Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 luglio 2020, n. 16135

Erogazione dei buoni pasto, Unilaterale revocabilità,
Funzionalità ad un rapporto contrattuale integrativo, Legittima aspettativa
dei lavoratori a seguito di una reiterata e generalizzata prassi aziendale,
Natura dei buoni pasto, Non elemento della retribuzione “normale”,
ma agevolazione di carattere assistenziale, Collegamento al rapporto di lavoro
sulla base di un nesso meramente occasionale

 

Rilevato che

 

1. Con sentenza 30 giugno 2016, la Corte d’appello
di Campobasso rigettava l’appello proposto da G.C. avverso la sentenza di 1°
grado, di reiezione della sua domanda di accertamento di illegittimità
dell’unilaterale deliberazione della datrice (…) (S.A.T.I.) s.p.a.
dell’erogazione dei buoni pasto dal giugno 2006 e di condanna al pagamento
delle relative differenze retributive;

2. avverso la predetta sentenza il lavoratore
ricorreva per cassazione con due motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c., cui la società resisteva
con controricorso;

3. il P.G. rassegnava le conclusioni ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c.;

 

Considerato che

 

1. il ricorrente deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 2099, in combinato
disposto con l’art. 36 Cost., 1373, 1374 c.c.,
per la ritenuta erronea unilaterale revocabilità dei c.d. buoni pasto, per la
loro funzionalità ad un rapporto contrattuale integrativo, componente della
retribuzione (anche per la “legittima aspettativa” dei lavoratori a
seguito di una reiterata e generalizzata prassi aziendale dal 1999 all’aprile
2006) e pertanto soggetti al principio di irriducibilità della stessa (primo
motivo);

2. esso è infondato;

2.1. la Corte territoriale ha correttamente
interpretato la natura dei buoni pasto alla stregua, non già di elemento della
retribuzione “normale”, ma di agevolazione di carattere assistenziale
collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale (Cass. 21
luglio 2008, n. 20087; Cass. 8 agosto 2012, n. 14290; Cass. 14 luglio 2016, n. 14388), pertanto non
rientranti nel trattamento retributivo in senso stretto (Cass. 19 maggio 2016,
n. 10354; Cass. 18 settembre 2019, n. 23303); sicché, il regime della loro
erogazione può essere variato anche per unilaterale deliberazione datoriale, in
quanto previsione di un atto interno, non prodotto da un accordo sindacale;

3.2. l’interpretazione contrapposta dal lavoratore,
di erogazione dei buoni pasto “in funzione di un rapporto
contrattuale”, anche sulla base di una reiterazione nel tempo tale da
integrare una prassi aziendale (pure viziata da una connotazione di novità, non
parlandone la sentenza impugnata, né avendone il ricorrente offerto indicazione
di una sua prospettazione negli atti dei precedenti gradi), non inficia il
presupposto della natura non retributiva dell’erogazione;

3. il lavoratore deduce poi violazione e falsa
applicazione dell’art. 21/B del CCNL autoferrotramvieri del 23 luglio 1976, per
la non corretta distinzione tra buoni pasto, erogati a tutti i lavoratori, e
indennità di “concorso pasti”, riservata unicamente ai dipendenti
fuori del comune di residenza nelle ore dei pasti (secondo motivo);

3.1. esso è inammissibile;

3.2. la censura è viziata da un’evidente carenza di
interesse, per inidoneità a scalfire la ratio decidendi (ai due ultimi
capoversi di pg. 4 della sentenza), oggetto del primo motivo, in quanto
riguardante un profilo argomentativo avente sostanziale natura di obiter
dictum, ininfluente sul dispositivo della decisione (Cass. 18 dicembre 2017, n.
30354; Cass. 25 settembre 2018, n. 22782);

4. le superiori argomentazioni comportano il rigetto
del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di
soccombenza, con distrazione in favore dei difensori antistatari secondo la
loro richiesta e il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella
ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass.
s.u. 20 settembre 2019, n. 23535);

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il lavoratore alla
rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che
liquida in € 200,00 per esborsi e € 3.000,00 per compensi professionali, oltre
rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge, con
distrazione in favore dei difensori anticipatari.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13,
se dovuto.

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