla denunziata
violazione dell’art. 2697 cod. civ., va
rilevato che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, (ex plurimis,
Sez. III, n. 15107/2013) la doglianza relativa alla violazione del precetto di
cui all’art. 2697 cod. civ. è configurabile
soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad
una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da
quella norma e che tale ipotesi non ricorre nel caso di specie, avendo la Corte
operato una corretta applicazione dei principi che governano la materia. Come
già dianzi argomentato, infatti, la Corte, peraltro richiamando diffusamente le
ampie argomentazioni di primo grado, ha motivato in modo approfondito sui
comportamenti incidenti in modo determinante sulla lesione del vincolo fiduciario
e tale motivazione, immune da vizi logici, è sottratta al sindacato di
legittimità. Con riguardo, poi alla dedotta lesione dell’art. 2119 cod. civ., secondo l’insegnamento di
questa Corte (da ultimo, Cass. n. 13534 del 2019
nonché, in terminis, Cass. n. 7838 del 2005 e Cass.
n. 18247 del 2009), il modulo generico che identifica la struttura aperta
delle disposizioni di limitato contenuto ascrivibili alla tipologia delle cd.
clausole generali, richiede di essere specificato in via interpretativa, allo
scopo di adeguare le norme alla realtà articolata e mutevole nel tempo. La
specificazione può avvenire mediante la valorizzazione o di principi che la
stessa disposizione richiama o di fattori esterni relativi alla coscienza
generale ovvero di criteri desumibili dall’ordinamento generale, a cominciare
dai principi costituzionali ma anche dalla disciplina particolare, collettiva,
come nel caso in esame, in cui si colloca la fattispecie.

Tali specificazioni del parametro normativo hanno
natura giuridica e la loro errata individuazione è deducibile in sede di
legittimità come violazione di legge (ex plurimis, Cass. n. 13453 del 2019
cit., Cass. n. 6901 del 2016: Cass. n. 6501 del 2013; Cass. n. 6498 del 2012; Cass. n. 25144 del 2010).

Conseguentemente, non si sottrae ai controllo di
questa Corte il profilo della correttezza del metodo seguito
nell’individuazione dei parametri integrativi, perché, pur essendo necessario
compiere opzioni di valore su regole o criteri etici o di costume o propri di
discipline e/o di ambiti anche extragiuridici, “tali regole sono tuttavia
recepite dalle norme giuridiche che, utilizzando concetti indeterminati, fanno
appunto ad esse riferimento” (per tutte v. Cass.
n. 434 del 1999), traducendosi in un’attività di interpretazione giuridica
e non meramente fattuale della norma stessa (cfr. Cass. n. 13453 del 2019 cit.,
Cass. n. 5026 del 2004; Cass. n. 10058 del 2005;
Cass. n. 8017 del 2006).

Nondimeno, va sottolineato che l’attività di
integrazione del precetto normativo di cui all’art.
2119 c.c. compiuta dal giudice di merito è sindacabile in cassazione a
condizione, però, che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede
di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma
contenga, invece, una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio
rispetto agli standards, conformi ai valori.

Sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato
al giudice del merito, opera l’accertamento della concreta ricorrenza, nella
fattispecie dedotta in giudizio, degli elementi che integrano il parametro
normativo e sue specificazioni e della loro attitudine a costituire giusta
causa di licenziamento. Quindi occorre distinguere: è solo l’integrazione a
livello generale e astratto della clausola generale che si colloca sul piano
normativo e consente una censura per violazione di legge; mentre l’applicazione
in concreto del più specifico canone integrativo così ricostruito, rientra
nella valutazione di fatto devoluta al giudice del merito, “ossia il
fattuale riconoscimento della riconducibilità del caso concreto nella
fattispecie generale e astratta” (in termini ancora Cass. n. 18247/2009 e n.
7838/2005 citate).

Questa Corte precisa, pertanto, che “spettano
inevitabilmente al giudice di merito le connotazioni valutative dei fatti
accertati nella loro materialità, nella misura necessaria ai fini della loro
riconducibilità – in termini positivi o negativi – all’ipotesi normativa”
(così, in motivazione, Cass. n. 15661 del 2001, nonché la giurisprudenza ivi
citata)

2.1. Tale distinzione, operante per le clausole
generali, condiziona la verifica dell’errore di sussunzione del fatto
nell’ipotesi normativa, ascrivibile, per risalente tradizione giurisprudenziale
(v. in proposito Cass. SS,UU. n. 5 dei 2001), al vizio di cui al n. 3 dell’art. 360, comma 1, c.p.c. (di recente sI
segnala Cass. n. 13747 del 2018).

E’, infatti, solo l’integrazione a livello generale
e astratto della clausola generale che si colloca sul piano normativo e
consente una censura per .violazione di legge: l’applicazione in concreto del
più specifico canone integrativo cosi ricostruito, rientra nella valutazione di
fatto devoluta al giudice dei merito, “ossia il fattuale riconoscimento
della riconducibilità del caso concreto nella fattispecie generale e
astratta” (sul punto, fra le altre, Cass.
n.18247 del 2009 e n. 7838 del 2005).

3. Nel caso di specie appare evidente che la
censura, veicolata per il tramite dell’art. 360 n.
3 cod. proc. civ., in realtà corre lungo i binari della censura fattuale in
quanto mira ad una diversa ricostruzione della fattispecie oltre che ad una
inammissibile diversa valutazione delle risultanze istruttorie di primo grado.

Parte ricorrente, infatti, pur denunciando,
apparentemente, una violazione di legge, chiede in realtà alla Corte di
pronunciarsi sulla valutazione di fatto compiuta dal giudice in ordine alle
conclusioni raggiunte con riguardo alla sussistenza della lamentata negligenza
mentre le argomentazioni da essa sostenute si limitano a criticare sotto vari
profili la valutazione compiuta dalla Corte d’Appello, con doglianze intrise di
circostanze fattuali mediante un pervasivo rinvio ad attività asseritamente
compiute nelle fasi precedenti ed attinenti ad aspetti di mero fatto,
tentandosi di portare di nuovo all’attenzione del giudice di legittimità una
valutazione di merito, concernente il rilievo delle infrazioni ascritte in
ordine alla ritenuta lesione del vincolo fiduciario nella complessità
dell’indagine fattuale compiuta dal giudice di primo grado e condivisa
integralmente dal giudice d’appello, relativamente all’insieme dei
comportamenti contrastanti con l’obbligo di diligenza che grava sul dipendente,
peraltro in posizione apicale.

4. Con l’unico motivo di ricorso incidentale, si
deduce la violazione degli artt. 1223, 1294, 2909, 2055, 2697, cod. civ.
e 115 cod. proc. civ. per aver la Corte
trascurato l’avvenuta dimostrazione della responsabilità dello S. per i danni
cagionati alla società per aver omesso le dovute informazioni ai clienti circa
il rischio di perdita per insolvenza dell’emittente con riguardo ai bond
argentini.

Il motivo non può essere accolto.

La Corte, infatti, ha ampiamente motivato, peraltro
recependo sul punto le statuizioni contenute nella sentenza di primo grado,
affermando che si rinvenivano ragioni significative circa la sussistenza di una
responsabilità dell’istituto di credito che aveva un interesse ben più
significativo dello S. al piazzamento dei titoli.

Si legge, al riguardo, nella sentenza:
“…rileva, infatti, all’uopo, il ben noto circuito perverso tra
governance degli istituti di credito e dipendenti che vede questi ultimi
diventare strumento, più o meno consapevole, per la realizzazione di politiche
spregiudicate di collocamento sul mercato di titoli senza che segua un’adeguata
informazione dell’utenza costituita da comuni risparmiatori”. Tale circuito
perverso secondo la Corte può aver avuto rilievo nella vicenda nei senso che
l’istituto appellato può in un determinato periodo storico aver avuto un piano
industriale particolarmente aggressivo o aver condotto ad una politica
speculativa anche a discapito del rispetto delle regole. Tali aspetti, ad
avviso del Collegio, sono fonte di responsabilità in particolar modo nei
confronti della clientela danneggiata, essendo sia la banca che il dipendente
coinvolti nel medesimo “ingranaggio” del quale le uniche vittime
potenziali sono i clienti.

Rilevato, quindi, che si tratta di valutazioni di
fatto, e che la motivazione deve ritenersi del tutto immune da vizi logici,
essa risulta, anche sotto tale profilo, sottratta al sindacato di legittimità.

5. Alla luce delle suesposte argomentazioni, il
ricorso principale e quello incidentale vanno, quindi, respinti.

6. La reciproca soccombenza suggerisce di procedere
all’integrale compensazione delle spese di lite.

6.1. Sussistono i presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto
per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dell’ articolo 13 comma 1 quater del d.P.R.
n. 115 del 2002 (ndr comma 1
-bis dell’ articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002), se
dovuto.

 

P.Q.M.

 

respinge il ricorso principale e quello incidentale.
Compensa integralmente le spese di lite.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto
per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dell’art. 1
-bis dello stesso articolo 13 (ndr comma 1 -bis dello stesso articolo 13),
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 luglio 2020, n. 15229
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