Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 luglio 2020, n. 16259

Pensione integrativa, Trasformazione della Cassa di
Previdenza e del Fondo pensioni in fondo a contribuzione definita, Accordo
sindacale

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d’appello di Venezia, con sentenza n.
646 del 2013, ha respinto l’appello proposto da P.L., dipendente della Cassa di
R.V. s.p.a. (d’ora in avanti Cassa), avverso la sentenza di primo grado di
rigetto della domanda proposta dal medesimo L. nei confronti della Cassa e tesa
alla condanna della stessa al pagamento di euro 530,87, pari alla differenza
tra la dotazione individuale (cd. zainetto) effettivamente dovuta al ricorrente
in sostituzione della pensione integrativa (come previsto dell’accordo
sindacale del 21 maggio 2008) e quella offertagli dopo l’applicazione del
coefficiente riduttivo dello 0,0189 per cento sull’importo dapprima comunicato
al dipendente.

2. La Corte territoriale, dopo aver esposto vicende
relative alla Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo aventi ad oggetto la
stipula di un accordo sindacale diretto a trasformare la Cassa di Previdenza ed
il Fondo pensioni in fondo a contribuzione definita dei trattamenti
pensionistici integrativi del personale del ruolo del credito assunto prima del
gennaio 1991, e ciò in relazione alla posizione di cento dipendenti che avevano
cessato il proprio rapporto di lavoro tra il primo luglio 1998 ed il 31
dicembre 1998, ha precisato che l’accordo sindacale del 21 maggio 2008 aveva in
concreto previsto la dotazione, per ogni dipendente aderente al fondo, di uno
zainetto iniziale in base ad una precisa formula matematica e ciò in ragione
delle previsioni dell’art. 59,
comma 3, I. n. 449 del 1997; tale disposizione aveva previsto la
possibilità di trasformare le forme pensionistiche a prestazione definita in
forme a contribuzione definita, attraverso accordi con le organizzazioni
sindacali, nel termine del 30 giugno 1998 poi prorogato di 12 mesi. Dunque, con
l’accordo del 30 giugno 1998 era stata fissata la regolamentazione complessiva
dei rapporti, mentre, con l’accordo del 21 maggio 2008, erano stati definiti i
criteri di calcolo della dotazione individuale dei dipendenti in servizio. In
applicazione di tali previsioni, stante la necessità di garantire
l’intangibilità del patrimonio vincolato, doveva ritenersi giustificata
l’applicazione del correttivo determinato dall’incapienza del patrimonio
comune. I dati forniti dalla Cassa in tal senso non erano stati neanche
adeguatamente contestati dal dipendente.

3. Avverso tale sentenza, propone ricorso per
cassazione P.L. sulla base di cinque motivi.

Resiste con controricorso, successivamente
illustrato da memoria, Cassa di R.V. s.p.a.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia, ai
sensi dell’art. 360, primo comma n.4, c.p.c.,
la nullità della sentenza per omessa pronuncia sulla domanda in relazione agli artt. 156, secondo comma, c.p.c., 159 c.p.c.e 112
c.p.c., in quanto la Corte avrebbe respinto la domanda ritenendo, come si
evince dalle premesse in fatto, che la stessa fosse stata proposta da cento
dipendenti della Cassa di Risparmio di Padova e di Rovigo, che gestisce un
fondo della Cassa di Previdenza ed il FIP, e non dall’odierno ricorrente. In
particolare, la sentenza avrebbe deciso la causa ritenendo operante e
vincolante tra le parti intese e contratti del 1998 (tra i quali uno risalente
al 30 giugno 1998) certamente estranei alla questione.

2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia
nuovamente la nullità della sentenza, anche se ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 3, c.p.c., in ragione
della violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. e dell’accordo sindacale 21 maggio
2008. In sostanza, si rinviene una ragione di nullità della sentenza sempre in
ragione del fatto che la stessa non avrebbe, in realtà, esaminato la concreta
fattispecie prospettata dalla domanda proposta dal L., ma quella proposta da
circa cento dipendenti della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo contro tale
Istituto bancario.

3. Il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi
dell’art. 360, primo comma n. 5, c.p.c.
prospetta, ancora, una ragione di nullità della sentenza per omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione ed ancora in relazione agli artt. 99, 112 e 113 c.p.c. Anche in questo caso, la ragione di
fondo della censura viene collegata alla circostanza, considerata dalla
sentenza impugnata, che la questione da decidere fosse quella relativa a cento
dipendenti della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo sopra descritta e non
quella prospettata dal ricorrente, dipendente della Cassa di R.V. che aveva
chiesto la condanna della stessa Cassa a corrispondergli un importo, secondo le
previsioni dell’accordo sindacale del 21 maggio 1998 e dell’offerta a tutti gli
iscritti del 6 giugno 2008.

4. Il quarto motivo, messo in relazione ai nn. 3 e 5
del primo comma dell’art. 360 c.p.c., deduce
anche in questo caso la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 1136 c.c. e 112
c.p.c. ed insieme per la contraddittorietà della motivazione là dove la
sentenza aveva affermato, senza motivare il perché, che l’accordo del 21 maggio
2008 e la lettera del 6 giugno 2008 facevano riferimento ad un Fondo da
ripartire; ad avviso del ricorrente ciò non corrispondeva al testo di tali
atti, testo che faceva riferimento alla necessità di individuare e far
confluire le posizioni individuali per poi ripartirle.

5. Il quinto motivo di ricorso, riferendosi ai
medesimi vizi del punto precedente, li correla, questa volta, agli artt. 115, 116 e 117 c.p.c., sotto il profilo della erronea
valutazione delle prove. Si imputa alla sentenza impugnata di aver erroneamente
accertato che la Cassa di R.V. aveva comunicato al ricorrente e agli altri
dipendenti che sarebbe stato necessario applicare il coefficiente di correzione
dello 0,0189, dimenticando che lo stesso legale rappresentante in sede di
libero interrogatorio aveva ammesso che nessun dipendente era stato informato e
che erano stati formalmente avvisati solo alcuni sindacalisti.

6. I motivi, connessi e quindi da trattarsi
congiuntamente, sono infondati.

7. Viene evocato, fra gli altri e sotto varie forme,
il vizio di motivazione, ai sensi del primo comma n. 5 dell’art. 360 c.p.c., prospettando lacune e
contraddittorietà delle ragioni addotte, senza così rispettare il paradigma
imposto dal testo vigente della disposizione appena citata. Infatti, l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012,
conv. in I. n. 134 del 2012, ha introdotto
nell’ordinamento un vizio specifico, denunciabile per cassazione, relativo
all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza
risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito
oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire
che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);
sotto altro profilo, non è più configurabile il vizio di motivazione
contraddittoria o insufficiente; i provvedimenti giudiziari non si sottraggono
all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo
civile, dall’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c.,
ma tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o
meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla
funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere
afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure
perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta
una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.. (Cass. Sez. U. n. 8053 del 07/04/2014; Cass. n.
21257 del 2014; Cass. n. 23828 del 2015; Cass. n. 23940 del 2017; Cass. n.
22598 del 2018).

8. Nel caso di specie, la motivazione della sentenza
impugnata non soffre di tali vizi. Infatti, la Corte territoriale, seppure
citando nella narrazione dei fatti processuali una vicenda storicamente diversa
(verosimilmente in ragione dell’utilizzo del mezzo informatico nella stesura
del testo) da quella sottesa al ricorso proposto dal L., ha considerato che la
pretesa del medesimo aveva ad oggetto, come in effetti è, la richiesta del
pagamento di una differenza economica rispetto all’importo versato dalla Cassa
relativamente alla liquidazione della dotazione individuale dovuta agli
iscritti al Fondo di previdenza a seguito della iscrizione dei dipendenti della
Cassa presso l’INPS; in sostanza, la pretesa derivava dalle vicende relative
alla soppressione della Cassa di previdenza e alla stipula degli accordi
sindacali, previsti dall’art.
59, comma 3, I. n. 449 del 1997, attraverso i quali era stato possibile
trasformare le forme pensionistiche a prestazione definita in forme a
contribuzione definita.

9. La Corte ha individuato tale regolamentazione
negoziale in un accordo aziendale del 30 giugno 1998, con il quale erano stati
regolamentati complessivamente i rapporti, ed in altro accordo del 21 maggio
2008, con il quale erano stati definiti i criteri di calcolo della dotazione
individuale degli iscritti in servizio. Tale disciplina doveva comunque
assicurare il principio dell’intangibilità del patrimonio vincolato, previsto
anche per i lavoratori attivi oltre che per i pensionati, per cui l’incapienza
del patrimonio comune, in caso di realizzazione effettiva del progetto di
distribuzione comunicato in applicazione dell’accordo del maggio 2008, aveva
imposto l’applicazione del coefficiente di riduzione da cui è scaturita la
differenza monetaria rivendicata in giudizio. Inoltre, la sentenza ha ritenuto
infondata la doglianza circa la mancata adeguata informazione sui conteggi, posto
che tali comunicazioni erano state rivolte alle organizzazioni sindacali ed il
L. svolgeva un ruolo sindacale.

10. E’ evidente che tale motivazione non può certo
definirsi apparente, né l’erronea narrazione di talune circostanze ha inciso
sulla percezione dei fatti davvero rilevanti per la decisione della
controversia e che lo stesso ricorrente ravvisa nell’accordo sindacale del 21
maggio 2008 e nella offerta allo stesso conseguente.

11. Anche il ricorrente riconosce, illustrando il
quarto motivo, che la sentenza si è in effetti pronunciata sulla domanda
proposta dal L., anche se imputa alla stessa di aver malamente interpretato
l’accordo del 21 maggio 2008 e la lettera di comunicazione dell’importo
spettante per il cd. zainetto. Tali critiche sono formulate in modo del tutto
generico, in quanto non vengono riportati i contenuti degli atti che sarebbero
in contrasto insanabile con l’assunto della Corte territoriale. Ancora, il
vizio dedotto, che si rifà al difetto di motivazione e alla violazione dell’art. 1336 c.c., comunque non aggredisce
validamente il punto in discussione, giacché si sarebbe dovuto denunciare il
vizio di violazione dei criteri interpretativi legali del contratto previsti
dagli artt. 1362 e ss. c.c.

12. Inammissibile, infine, è il profilo relativo
alla erronea valutazione delle prove, posto che tale censura, attinente
tipicamente al giudizio merito, non integra alcuno dei vizi di legittimità
previsti dall’art. 360 c.p.c.

13. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese
seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00
per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso delle spese generali
nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,
comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso
art. 13, comma 1 bis, ove
dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 luglio 2020, n. 16259
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: