Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 luglio 2020, n. 16249

Fondo di garanzia INPS, Retribuzioni maturate negli ultimi
due mesi del rapporto di lavoro, Fallimento, Ultimi dodici mesi anteriori
alla procedura concorsuale entro i quali collocare le ultime tre mensilità,
Iniziativa del lavoratore volta a far valere in giudizio il diritto di credito
– Richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione presso la Direzione
provinciale del lavoro

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 30
gennaio 2014, ha riformato la sentenza di primo grado e condannato il Fondo di
garanzia costituito presso l’INPS al pagamento, in favore di T.P., di quanto
dovuto dalla fallita società P. s.r.l., per retribuzioni maturate negli ultimi
due mesi del rapporto di lavoro intercorso con la predetta società (febbraio e
marzo 2007 e relativi ratei di tredicesima e quattordicesima mensilità).

2. Per la Corte di merito, ai fini del computo, a
ritroso, degli ultimi dodici mesi anteriori alla procedura concorsuale entro i
quali collocare le ultime tre mensilità, rilevava qualsiasi iniziativa del
lavoratore volta a far valere in giudizio il diritto di credito alle
retribuzioni, ivi compresa, come nella specie, la richiesta del tentativo
obbligatorio di conciliazione presso la Direzione provinciale del lavoro,
depositata dalla lavoratrice in data 18 settembre 2007, in riferimento al
giudizio per la condanna al relativo pagamento instaurato nei confronti del
datore di lavoro, poi dichiarato fallito con sentenza del 23 luglio 2008.

3. Avverso tale sentenza ricorre l’INPS, con ricorso
affidato a un unico motivo, ulteriormente illustrato con memoria, cui resiste
con controricorso T.P.

 

Ragioni della decisione

 

4. L’ente previdenziale deduce la violazione e falsa
applicazione dell’art. 2, primo
comma, d.lgs. 27 gennaio 1992 n. 80, in relazione all’art. 410 cod. proc. civ. applicabile, ratione
temporis, nel testo modificato dall’art. 36 del d.lgs n. 80 del 1998,
e assume l’erronea qualificazione come atto di iniziativa giudiziale, agli
effetti del computo a ritroso dei dodici mesi anteriori, della richiesta del
tentativo obbligatorio di conciliazione nei confronti del datore di lavoro, la
cui natura di atto stragiudiziale, indirizzato ad organo amministrativo e
proposto nei confronti del datore di lavoro, non produrrebbe aicun effetto nei
confronti del Fondo di garanzia; inoltre, nella specie ii ricorso proposto nei
confronti del datore di lavoro non aveva avuto alcun seguito a cagione
dell’intervenuto suo fallimento e dell’estinzione del relativo giudizio,
neanche riassunto nei termini di legge.

5. Si controverte della possibilità di includere le
ultime due mensilità della retribuzione, indennizzabili dal Fondo di garanzia
gestito dall’INPS ai sensi dell’art.
2, primo comma, d.lgs. n. 80 del 1992 (nella specie le mensilità di febbraio
e marzo 2007 e relativi ratei di tredicesima e quattordicesima mensilità),
nell’anno antecedente alla richiesta con cui la lavoratrice ha attivato, nei
confronti del datore di lavoro inadempiente, il tentativo obbligatorio di
conciliazione dinanzi alla Direzione Provinciale del lavoro prima
dell’instaurazione del relativo giudizio e, in altri termini, per la stretta
connessione con il mero computo a ritroso del termine annuale, dell’essenza
stessa del credito retributivo, per le ultime tre mensilità, oggetto della
protezione previdenziale apprestata dall’ordinamento.

6. Per coerenza sistematica va innanzitutto
ricordata ia giurisprudenza di questa Corte che, con riferimento alle
obbligazioni a carico del Fondo di Garanzia costituito presso l’INPS, ha ormai
definitivamente consolidato la natura previdenziale dei crediti richiamati dal decreto legislativo n. 80 del 1992 («crediti di
lavoro, diversi da quelli spettanti a titolo di trattamento di fine rapporto,
inerenti gli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro rientranti nei dodici mesi
che precedono» ex art. 2, co.
1, d.lgs. n. 80 cit.); ha delineato il diritto del lavoratore di ottenere
dall’I.N.P.S. la corresponsione delle somme a carico del Fondo come diritto di
credito, ad una prestazione previdenziale, distinto ed autonomo rispetto al
credito vantato nei confronti del datore di lavoro; ha escluso che si tratti di
obbligazione solidale; ha ancorato il perfezionarsi del diritto non già alla
cessazione del rapporto di lavoro, bensì al verificarsi dei presupposti
previsti dal decreto legislativo n.80
(insolvenza del datore di lavoro, verifica dell’esistenza e misura del credito
in sede di ammissione al passivo ovvero all’esito di procedura esecutiva; v.,
da ultimo e per tutte, Cass. 3 gennaio 2020, n. 32
e i precedenti ivi richiamati).

7. Il Fondo di garanzia costituisce attuazione di
una forma di assicurazione sociale obbligatoria, con relativa obbligazione
contributiva posta ad esclusivo carico del datore di lavoro, con la
particolarità che l’interesse del lavoratore alla tutela è conseguito mediante
l’assunzione, da parte dell’ente previdenziale, in caso d’insolvenza del datore
dì lavoro, di un’obbligazione pecuniaria il cui quantum è determinato con
riferimento al credito di lavoro nel suo ammontare complessivo.

8. Il diritto alla prestazione dei Fondo nasce,
quindi, non in forza del rapporto di lavoro, ma del distinto rapporto
assicurativo-previdenziale, in presenza dei presupposti indicati dalla legge
che, va ripetuto, sono: l’insolvenza del datore di lavoro e l’accertamento del
credito nell’ambito della procedura concorsuale, secondo le regole specifiche di
queste; la formazione di un titolo giudiziale e l’esperimento non satisfattivo
dell’esecuzione forzata.

9. Per ottenere la prestazione è necessaria una
domanda amministrativa, domanda che può essere presentata solo dopo la verifica
dell’esistenza e della misura del credito, in sede di ammissione al passivo
fallimentare o della liquidazione coatta amministrativa, ovvero, in caso di
datore di lavoro non assoggettato a procedure concorsuali, dopo la formazione
di un titolo esecutivo e l’esperimento infruttuoso, in tutto o in parte,
dell’esecuzione forzata o, ancora, qualora l’ammissione del credito nello stato
passivo sia stata resa impossibile dalla chiusura della procedura per
insufficienza dell’attivo intervenuta dopo la proposizione, da parte sua, della
domanda di insinuazione, ma prima dell’udienza fissata per l’esame della
domanda suddetta, di procedere preventivamente ad esecuzione forzata nei
confronti del datore di lavoro tornato in bonis a seguito della chiusura del
fallimento ex art. 2, co. 5,
d.lgs. n. 80 cit. (v. Cass. n. 1886 del 2020
cit. e i precedenti ivi richiamati).

10. Tanto chiarito quanto agli arresti consolidati
nei senso della natura previdenziale della prestazione del Fondo dì garanzia e
al superamento di datati approdi giurisprudenziali nel diverso senso della
natura retributiva della protezione offerta dal Fondo che finiva, pertanto, in
coerenza con quelle ricostruzioni, per sostituirsi al datore di lavoro (v., fra
le altre, Cass. n. 1885 del 2005 evocata dalla
Corte territoriale a sostegno della ratio deciderteli della sentenza ora
impugnata), è di tutta evidenza l’ambito dei crediti retributivi ai quali è
accordata la protezione previdenziale.

11. Il richiamato decreto
legislativo n. 80, all’art.
2, comma 1, recita: «Il pagamento effettuato dai Fondo di garanzia ai sensi
dell’art. 1 è relativo ai
crediti di lavoro, diversi da quelli spettanti a titolo di trattamento di fine
rapporto, inerenti gli ultimi tre mesi dei rapporto di lavoro rientranti nel
dodici mesi che precedono: a) la data del provvedimento che determina
l’apertura di una delle procedure indicate nell’art. 1, comma 1; b) la data di
inizio dell’esecuzione forzata; c) la data del provvedimento di messa in
liquidazione o di cessazione dell’esercizio provvisorio ovvero
dell’autorizzazione alla continuazione dell’esercizio di impresa per i
lavoratori che abbiano continuato a prestare attività lavorativa, ovvero la
data di cessazione del rapporto di lavoro, se questa è intervenuta durante la
continuazione dell’attività dell’impresa».

12. La norma tutela, dunque, i lavoratori
subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, e non di mero
inadempimento dell’obbligazione retributiva, assicurando il pagamento delle
retribuzioni relative agli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro che si
collochino nell’ambito della fascia temporale normativamente indicata.

13. Questa Corte ha da tempo posto il principio
secondo cui, in caso di insolvenza del datore di lavoro, il lavoratore
assicurato che pretenda il pagamento del TFR o delle tre mensilità da parte del
Fondo di garanzia ha l’onere di dimostrare che è stata emessa la sentenza
dichiarativa del fallimento e che il suo credito è stato ammesso nello stato
passivo, ovvero, qualora l’ammissione del credito nello stato passivo sia stata
resa impossibile dalla chiusura della procedura per insufficienza dell’attivo
intervenuta dopo la proposizione, da parte sua, della domanda di insinuazione,
ma prima dell’udienza fissata per l’esame della domanda suddetta, di procedere
preventivamente ad esecuzione forzata nei confronti del datore di lavoro
tornato in bonis a seguito della chiusura del fallimento, ex art. 2, comma 5, legge n. 297cit.
(v. Cass. n. 1886 del 2020 cit. e i precedenti
ivi richiamati),

14. Peraltro, armonizzando nell’ordinamento
nazionale la Direttiva 20/10/1980, n. 80/987/CEE,
che prevede la possibilità di condizioni di miglior favore per i lavoratori da
parte degli ordinamenti nazionali (art.
9 dir. 80/987 cit.), il governo italiano, nell’esercizio del delegato
potere legislativo, ha derogato in melius le disposizioni comunitarie,
introducendo il più favorevole spazio temporale annuale per l’ambito
d’intervento della protezione previdenziale, in luogo del minor termine di sei
mesi previsto dal legislatore comunitario.

15. La fascia temporale protetta, rientrante
nell’alveo della protezione previdenziale, è stata quindi delimitata,
nell’ordinamento nazionale, valorizzando e tipizzando i momenti dai quali far
decorrere a ritroso il predetto periodo annuale, distinguendo, peraltro, fra
lavoratori che avessero o meno continuato a prestare attività lavorativa dopo
l’apertura della procedura concorsuale (maturando quindi il diritto alla
retribuzione): per i lavoratori la cui attività lavorativa sia cessata prima di
detta apertura, il Fondo di garanzia eroga la prestazione previdenziale
allorquando le ultime tre mensilità di retribuzione non adempiute si collochino
nei dodici mesi antecedenti la data della presentazione della domanda diretta
all’apertura di una di esse (art.
2, d.lgs. n. 80 cit., lett. a); per i lavoratori che abbiano continuato a
prestare attività lavorativa anche dopo l’ammissione ad una procedura
concorsuale per effetto della continuazione dell’attività d’impresa, il Fondo
interviene a condizione che le ultime tre mensilità di retribuzione non
adempiute si collochino nei dodici mesi anteriori alla data del provvedimento
di messa in liquidazione o di cessazione dell’esercizio provvisorio o di revoca
dell’autorizzazione alla continuazione all’esercizio di impresa o, qualora la
cessazione del rapporto di lavoro sia intervenuta durante la continuazione
dell’attività dell’impresa, alla data di licenziamento o di dimissioni del
lavoratore (art. 2, d.lgs. n. 80
cit., lett. c; v., da ultimo, Cass. n. 24889
del 2019).

16. Un cenno a parte merita la fattispecie indicata
dal legislatore delegato nella lettera b) del citato articolo 2, comma 1, che pone,
per l’accesso alla protezione previdenziale, il discrimine della «data di
inizio dell’esecuzione forzata», per cui da detto momento (la data di inizio
dell’esecuzione forzata e l’iniziativa così intrapresa dal lavoratore) deve
contarsi, a ritroso, il periodo annuale nel cui novero si collocano i crediti
del lavoratore, inerenti agli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro, che
trovano tutela nell’ipotesi in cui il datore non sia o non sia stato ancora
sottoposto a fallimento.

17. La verifica dell’iniziativa del lavoratore che
aspiri alla tutela previdenziale deve dipanarsi lungo la direttrice del fatto
costitutivo della prestazione pretesa, modulata sul TFR spettante al lavoratore
assicurato o sulle tre mensilità della retribuzione, e consistente non già
nella cessazione del rapporto di lavoro (quanto al TFR) o nel mero
inadempimento dell’obbligazione retributiva (quanto alle tre mensilità), ma nel
verificarsi dei presupposti previsti dall’art. 2 della legge n. 297 del 1982,
rispettivamente, da un lato, la verifica dei credito del lavoratore mediante
l’insinuazione ai passivo del fallimento del datore di lavoro (art. 2, commi 2 e ss.) e,
dall’altro lato, qualora il datore di lavoro non sia soggetto alle disposizioni
della legge fallimentare o sia ritornato in bonis, il previo esperimento
dell’esecuzione forzata per la realizzazione del credito, da cui risulti
l’insufficienza, totale o parziale, delle garanzie patrimoniali del datore di
lavoro stesso (art. 2, comma
5).

18. Con la sentenza 10
luglio 1997 (in causa C-373/95), la Corte di giustizia ha interpretato la
direttiva comunitaria n. 80/987 nel senso che il termine da calcolare a ritroso
decorre dalla data della domanda diretta all’apertura del procedimento di
soddisfacimento collettivo dei creditori, fermo restando che ia garanzia non
può essere concessa prima della decisione di apertura di tale procedimento o
dell’accertamento della chiusura definitiva dell’impresa, in caso di
insufficienza dell’attivo (v., fra le altre, Cass., n. 7877 del 2015),

19. La Corte di giustizia ha anche ribadito che l’interpretazione
derivante dal chiaro tenore letterale della norma risponde alla logica secondo
la quale la copertura previdenziale apprestata dal Fondo resta collocata in un
arco temporale relativamente prossimo alla cessazione dell’attività lavorativa
(in tal senso dovendosi escludere, come affermato, da ultimo, anche da Cass. n. 32 del 2020 cit., la violazione dei
parametri costituzionali costituiti dagli artt. 3
e 38 Cost.).

20. Essa è del resto coerente con il dettato della Direttiva 20/10/1980, n. 80/987/CEE il
cui art. 3, come sostituito dall’art.
1 della Direttiva 2002/74/CE, successivamente è stato abrogato dall’art. 16 della Direttiva 2008/94/CE,
che all’art. 3 contiene
comunque una norma analoga, con previsione, all’ultimo comma, del seguente
tenore: «I diritti di cui l’organismo di garanzia si fa carico sono le
retribuzioni non pagate corrispondenti a un periodo che si colloca prima e/o
eventualmente dopo una data determinata dagli Stati membri».

21. Come rilevato, dunque, dalla richiamata
decisione della CGUE del 1997, l’insorgere dell’insolvenza del datore di lavoro
non può essere puramente e semplicemente equiparato all’inizio della cessazione
del pagamento delle retribuzioni da parte dei datore di lavoro, perché
verrebbero meno, in tal caso, la finalità sociale della direttiva e la
necessità di fissare, con precisione, i periodi di riferimento ai quali la
direttiva annette effetti giuridici di protezione affidata agli ordinamenti
nazionali, concludendo nel senso che «l’insorgere dell’insolvenza del datore di
lavoro» di cui agii artt. 3, n. 2,
e 4, n. 2, della direttiva, coincide con «ia data della domanda diretta
all’apertura del procedimento di soddisfacimento collettivo dei creditori,
fermo restando che la garanzia non può essere concessa prima della decisione di
apertura di tale procedimento o dell’accertamento della chiusura definitiva
dell’impresa, in caso di insufficienza dell’attivo».

22. In tali termini individuato il momento in cui si
realizza l’insolvenza del datore di lavoro, la Corte di giustizia ha pur
indicato la facoltà degli Stati membri, a norma dell’art. 9 della direttiva, di
applicare o di introdurre disposizioni più favorevoli per i lavoratori, in
particolare al fine di garantire le retribuzioni non corrisposte nei corso di
un periodo successivo alla presentazione della domanda diretta all’apertura del
procedimento di soddisfacimento collettivo dei creditori (a tal fine
richiamando la coeva decisione nei procedimenti riuniti C-94/95 e C-95/95,
punti 36-43).

23. La soluzione, coerente con la menzionata
decisione della Corte di giustizia, e la natura previdenziale del diritto
azionato nei confronti del Fondo di garanzia comporta che la protezione
previdenziale pretesa dal lavoratore debba necessariamente misurarsi, come
qualunque altra prestazione previdenziale, con il fatto costitutivo come
normato dall’ordinamento per il sorgere dei rapporto previdenziale, con la
conseguenza che, nel caso in cui il datore di lavoro sia sottoposto a
fallimento, le retribuzioni rimaste inadempiute sono solo quelle antecedenti
all’apertura della procedura concorsuale.

24. La protezione previdenziale approntata dall’ordinamento
è legata non al mero inadempimento della prestazione retributiva ma, per quanto
sin qui detto richiamando significativi passaggi della Corte di giustizia
intervenuta a risolvere i dubbi interpretativi relativi all’armonizzazione
delle direttive nell’ordinamento, alIa condizione di insolvenza dei datore di
lavoro.

25. Rimane, per quanto esposto, del tutto
irrilevante il tentativo di conciliazione avviato dalla lavoratrice nei
confronti del datore di lavoro al fine di poter aspirare alla protezione previdenziale
e superfluo indagarne la natura di atto amministrativo stragiudiziale o
l’obbligatorietà, ratione temporis, quale condizione di procedibilità ex art. 412-bis cod. proc. civ., dovendosi ribadire,
come già rimarcato in altri precedenti di questa Corte (v., fra i più recenti, Cass. n. 1886 del 2020 cit.), che l’accertamento
giurisdizionale della misura del credito retributivo solo in esito
all’ammissione allo stato passivo ovvero la consacrazione in un titolo
esecutivo conseguito nei confronti del datore di lavoro, lungi dal costituire
un onere inutile e inutilmente dispendioso per il lavoratore, costituisce
piuttosto un presupposto letteralmente e logicamente necessario, oltreché coerente
da un punto di vista sistematico, trattandosi di modalità necessaria per
l’individuazione della misura stessa dell’intervento solidaristico del Fondo di
garanzia, essendo l’ente previdenziale terzo rispetto al rapporto di lavoro
inter partes ed essendo nondimeno la sua obbligazione modulata sul credito
maturato in costanza di rapporto di lavoro.

26. In conclusione, l’iniziativa del lavoratore
assume rilievo solo se intrapresa nell’ambito della verifica dei crediti
disposta nel corso dell’accertamento dello stato passivo fallimentare ovvero
attraverso la sua consacrazione in un titolo utilmente eseguibile nei confronti
del datore di lavoro stesso e, conseguentemente, al di fuori del segmento
temporale annuale computato a ritroso da dette iniziative giudiziali non scatta
la tutela previdenziale apprestata dall’ordinamento per le ultime tre mensilità
della retribuzione.

27. Pertanto la sentenza impugnata, che non si è
attenuta agli esposti principi, va cassata e, per non essere necessari
ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nei merito la Corte rigetta la
domanda di T.P..

28. L’evoluzione giurisprudenziale sulla peculiare
questione dibattuta e la problematicità della stessa nell’interpretazione del
progressivo assetto normativo e comunitario consigliano la compensazione delle
spese dell’intero processo.

 

P.Q.M,

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e,
decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda di P.T.;

spese compensate dell’intero processo.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 luglio 2020, n. 16249
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