La carica di amministratore è compatibile con lo status di lavoratore subordinato alle dipendenze della medesima compagine sociale, a condizione che i poteri di gestione e controllo siano concretamente esercitati da un altro soggetto o da altri membri dell’organo di amministrazione.

Nota a Cass. ord. 6 luglio 2020, n. 13910

Sonia Gioia

In tema di compatibilità della qualifica di amministratore di società di capitali con l’esistenza di un rapporto di lavoro  subordinato, le qualità di amministratore e di dipendente di una medesima società sono cumulabili purché si accerti l’attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale e sia fornita prova, da parte del lavoratore interessato, del vincolo di subordinazione, e, cioè, dell’assoggettamento, nonostante il ruolo rivestito, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società.

L’affermazione è della Corte di Cassazione (ord. 6 luglio 2020, n. 13910, conforme ad App. Lecce, sez. distaccata di Taranto) in relazione al ricorso di un prestatore che chiedeva l’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze della società di cui era anche amministratore.

Nello specifico, il lavoratore asseriva la natura meramente formale della funzione svolta all’interno del consiglio di amministrazione dal momento che svolgeva mansioni puramente esecutive mentre le decisioni in ordine all’attività strategica e finanziaria competevano ad altro componente dell’organo gestorio.

Al riguardo, la Cassazione ha precisato che la qualità di amministratore di una società di capitali non risulta, di per sé, incompatibile con la possibilità di instaurare, con la medesima azienda, un autonomo e parallelo diverso rapporto, che può assumere la caratteristiche del lavoro subordinato (Cass. n. 19596/2016).

La valutazione della compatibilità delle due posizioni, quella di amministratore e dipendente della stessa società, da effettuarsi, in concreto, caso per caso, presuppone che:

  • Il potere deliberativo, diretto a formare la volontà dell’ente, sia, effettivamente, affidato al consiglio di amministrazione della società nel suo complesso e/o ad un altro organo sociale espressione della volontà imprenditoriale che esplichi un potere esterno;
  • sia fornita la rigorosa prova dell’assoggettamento, nonostante la carica sociale rivestita, all’effettivo potere di supremazia gerarchia di un altro soggetto o degli altri componenti il consiglio di amministrazione. Ciò, anche attraverso l’allegazione di indici sintomatici della subordinazione (c.d. sussidiari o complementari), quali la periodicità e la predeterminazione del compenso, l’osservanza di un orario contrattuale di lavoro, l’assenza di rischio in capo al prestatore, la distinzione tra importi corrisposti a titolo di retribuzione e quelli derivanti da proventi societari;
  • il lavoratore svolga mansioni estranee al rapporto organico con la società, che non siano, cioè, ricomprese nei poteri di gestione derivanti dalla carica ricoperta o dalle deleghe che gli siano state conferite (Mess. INPS 17 settembre 2019, n. 3359).

Per la Cassazione, nel caso di specie, la Corte di merito ha correttamente escluso la sussistenza di un rapporto di lavoro alle dipendenze della compagine sociale in quanto l’amministratore non aveva fornito adeguata prova né del vincolo di soggezione personale nei confronti degli altri membri dell’organo di amministrazione, né dell’espletamento di mansioni estranee all’esercizio dei poteri gestori e tali da denotare il carattere meramente formale della carica rivestita.

Amministratore e dipendente della stessa società: cumulabilità delle qualifiche
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